di Vittorio Maccarrone

L’inizio della “nuova fase” della guerra contro Hamas, che “sarà dura e lunga” secondo le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, potrebbe essere un ulteriore passo verso l’escalation regionale. L’offensiva dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza avviene dopo settimane di minacce dell’Iran contro Tel Aviv e dopo intensi bombardamenti dell’aviazione israeliana nell’enclave palestinese. Oltre agli avvertimenti retorici, i proxy di Teheran hanno lanciato decine di razzi verso il territorio di Israele e contro obiettivi militari americani dislocati nella regione mediorientale. A seguito del sorprendente attacco terroristico del 7 ottobre delle brigate Ezzedin al-Qassam, l’ala militare di Hamas, all’interno del territorio di Israele, l’Iran ha aumentato la pressione contro il “nemico sionista”, esprimendo subito il proprio supporto per l’azione di Hamas, definendola una “operazione orgogliosa”.

Il dinamismo iraniano

A livello mediatico e comunicativo, l’Iran ha colto immediatamente l’occasione per impugnare lo scettro di Paese antagonista di Israele, intestandosi la difesa della causa palestinese ed ergendosi protettore del mondo islamico contro il nemico di sempre. Il 25 ottobre il segretario generale del gruppo sciita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, il vicecapo degli affari politici di Hamas, Saleh al-Arouri e il segretario generale palestinese del Jihad Islamico, Ziad al-Nakhalah, si sono riuniti in una località ignota alla periferia di Beirut: l’immagina iconica dell’incontro raffigurava i tre leader in una stanza con appese alle pareti le immagini delle Guide Supreme iraniane, l’ayatollah Khomeini e la guida attuale Khamenei. L’inevitabile risposta militare israeliana contro obiettivi militari a Gaza – che ha già causato migliaia di morti tra i civili palestinesi – ha innescato la reazione della leadership iraniana, la quale ha alzato l’asticella minacciando di colpire direttamente il territorio israeliano in caso di invasione delle Israel Defence Forces (IDF, Tzahal) della Striscia di Gaza. Minacce sono arrivate dall’Iran anche agli Stati Uniti, in un crescendo di linee rosse che potrebbero rivelare la volontà del regime degli Ayatollah di procedere attraverso una escalation.

Il ruolo dei proxy iraniani

I proxy iraniani nella regione si sono subito attivati per mettere pressione a Israele, dopo che lo Stato ebraico ha bombardato le postazioni di Hamas nella Striscia, falcidiando anche la popolazione civile, nella zona con la più alta densità abitativa del mondo. Milizie filo-iraniane irachene hanno condotto diversi attacchi missilistici con l’uso di droni e razzi contro le forze militari americane in Medio Oriente: nel nord-est della Siria (zona controllata dai curdi) e in Iraq, contro i soldati a stelle e strisce di stanza all’aeroporto di Baghdad e nella base di Harir Air. Tra il 17 e il 24 ottobre le forze statunitensi sono state attaccate con droni suicidi e razzi in Iraq e Siria almeno 13 volte, secondo il portavoce del Pentagono Pat Ryder. E mentre Hezbollah lanciava una selva di missili nel nord di Israele, una nave della Marina americana intercettava razzi e droni suicidi lanciati dagli Houthi yemeniti mentre si trovava nel Mar Rosso. Se gli attacchi a Israele dei clientes di Teheran servono a togliere forze e attenzione dello Stato ebraico dall’imminente offensiva a Gaza, i missili contro i militari americani hanno l’obiettivo di dissuadere Washington dall’intervenire a difesa di Israele in caso di guerra contro Tel Aviv. In una spirale bellica destinata probabilmente a infiammare la regione attraverso un conflitto più grande. È vero, infatti, che l’Iran ha un rapporto molto stretto con i suoi proxy, ma non li controlla direttamente. Non sappiamo se la Repubblica Islamica fosse a conoscenza dei progetti di Hamas e del brutale assalto allo Stato di Israele. Ma difficilmente ne è stato il regista. Teheran supporta, finanzia e addestra i militanti del gruppo terroristico palestinese: Hamas, però, non è stato creato direttamente dal regime iraniano e gode di una elevata autonomia (in Siria, ad esempio, mentre l’Iran puntellava Bashar al-Assad, Hamas supportava l’opposizione al governo siriano). Stesso rapporto si riscontra con gli altri proxy, dagli Houthi, alla pletora di milizie sciite filo-iraniane della Resistenza islamica in Iraq. Con gli Hezbollah libanesi, invece, la connessione è molto più stretta.

