di Marco Malaguti

 

Aria gelida sul governo tedesco. E non solo perché in questi giorni nevica su tutta l’Europa Centrale, ma anche perché i delicati equilibri interni alla Ampelkoalition di Olaf Scholz sembrano essere sempre più soggetti a sollecitazioni difficilmente ammortizzabili. Partiamo dall’inizio. E da una certezza: l’attuale governo tedesco non sarà riconfermato, né sarà riconfermato il Cancelliere; tutti e tre i partiti di governo, SPD, Verdi e Liberali (FDP) lo sanno molto bene, così come ne è al corrente lo stesso Scholz, secondo i sondaggi il cancelliere più impopolare di sempre.

Un governo deludente

Nonostante il programma di governo presentato agli elettori prima del voto stia venendo tutto sommato rispettato, le criticità sopraggiunte nel frattempo (conflitto in Ucraina, crisi energetica, crisi delle materie prime, nuova ulteriore crisi migratoria) sono state gestite dal governo tedesco in una maniera che l’elettorato giudica insoddisfacente. Oltre alle questioni appena accennate, certamente mal presentate e ancor peggio gestite, a pesare come un macigno sul gradimento dell’elettorato nei confronti di governo e cancelleria vi è il green deal europeo, programma che il governo Scholz persegue con zelo quasi religioso, abbinando alle misure europee, fortemente caldeggiate dal falco verde olandese Frans Timmermans (ex commissario europeo per il clima), ulteriori leggi nazionali a “protezione” dell’ambiente.

Sondaggi sfavorevoli e tensioni in aumento

La chiusura delle ultime tre centrali nucleari tedesche, nonostante la crisi energetica conseguente alla guerra in corso in Ucraina, è stata, in particolare, una delle misure più controverse, che ha pesato soprattutto sul sistema industriale della locomotiva d’Europa. Imprenditori e grande industria, da sempre vicini alla CDU ma che avevano, pur cautamente, sostenuto il governo all’inizio del suo percorso, sono già in agitazione. All’interno del governo sono sempre più forti le perplessità da parte dei liberali della FDP, partito più piccolo, tra i tre facenti parte della Coalizione Semaforo, e giudicati fin da subito l’anello debole della compagine governativa. Da sempre partito espressione dei ceti elevati e della borghesia cittadina, i liberali, che esprimono tra gli altri il ministro delle finanze Christian Lindner, vivono una forte apprensione. Secondo gli ultimi sondaggi INSA diffusi da Bild Zeitung la compagine di Lindner sarebbe, al momento, al 6%, una percentuale sostanzialmente dimezzata rispetto al 11,5% conseguito alle ultime federali.

L’agitazione dei Liberali

La tendenza alla diminuzione dei consensi per la FDP non si è, tra l’altro, mai arrestata da quando essa ha deciso di aggregarsi alla carovana di Scholz. Il rischio che la FDP arrivi alle prossime elezioni federali sotto al 5%, rimanendo cioè fuori dal Bundestag, è concreto. Voci ben informate sostengono che all’interno della compagine liberale si sia già alla conta, con una raccolta firme tra i tesserati che, partita già da due settimane, avrebbe il fine di verificare quanti, tra i liberali, sarebbero d’accordo a continuare a sostenere il governo oppure, al contrario, desidererebbero uscirne. Se la FDP ritirasse il suo appoggio a Scholz, va da sé, il governo cadrebbe, essendo infatti insufficienti i parlamentari di SPD e Verdi per continuare a governare. Va ricordato, tra le altre cose, che in Germania il ruolo del Presidente della Repubblica è molto più defilato e simbolico rispetto a quello che invece è giocato, nel nostro Paese, dal Quirinale. Il Presidente della Repubblica Franz Steinmeier, quindi, poco potrebbe fare di fronte ad una compagine di governo che non vuole più stare assieme.

