di Silvio Pittori

Circa tre anni fa ho scritto un articolo che analizzava il saggio di Michel Onfray dal titolo Teoria della Dittatura, nel quale l’autore esponeva come sia possibile  instaurare una dittatura nel nostro tempo, individuando sette fasi per la sua istituzione: “distruggere la libertà, impoverire la lingua, abolire la verità, sopprimere la storia, negare la natura, propagare l’odio, aspirare all’Impero”. Le reazioni scatenatesi a seguito della pubblicazione del libro “Il mondo al contrario” del generale Vannacci, riconducibili il più delle volte ad una malafede dettata dalla mancata lettura del testo, mi hanno riportato alla mente la tesi contenuta in detto saggio del filosofo francese, ma anche un passo della Bibbia (numeri 11, 25-29) in cui viene trattato il tema del “profetare”, unitamente ad un’intervista rilasciata dall’allora cardinale Ratzinger, sul tema di chi sia il profeta e di quale sia la sua funzione.

Ora, come noto, il profeta non è colui che predice avvenimenti futuri, una sorta di indovino, bensì colui che è chiamato ad affermare, a rivelare delle verità perché in contatto con Dio. Come ebbe a rappresentare l’immenso cardinale Ratzinger, trattasi di verità valide “per oggi” che naturalmente, illuminando anche il futuro, indicano il corretto cammino da intraprendere. Questo stesso concetto lo ritroviamo nel passo della Sacra Bibbia sopra richiamato, dal quale emerge la figura di due uomini chiamati da Dio a “profetare” pur essendo del tutto estranei all’istituzione rappresentata dal Consiglio degli Anziani. Di fatto, due persone che al di fuori del potere istituzionale dell’epoca sono chiamate a proclamare il corretto cammino per la redenzione, traducibile laicamente come ritorno a quei valori e a quei principi, anche religiosi, che hanno costituito i fondamenti dell’Occidente. In tale ottica la figura del profeta assume anche i contorni di colui che contesta il pensiero uniformante, pertanto anche il sistema politico che quel pensiero uniformante ha generato o dal quale è stato generato.

Così correttamente intesa la figura del profeta, sono stato indotto ad avvicinare a detta figura biblica  il generale Vannacci, quale chiamato a “profetare” appunto per fare fronte, nel silenzio generale di una politica troppo spesso timorosa e omologata, alla dissipazione di ogni valore occidentale, di ogni elemento fondante quella cultura, impregnata di cristianità, che ha formato il mondo intero, nel rispetto certamente di ogni minoranza (numerica) ma anche nel doveroso rispetto della volutamente dimenticata maggioranza. Comprendo il trauma subito dai fautori del pensiero unico dominante che determina giorno dopo giorno il tramonto dell’Occidente, al cospetto dell’inaspettato ritorno di una dimenticata “parrhesia” che riporta in auge valori e principi tenuti celati alle genti da coloro che pretendono di sorvegliare il vivere civile, la nostra società, quindi apparentemente dimenticati, ma pronti ad essere risvegliati dall’onesto profetare del singolo. Per questo quel razzismo etico (Marcello Veneziani “Dio ci salvi dalla dittatura etica”- 26 gennaio 2012) che domina la nostra società vorrebbe impedire che si formi intorno al saggio del Generale un interesse comune, oltretutto di natura politicamente trasversale, che riscopra valori sopiti da una lettura antistorica della storia e da quella cosiddetta “woke culture” che ammorba oramai il nostro sentire e la nostra vita quotidiana.

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Ed allora ben venga un pensiero libero come quello del Generale che sappia risvegliare in maniera profetica la coscienza di un popolo, sottraendolo ad una schiavitù creata da una minoranza antidemocratica e dittatoriale, risveglio al quale dobbiamo augurarci sappia finalmente dare risposte concrete anche la politica, troppo spesso prona al cospetto del pensiero dominante o, talvolta, persino sua complice. Salutiamo quindi con favore il generale Vannacci, una sorta di “katechon” laico chiamato ad invertire, mediante l’arte del profetare”, un destino apparentemente segnato.

Avvocato cassazionista con sede a Firenze, esperto in diritto civile societario e in diritto penale di impresa e contrattualistica. Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Firenze.