Il momentaneo successo geopolitico dell’Iran

Estenuato dalla politica di massima pressione attuata dal governo di Donald Trump, strangolato dalle sanzioni confermate dall’amministrazione Biden, preoccupato dalla stabilità – e coesione – interna, l’Iran trova nell’attacco di Hamas a Israele l’occasione per ritornare centrale nelle dinamiche mediorientali. In perenne lotta per l’egemonia nella Regione con l’altro Stato a vocazione imperiale, la Turchia, Teheran usa l’acuirsi delle tensioni tra Gaza e Israele per raggiungere i propri obiettivi geopolitici. Primo tra tutti: mettere in difficoltà l’avvicinamento dei Paesi arabi con Israele nell’ambito degli Accordi di Abramo e congelare i negoziati tra Arabia Saudita e Stato ebraico per arrivare a uno storico accordo di pace. I bombardamenti israeliani su Gaza e l’invasione IDF della Striscia hanno già raffreddato questo processo, facendo ottenere all’impero persiano un indubbio, seppur momentaneo, successo geopolitico. La rete di alleanze tra gli Stati Uniti e i Paesi arabi, imperniata negli Accordi di Abramo e nella normalizzazione tra mondo arabo-islamico e Israele, significherebbe un rilevante passo in avanti nell’accerchiamento dell’Iran. Soffocata dal conseguente controllo nemico dei colli di bottiglia dello Stretto di Bab el-Mandeb, dello Stretto di Hormuz e del Canale di Suez, la Repubblica Islamica sarebbe confinata nell’entroterra continentale tra Afghanistan e Iraq, con lo sbocco del porto di Tartus in Siria – paese in cui i pasdaran iraniani mantengono una presenza massiccia per dare profondità strategica, utilizzando Damasco come avamposto contro Israele – nelle disponibilità della Russia. L’unico affaccio sul mare rimarrebbe il Mediterraneo Orientale con il controllo sul Libano tramite Hezbollah. Oltre a recuperare l’afflato panislamico, sono gli imperativi strategici dell’Iran che inducono gli Ayatollah a segnalare a USA e Israele la loro disponibilità a procedere con una escalation.

Israele e Iran: pericolo escalation

L’escalation di violenza in Medio Oriente non sembra destinata a fermarsi. L’“ampliamento delle operazioni di terra” nella Striscia di Gaza da parte di Israele contribuisce ad alimentare una spirale di guerra che potrebbe coinvolgere altri paesi della regione mediorientale. Gli apparati israeliani non sanno come sciogliere il dilemma strategico: se il governo non autorizzasse un’operazione senza precedenti a Gaza, lo Stato ebraico comprometterebbe definitivamente la propria deterrenza. Allo stesso tempo, la Tzahal potrebbe sì decimare combattenti e postazioni militari di Hamas invadendo la Striscia, ma non eliminerebbe di certo il retroterra ideologico, radicato nella popolazione palestinese, che anima i combattenti di Hamas. Il rischio di una riedizione delle fallimentari invasioni USA di Iraq e Afghanistan è alto, con l’ulteriore problema di causare una gravissima crisi umanitaria tra i palestinesi.

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Dall’altro lato, se Israele attaccasse Gaza, l’Iran potrebbe rispondere, dimostrando che le minacce di questi giorni contro Tel Aviv non sono state un bluff. Mossa assai rischiosa, anche perché l’Iran teme un conflitto diretto con Israele e Stati Uniti. In quel caso, infatti, Israele verrebbe protetto dai sistemi di difesa e dalle navi militari americane che stanno arrivando in forze a difesa delle città israeliane – Washington ha convinto Israele a posticipare l’invasione di Gaza proprio per permettere alle sue portaerei di raggiungere gli avamposti in Medio Oriente e schermare così gli attacchi di Iran e proxy. Biden e il dipartimento di Stato ritengono così le minacce iraniane credibili e tentano di immettere in questa situazione pre-bellica tutta la propria credibilità militare per dissuadere i nemici di Israele da attaccare uno Stato con capacità – non dichiarate – nucleari. Israele e Iran si trovano quindi in una situazione delicata: i due paesi hanno fissato delle rispettive linee rosse per cui, se superate, potrebbero decidere di intervenire militarmente l’uno contro l’altro. In uno spillover regionale dalle conseguenze imprevedibili.

Giornalista e analista geopolitico, lavora per un'agenzia di comunicazione e scrive per "Il Caffè Geopolitico". In precedenza ha avuto esperienze con Mediaset, Institute for Cultural Relations Policy (Ungheria) e European Public Law Organization (Grecia). Dottore magistrale in "World politics and international relations" (Università di Pavia) con un master in Giornalismo (Università Cattolica di Milano).