L’articolo seguente è una versione riadattata del discorso che Daniele Scalea, Presidente del Centro Studi Machiavelli, ha tenuto a Budapest il 17 ottobre scorso, presentando l’edizione ungherese del suo libro “Immigrazione: le ragioni dei populisti“.
Sovente, immigrazionisti e globalisti sono soliti accusarci di non mostrare sufficiente ospitalità verso i migranti che arrivano (illegalmente) in Europa. Per replicare a quest’accusa sarò costretto a tornare un po’ indietro nel tempo, all’epoca classica.
Gli antichi Romani attribuivano grande valore all’ospitalità. Era considerato un dovere sacro quello di provvedere cibo, rifugio e regali agli ospiti, anche quando si trattava di stranieri. Molto simile era la situazione tra gli antichi Greci, che avevano un proprio rituale dell’ospitalità chiamato xenia. La guerra di Troia scaturì proprio da una violazione della xenia, quando il troiano Paride, ospite di Menelao re di Sparta, ne rapì la moglie Elena.
Il senso dell’ospitalità era tanto forte tra i Greci che Ulisse se l’aspettava persino da un mostro come Polifemo. Come ci racconta Omero, l’eroe decise di attendere il ciclope nella sua caverna perché voleva “ricevere i doni dell’ospitalità”. Quando il gigante apparve di fronte a lui, glieli chiese apertamente.
Giulio Cesare era certamente imbevuto di tali valori, princìpi e costumi relativi all’ospitalità. Tuttavia, come racconta proprio all’inizio del De Bello Gallico, allorché gli Elvezi, che avevano lasciato la loro terra, si presentarono in massa alle porte della Provincia romana, Cesare negò loro il diritto di passaggio e la possibilità di stanziarsi in Gallia. Perché, nei confronti degli Elvezi, non applicò le consuetudini dell’ospitalità? Perché non li accolse come ospiti o rifugiati? Perché difese il confine in armi?
Cesare non ritenne necessario spiegarlo nel libro, poiché era evidente ai lettori del suo tempo. L’ospitalità era dovuta al singolo, alla famiglia, al piccolo gruppo, ma quando grandi masse si muovevano assieme, migravano verso la tua terra, non si trattava più della visita di ospiti, ma dell’invasione di nemici.
Ho scritto questo libro principalmente perché credo che molti, in Occidente, abbiano perso il senso delle proporzioni quando si parla di immigrazione. Tanti ignorano semplicemente i veri numeri. Altri ritengono che l’ospitalità sia un valore assoluto che non deve avere limiti. Io desideravo chiarire che c’è una grande ed essenziale differenza tra un’immigrazione ridotta e legale, e flussi illegali e di massa. Solo una persona senza cuore negherebbe aiuto a una famiglia che fugge dai suoi persecutori. Solo una persona priva di patriottismo e di amor proprio aprirebbe le porte a decine, centinaia di migliaia di persone che giungono ogni anno nel suo Paese, senza bussare, senza chiedere permesso, senza la volontà o la possibilità di integrarsi. Da un lato abbiamo rifugiati, dall’altra coloni. Da un lato ospitalità, dall’altra sottomissione.
Per tale ragione il libro si apre con un’analisi quantitativa. Il primo passo per comprendere un fenomeno è misurarlo. Misurando l’odierna immigrazione in Europa possiamo comprenderla nella sua realtà di sostituzione etnica. I popoli autoctoni, in Italia, Germania, Francia e molti altri Paesi, sono destinati a perdere la maggioranza assoluta in questo secolo o nel prossimo, sorpassati dalla somma degli immigrati in questi decenni, dei loro discendenti e di quanti giungeranno nei prossimi decenni. Mai nella storia una così grande e repentina sostituzione etnica ha avuto luogo senza che una sola spada sia stata sguainata, o un solo proiettile sparato.
Sia chiaro: non intendo certo incitare alla violenza contro gli immigrati. Molti di loro sono persone per bene, giunte qui in cerca di una vita migliore. Così come molti europei non si rendono conto di essere in via di sostituzione, così molti immigrati non realizzano di essere i sostituti. Spesso grandi processi storici sono avvenuti senza la comprensione di coloro stessi che li stavano compiendo.
Cambiare le politiche migratorie beneficerebbe anche i buoni immigrati. Se sono giunti in Europa per costruire una vita migliore, è precisamente perché hanno riconosciuto come l’Europa sia migliore dei loro Paesi d’origine. Perciò non hanno alcun interesse nel renderla uguale alle terre da cui giungono. La scelta razionale, per l’immigrato bene intenzionato, è integrarsi – anzi, assimilarsi – alla nazione che lo ha accolto. Ma ciò è impossibile fin tanto che i flussi sono così massicci. È come versare il sale in un bicchiere d’acqua: all’inizio vi si dissolve, ma oltre un certo limite cessa di sciogliersi, rimane sale, riempie il bicchiere facendo traboccare l’acqua e, in ultimo, la sostituisce del tutto.
Dunque questo libro non è un incitamento alla violenza, all’odio, alla guerra, ma un’esortazione ad amare la propria patria, civiltà e nazione; a volerla preservare come parte della varietà e ricchezza umana. Dobbiamo conservare per i nostri discendenti ciò che gli antenati hanno costruito per noi, ossia uno dei continenti più ricchi e avanzati del mondo. Questa conservazione non esclude l’accoglienza di profughi o l’arrivo di immigrati, ma è incompatibile con l’arrivo in massa di persone che finiranno per sostituire gli autoctoni. Nel libro ho cercato di spiegare le ragioni di ciò, e anche quelle per cui altri, nella Sinistra neo-marxista, sono così bramosi di raggiungere la sostituzione etnica, che eufemisticamente chiamano “multiculturalismo”.
Spero si tratterà di una lettura interessante anche per il pubblico ungherese; il pubblico di una piccola nazione che troppe volte si sta trovando, come i Trecento di Leonida, sola a guardia del confine d’Europa.
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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
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