di Daniele Scalea

Il libro del Generale Roberto Vannacci, Il mondo al contrario, è divenuto il caso editoriale dell’estate. Uscito in sordina come opera auto-edita di un autore noto solo nell’ambiente militare, ha improvvisamente conquistato gli onori delle cronache e in poche ore ha scalato le classifiche di vendita di Amazon, raggiungendo il numero 1 in Italia.

Il successo editoriale potrebbe costare caro, a livello professionale, al Generale. La pubblicazione di alcune frasi estrapolate ha suscitato la reazione isterica della Sinistra e anche quella del Ministro della Difesa, Guido Crosetto, tra i massimi esponenti di Fratelli d’Italia. Su X il Ministro ha subito definito quelle di Vannacci “farneticazioni personali […] che screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione”, annunciando un esame disciplinare. Nel giro di poche ore, l’Esercito ha rimosso il Generale dal suo incarico.

Chi è Roberto Vannacci

Tale incarico era in realtà di second’ordine: comandante dell’Istituto Geografico Militare di Firenze. Una posizione ben poco rilevante rispetto al curriculum che può vantare Roberto Vannacci: 54 anni, paracadutista, ha partecipato a missioni in Somalia, Ruanda, Bosnia-Erzegovina, Yemen, Costa d’Avorio, Iraq, Afghanistan (dove è stato capo di Stato Maggiore delle Forze Speciali NATO), Libia; ha comandato il Reggimento d’assalto “Col Moschin” e la Brigata “Folgore”; oltre a varie medaglie italiane, ha ricevuto anche la Stella di Bronzo e la Legione al Merito dagli USA.

Cerchiamo di riassumere i contenuti principali del libro seguendone la ripartizione interna scelta dall’autore. Debbo precisare che, trattandosi di un libro di ben 373 pagine, di cui sono entrato in possesso solo da pochissimi giorni, la lettura è stata frettolosa e non accurata. Ma, quanto meno, è stata una lettura, mentre gran parte del dibattito in corso si sta basando solo su due o tre frasi estrapolate dal contesto.

Il mondo al contrario

Vannacci ritiene che una caratteristica precipua dell’oggi sia il muoversi della società in senso antitetico rispetto alla razionalità e al sentire comune: da qui il titolo del libro. Minoranze organizzate – spiega il Generale – stanno sovvertendo tutto ciò che la maggioranza considera(va) normalità:

Un vero e proprio assalto alla normalità che, in nome delle minoranze che non vi si inquadrano, dev’essere distrutta, abolita, squalificata facendo in modo che il marginale prevalga sulla norma generale e sul consueto.

Varie condizioni di eccezionalità sono inserite a forza in una concezione sovra-dimensionata della “normalità”. Le percezioni soggettive stanno prendendo il sopravvento sulla realtà oggettiva perché, per essere “inclusivi”, quelle di talune categorie vanno accettate senza discussione. A questa cancellazione della normalità il Generale ritiene di poter opporre il ritorno al “Buonsenso”, sui cui contorni è invero piuttosto vago, ma che sembra ricondurre ai valori e giudizi trasmessici dai nostri avi.

Ambientalismo

Vannacci dichiara di credere al cambiamento climatico d’origine antropica e persino che esso sia significativo, ma contesta: a) che si proceda verso un’apocalisse, visto che la Terra ha sperimentato cambiamenti ben più drastici; b) che si possa porre rimedio alla situazione con politiche de-cresciste. Sono le società sviluppate, afferma, quelle in grado di attuare misure ambientaliste. Perciò è necessario abbandonare gli isterismi alla Greta Thunberg, le visioni manichee della natura “buona” e dell’uomo “cattivo”, e concentrarsi sull’adattamento alle mutate condizioni climatiche. Vannacci dedica diverse pagine a supporto, tra le altre cose, degli organismi geneticamente modificati. Approva la transizione energetica ma ritiene che debba procedere in maniera lenta e graduale, e che non possa escludere il nucleare.

Un capitolo a parte è dedicato al fenomeno dell’animalismo. Vannacci se la prende non solo con le manifestazioni più radicali, come i vegani o coloro che vorrebbero sottrarre in toto gli animali dallo sfruttamento dell’uomo, ma pure con la crescente “antropomorfizzazione” degli animali domestici. Ormai il loro numero supera di gran lunga quello dei bambini e così anche la spesa privata che gli italiani vi dedicano è di molte volte maggiore di quella destinata agli infanti. Rimettere al primo posto gli esseri umani è l’appello lanciato dal Generale nel suo libro.