Un governo unito dalla paura dei sovranisti

Il collante più efficace per il governo, tuttavia, viene da destra. I nazionalconservatori di Alternative für Deutschland (AfD) sarebbero infatti al massimo storico dei consensi, addirittura al 22%. Il partito di Alice Weidel e Tino Chrupalla sarebbe, quindi, il secondo partito nazionale, con una forza che renderebbe molto complicata la formazione di un nuovo governo senza di essa, vista e considerata anche l’ormai certa dissoluzione del partito di sinistra radicale Die Linke, il cui gruppo parlamentare si è sciolto non riuscendo a sopravvivere allo scisma causato dalla sua ex pasionaria Sarah Wagenknecht. È probabile che proprio il terrore di fare, adesso, i conti con la destra sovranista, inducano il governo a stringere i denti e a tirare avanti nonostante tutte le difficoltà. La speranza del governo è quella che, da qui alle prossime elezioni federali, previste per l’autunno del 2025, il boom di AfD si sgonfi almeno parzialmente, magari con l’aiuto della magistratura e dell’Ufficio per la Protezione della Costituzione (Bundesamt für Verfassungsschutz), che da anni minacciano AfD con il bastone della messa fuorilegge a causa della presunta natura incostituzionale del partito.

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Molto, come già detto, dipenderà tuttavia dalla FDP. Una volta usciti dal parlamento, infatti, sarebbe arduo, per i Liberali, rientrarvi, visto e considerato anche che, in Germania, i governi tendono, diversamente che in Italia, a completare per intero il loro mandato. Considerazioni come queste potrebbero, almeno in linea teorica, suggerire alla FDP un’uscita dal governo, o quantomeno un appoggio esterno, per cercare di salvare i pochi consensi rimasti. Ma la frustrazione non manca nemmeno tra i Verdi, la cui ala oltranzista, vicina a movimenti estremisti come Letzte Generation ed Ende Gelände, ormai da mesi rumoreggia contro la cosiddetta responsabilità ostentata dai vertici di partito, che di fronte alla chiusura delle centrali nucleari tedesche hanno dovuto ingoiare, allo stesso tempo, la riapertura di alcune centrali a carbone.

I disastri del green deal

Ma i guai a tema “verde” non si fermano qui. È notizia di pochi giorni fa quella per cui il governo tedesco è dovuto intervenire, forse illegalmente, con oltre dieci miliardi di euro di fondi federali per salvare dal fallimento nientemeno che Siemens Energy, fiore all’occhiello dell’industria teutonica, i cui colossali investimenti nel settore dell’eolico off-shore, fortemente caldeggiati dal governo in carica, si sono risolti in un disastro.

Non solo Berlino: L’Aia, Vienna, Berna, Bratislava

E la tendenza non è certamente casuale. Analoghi campanelli d’allarme suonano per i governi dei paesi nei dintorni della Germania. Nei Paesi Bassi, come noto, i sovranisti del PVV di Geert Wilders hanno ampiamente trionfato sui suoi avversari, mettendo una seria ipoteca sul prossimo governo all’Aia. In Svizzera le recentissime elezioni hanno premiato i conservatori di destra dell’UDC-SVP-PPS e penalizzato fortemente i partiti ambientalisti, mentre in Austria i nazionalconservatori della FPÖ, alleati europei di AfD, sono ampiamente primo partito nei sondaggi, tenendo a distanza di oltre dieci punti i socialdemocratici e i popolari, e puntando seriamente al cancellierato per le prossime elezioni, che potrebbero installare per la prima volta un cancelliere nazionalconservatore a Vienna. Nella vicina Slovacchia i socialdemocratici sovranisti e antisanzionisti di Robert Fico si sono imposti sui partiti europeisti e sono andati al governo con la destra radicale. Il tutto senza nemmeno menzionare la Francia, dove Marine Le Pen appare al momento favorita alle elezioni presidenziali.

Un futuro precario

Il clima a Berlino è quello di un sostanziale assedio, sia dall’interno, con un’opinione pubblica ormai stanca di ambientalismo dogmatico e sanzioni contro la Russia, sia dall’esterno, con l’Europa che rischia di riempirsi di governi ostili al progressismo immigrazionista e green del Semaforo. Ricorrendo ad un celebre topos italiano possiamo dire che Scholz è riuscito, una volta ancora, a mangiare il panettone. Su quello del 2024, tuttavia, sono aperte le scommesse.

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.