di Marco Malaguti

Il testo, fresco di stampa “Il mondo al contrario”, del generale Roberto Vannacci, ha generato, come noto, un interminabile fiume di polemiche a sinistra e negli ambienti progressisti ma, cosa elemento meno noto, il testo ha evocato quasi altrettante polemiche, seppur meno virulente e rancorose, anche nel panorama conservatore. Ha fatto scalpore, in questo ambito, l’assenza nel libro di qualsiasi richiamo al trascendente, e in particolare alla religione cattolica, imprescindibile per chi si dichiara conservatore in un Paese che è, a tutti gli effetti, impregnato e figlio della cultura cattolica.

Alcune premesse

Anche in queste pagine, ma non solo, la critica è comparsa sotto la forma di perplessità di fronte ad uno scrittore che, in uno stile diretto e in una trattazione sapientemente completa, sembra aver ignorato una tematica tanto fondamentale. Lungi dal ritenere tale “mancanza” un malus all’opera mi accingo quindi a spiegare il perché, secondo giudizio personale, tale caratteristica ne costituisce invece un punto di forza, che potrebbe avere avuto un ruolo non marginale nel successo della stessa. Doverosa premessa di natura personale, ed a scanso di equivoci, è la rivendicazione, da parte di chi scrive, di essere non soltanto un cattolico “culturale”, ma anche un praticante, ben lontano dalla definizione, cara agli ambienti progressisti, di “cattolico adulto”. Ma veniamo alla spiegazione.

Chi è un militare?

Innanzitutto per capire l’opera di Vannacci è necessario sempre ricordare che Vannacci è, per formazione e professione, un militare, ed il militare è innanzitutto un tecnico, un esecutore. I militari, benché possiedano, come tutti gli esseri umani, idee politiche, fedi, passioni e personali idiosincrasie, sono chiamati, nella loro vita lavorativa di tutti i giorni, a metterle da parte. Esattamente come Mister Wolf, entrato nel comune immaginario col suo “risolvo problemi” reso celeberrimo dalla pellicola “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino, il militare risolve problemi: è chiamato ad una valutazione della situazione, ad individuare i sintomi del problema, a fare un bilancio delle forze in campo e, in base a queste ultime, ad elaborare una soluzione che comporti il massimo beneficio con le minime perdite. Differentemente dal politico (senza alcuna differenza tra quello di razza ed il tecnocrate), il militare non è chiamato ad esprimere valutazioni ideologiche o confessionali. Se è un militare di alto grado è chiamato ad elaborare un piano ed a risolvere il problema, se invece appartiene ai gradi intermedi o di truppa è chiamato ad eseguire gli ordini che riceve. Del resto, se, per dirla con Clausewitz, “la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi”, è evidente che il militare non esprime la linea politica (anche se in taluni casi della storia ciò può essere avvenuto), ma la applica.
Vannacci quindi, da militare, individua un problema o, meglio, una rete di problemi sociali concatenati l’uno con l’altro, e li squaderna sul tavolo strategico esattamente come un qualsiasi altro militare farebbe con le forze in campo di una battaglia o con i danni causati da un’emergenza.

Il progressismo come problema

La sostanziale novità del pensiero di Vannacci è che per la prima volta il progressismo non viene inquadrato come un’ideologia politica – sulla quale, abbiamo visto, il militare non può esprimersi – ma come l’emergenza stessa. Il progressismo viene quindi ad essere il problema da risolvere, venendo derubricato da modus operandi politico a vera e propria malattia del sistema immunitario della società a cui porre celermente rimedio. Se dunque il progressismo si qualifica come il problema, nella forma di sconvolgimento della società ordinata, è evidente che la religione, nell’ottica di un militare, non può avere alcun ruolo nella risoluzione di un problema che si qualifica come essenzialmente pratico. La critica al progressismo di Vannacci è tanto ficcante ed efficace quanto più si allontana dal mondo astratto della theoria, dove alla fin fine tutte le opinioni sono uguali finché non si traducono in realtà, per avvicinarsi a quello della pratica. La critica di Vannacci al progressismo è scientifica: il progressismo, con il suo habitat denominato mondo al contrario, va combattuto non con argomentazioni filosofiche o religiose (ad esempio: “è ingiusto”, “non è conforme alla legge di Dio”, “è brutto” ecc.) ma per il semplice praticissimo motivo che non funziona, è un impedimento alla sopravvivenza dell’individuo, è una patologia che, tramite il suo nichilismo, inceppa i meccanismi figli dell’evoluzione sociale che impediscono ad una società di sopravvivere e causando, nel frattempo, un’enormità di problemi pratici (criminalità, bassa natalità, degrado, intolleranza ecc.).

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Una scelta da stratega

L’attacco di Vannacci è dunque una stoccata sferrata al nocciolo del problema. Sarebbe troppo facile difendersi, per i progressisti ma anche per molti conservatori innamorati del proprio eloquio, se la critica vannacciana si librasse nei virtuosismi e negli arzigogoli manieristici della filosofia e della teologia. Al contrario, sono i fatti, che ognuno di noi vive nella propria vita quotidiana, a non lasciare alcuno spazio di manovra inchiodando il progressismo al banco degli imputati. Si badi bene, Vannacci non ha, almeno per ora, reso nota la sua posizione personale in merito alla religione. Nonostante abbia accettato di venire pubblicato, prossimamente, dalla casa editrice cattolica riminese Il Cerchio, non sappiamo se sia cattolico, semplice cristiano, agnostico, ateo, o di qualsiasi altra religione a cui egli si senta affine. Non sappiamo nemmeno se il non aver esplicitato, come peraltro nei suoi pieni diritti, la sua eventuale fede religiosa, sia una scelta “strategica” o meno.

Portarsi dove si attacca

Quello che però è possibile ipotizzare è che tale scelta sia assolutamente felice, in quanto rende impossibile, ai progressisti ma non solo, spostare l’attacco a Vannacci dal contenuto del suo libro a quello della sua anima, sulla quale ogni speculazione sarebbe tanto possibile quanto indebita e violenta. Vannacci impedisce, con questa mossa, il contrattacco dei progressisti, che avrebbero gioco facile a bollarlo come passatista, credulone, superstizioso e quasi certamente ad accusarlo, carte alla mano, di avere posizioni inconciliabili a quelle di papa Bergoglio o di qualche illustre ateo del passato e del presente. La ferratissima retorica anticlericale delle sinistre non avrebbe pietà: troppo ben congegnata e collaudata per non venire utilizzata, tanto più in un panorama come quello attuale dove la Chiesa si presenta malconcia e inchiodata a battaglie di retroguardia. Bene ha fatto dunque il generale a mantenere “la palla” nella metà campo avversaria. Le polemiche degli ultimi periodi a proposito del libro di Vannacci lo hanno dimostrato: contro il progressismo è il pressing lo stile di gioco più adatto.

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.