Immigrazione

Le società si formano attorno a culture e valori comuni. Un popolo si identifica nel patrimonio comune di tradizioni militari, culturali, linguistiche e religiose. Il lavoro e i sacrifici degli avi hanno permesso di far coincidere quel patrimonio con le istituzioni politiche in uno Stato nazionale.

Il multiculturalismo, ammonisce Vannacci, mette a repentaglio coesione e stabilità cercando di includere in una società valori estranei. Secondo il multiculturalismo, bisognerebbe introdurre “diritti differenziati” e la possibilità per comunità interne di auto-governarsi secondo proprie leggi. Ma gli Stati riescono a garantire la pacifica convivenza tra etnie solo in presenza di una dominante, che impone norme comuni.

Vannacci rivendica il diritto di prediligere la propria cultura, quella italiana. Non disprezza le altre, ma ritiene che in Italia debba continuare a prevalere quella tramandata dagli avi. Il Generale non ne fa una questione etnica – più volte ribadisce che secondo lui non si tratta di fattore determinante per individuare un popolo – ma pretende che gli immigrati assimilino la cultura nazionale.

In questi passaggi v’è la controversa affermazione, a dire il vero piuttosto slegata dal resto del discorso in cui è inserita, riguardo la pallavolista Paola Egonu, di origini nigeriane: “[…] anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri”. Quest’affermazione avrebbe potuto ispirare a Vannacci più approfondite riflessioni circa le dimensioni etniche della nazionalità, ma essa rimane isolata nel testo. Dunque, tutto ciò che egli si limita ad affermare è che il prototipo somatico dell’italiano, così come è stato per millenni e invero è ancora oggi in (svanente) maggioranza, non ha la pelle nera o altri tratti tipicamente africani.

Francamente, se qualcuno a destra si scandalizza per ciò, allora coerentemente dovrebbe anche accettare che Netflix e il resto dell’industria culturale procedano alla riscrittura della storia europea assegnando falsamente colori di pelle nera a personaggi storici bianchi. Se scandalizza la frase di Vannacci, non si capisce nemmeno come si possa poi sostenere che la sostituzione etnica sarebbe un problema.

Legittima difesa

Il Generale lamenta che in Italia le leggi sembrino tutelare più i criminali che gli onesti cittadini, com’è nel caso degli occupanti abusivi di case. Inoltre, propone che nel valutare la proporzionalità nella legittima difesa si considerino non le situazioni oggettive, così come note al soggetto giudicante, ma la percezione di pericolo che al momento aveva chi si trovava suo malgrado a doversi difendere da un’aggressione.

Patria

Vannacci rivendica il suo patriottismo e si duole che in Italia, ormai, non si utilizzi più il termine “Patria” e che i maggiori simboli della stessa – l’inno e la bandiera – siano sempre più nascosti. La sua proposta è di reinserire questi simboli nella vita quotidiana, principalmente in quella scolastica dei giovanissimi, e di rendere più stringenti i criteri per l’acquisizione di cittadinanza: conoscenza della lingua, dell’inno, della bandiera, della storia.

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Anche in questo capitolo traspare come il Generale consideri il fattore culturale la principale caratteristica che definisce la nazionalità. Egli, correttamente, scrive che non si nasce per caso in un posto, ma perché si è figli proprio dei nostri genitori: si entra cioè al mondo come parte, non casuale, di una stirpe. Tuttavia, reitera l’idea che il modo in cui si viene educati sia il fattore determinante: l’origine “biologica” conta solo nella misura in cui essa è “mezzo” per trasmettere determinati valori.

Gender

Si tratta del capitolo più contestato del libro. Vannacci sembrava già vaticinarlo mentre scriveva, poiché lo apre descrivendo le esortazioni degli amici a lasciar perdere l’argomento. Spiega che inizialmente aveva deciso di omettere questo capitolo, ma si è infine deciso a vergarlo perché “se non prendi una posizione non avrai nessuno contro di te, ma neanche con te”.

L’opinione del Generale è che l’omosessualità debba essere del tutto lecita, come lo è divenuta nell’epoca più recente, ma rimanere relegata alla sfera della sessualità e non entrare in quella della famiglia. La parte più “controversa” del libro è però quella in cui l’autore si interroga sul carattere di “normalità” e “naturalità” dell’omosessualità e del transgenderismo. Da un lato, afferma il Generale, per mero calcolo statistico si può appurare che essi non siano la norma, ma che costituiscano una eccezione. Dall’altro, riconosce che l’omosessualità è presente in natura, ancorché rara, ma è assente come modello familiare.

Qui v’è la tanto contestata frase: “Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!” – la quale, però, si limita a ribadire, in maniera forse provocatoria, quanto sopra affermato: ossia che la normalità, nell’uomo come nella stragrande maggioranza delle specie animali, sia l’accoppiamento tra maschi e femmine, la famiglia costituita da un maschio e una femmina.

Vannacci non contesta la liceità delle pratiche omosessuali, non contesta il rispetto dovuto anche agli omosessuali e i diritti recentemente acquisiti – ivi inclusi, lo dice esplicitamente, le unioni civili. Ciò che contesta è la pretesa di essere riconosciuti come “normalità”, ossia in tutto e per tutto alla pari e intercambiabili con l’unione eterosessuale. Del resto – aggiungiamo noi – alla patente di “normalità” deve necessariamente seguire il riconoscimento paritario del matrimonio omosessuale e la possibilità di adottare figli: come infatti si potrebbe giustificare una sperequazione di trattamento tra due coppie eguali?

In questo capitolo meno che negli altri Vannacci ha peli sulla lingua. Denuncia e descrive minuziosamente l’azione di una lobby per diffondere e normalizzare le pratiche omosessuali, con obiettivo finale i matrimoni e la genitorialità.

Il punto su cui interrogarsi non è tanto se si condividano le idee del Generale, ma se debbano essere proscritte e dichiarate inconciliabili col servizio allo Stato. Chi credesse che l’omosessualità non sia la normalità, che la famiglia sia solo l’unione tra uomo e donna, che gruppi di pressione promuovano il transgenderismo, merita perciò di essere punito? Tali opinioni sono incompatibili con l’appartenenza alle nostre Forze Armate?

Giudizio

Per quanto molti, un po’ snobisticamente, abbiano storto il naso all’idea del libro di un militare auto-pubblicatosi, l’opera di Vannacci è ben scritta. Ha senz’altro il difetto della lunghezza eccessiva (l’autore ha voluto buttarci dentro davvero tutti i suoi pensieri, e condire le considerazioni generali con esempi d’attualità in numero eccessivo) e non vi si trovano al suo interno intuizioni geniali o molte novità, ma lo stesso Vannacci dichiara in apertura di voler solo dare una rappresentazione d’insieme e divulgativa di temi approfonditi da altri. Il mondo al contrario non è un capolavoro del pensiero e non rimarrà come una pietra miliare del pensiero nazionale, ma pochi dei critici da destra dell’opera possono vantare d’averne scritte con tali caratteristiche.

Su moltissimi punti le opinioni del Generale ricalcano i programmi di Fratelli d’Italia – o quanto meno quelli che dichiarava fino al giorno delle elezioni. No al multiculturalismo e all’immigrazione di massa, no al gender, sì al patriottismo, sì alla transizione energetica ma in maniera progressiva. Alcune delle frasi che hanno alimentato le polemiche sono, ricontestualizzate, perfettamente condivisibili (davvero vogliamo dire, in nome del politicamente corretto, che Paola Egonu sia un prototipo dei tratti somatici italiani? Immaginarsi uno scandinavo coi capelli biondi o un cinese con gli occhi a mandorla significa avere “pregiudizi razzisti”, persino per gente che si dichiara “di destra”?). Altre sono state volgarmente manipolate: a un certo punto Vannacci ricorda che gli italiani sono gli eredi di molti illustri personaggi storici, tra cui menziona anche Giulio Cesare. Non si sa se per idiozia o malafede, nei social il Generale viene ora dipinto come un mitomane che si proclama unico erede del grande condottiero romano.

Sulla questione della omosessualità, già si è scritto. Si tratta forse del solo punto in cui Vannacci sfida davvero i limiti del “discorso consentito”. Se su tutti gli altri aveva espresso opinioni marcatamente di destra, ma di ampio corso, sull’omosessualità il Generale ha osato andare oltre. Permetterne ora il giubilamento, o persino prendere parte attiva ad esso, significa per la Destra rinunciare – sul lungo periodo – alla possibilità di negare la piena parificazione delle unioni omosessuali ai matrimoni tradizionali. Inclusa anche la possibilità di adottare figli.

Al di là della questione specifica dell’omosessualità, la vicenda Vannacci è una messa alla prova della libertà d’espressione in Italia. Dei militari ma non solo. La punizione del Generale fisserà un precedente che consentirà quella, sul piano lavorativo, di qualsiasi cittadino osi sfidare i limiti del discorso “consentito”, fissati ovviamente dalla Sinistra con la complicità di conservatori sedicenti o pavidi.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.