Pubblichiamo l’intervento di Marco Malaguti al laboratorio internazionale promosso dalla Fondazione ID nella sua sede di Bratislava, lo scorso 30 novembre, sul problema e la minaccia del wokeismo.


Cari amici e convenuti,

tra i vari fili conduttori che uniscono le dottrine totalitarie che hanno insanguinato gli ultimi due secoli dell’Europa vi è, senza dubbio, quello del topos del risveglio. L’età delle grandi contrapposizioni ideologiche comincia, non a caso, con l’Illuminismo, la cui parola rievoca immediatamente il lume che risveglia, che porta la luce tra le tenebre della notte. A sua volta, il marxismo, storicamente inteso, ha sempre sottolineato l’importanza del risveglio delle forze operaie e proletarie, che facesse prendere a loro stesse coscienza della propria forza e che, al contempo, permettesse una critica radicale degli assetti del potere. L’appello al risveglio è stato ripreso anche dai totalitarismi di destra del ventesimo secolo: “Deutschland erwache!” è stato forse uno dei più celebri slogan della dittatura nazionalsocialista. Il cosiddetto wokeismo contemporaneo non fa eccezione.

Tutte le dottrine elencate presuppongono, quindi, uno stato di sonno, negativamente connotato, ad uno di veglia e consapevolezza, connotato invece positivamente. In poche parole, tutte queste dottrine sono accomunate, in linea teorica, dal disprezzo e dalla svalutazione del passato, visto come il regno del sonno e dell’inconscia ignoranza, e dalla glorificazione del presente e del futuro, visti come l’areale del dominio della consapevolezza, della verità finalmente scoperta. Vediamo però come dietro questa pretesa di definire che cosa è risveglio e che cosa è sonno vi è la non celata volontà di bollare tutto ciò che viene dal passato come retrogrado, irrazionale e pericoloso. Al contrario, è il futuro ad essere radioso e promettente, secondo la tipica immagine marxista del “Sol dell’avvenire”.

Non indugerò ulteriormente nella storia delle dottrine politiche e della filosofia, basti semplicemente sapere che l’ideologia woke è l’ultima di questa serie di dichiarazioni di guerra contro il passato e la storia dell’Europa, l’ennesimo costruttivismo che, come indica già la parola, ha come obbiettivo non solo la costruzione di una società e, soprattutto, di un uomo nuovo, ma di un apparato di vigilanza contro ogni possibile ritorno, in forma conservativa o rivisitata, di ciò che era la cultura e la società conservatrice. L’imperativo “Stay woke” indica proprio questo, lo stare svegli affinché il passato, visto come ricettacolo di esclusione, sopraffazione e violenza, non torni più. In verità, lungi dall’essere non violento, il wokeismo fa ampio uso della violenza, tanto fisica quanto verbale e psicologica.

Nemmeno troppo paradossalmente, il wokeismo condivide con la cultura conservatrice un’importante convinzione, quella secondo la quale il passato e gli uomini che lo popolarono non sarebbero qualcosa di consegnato in perpetuo all’oblio, quanto piuttosto un elemento che esercita, in maniera viva e pervasiva, un’influenza pesante sul presente. L’appello a rimanere svegli tipico del wokeismo è, a ben vedere, un appello a monitorare continuamente questa influenza del passato e, laddove necessario, a depurarla e a combatterla. Mentre la cultura conservatrice, pur riconoscendo alla storia dei popoli ed al loro passato innumerevoli difetti e storture, individua in essa la depositaria di una saggezza in grado di guidarli verso il futuro, per il wokeismo è esattamente l’opposto. Le nostre radici di europei ed occidentali non vanno quindi soltanto studiate e vilipese in ogni modo ma, proprio perché vive e continuamente esercitanti la loro influenza, vanno, secondo gli apologeti della cultura woke, decostruite.

Le ossessioni principali del cosiddetto wokeismo sono sostanzialmente due: l’ipotetico razzismo e il supposto sessismo che regnerebbero, secondo loro, incontrastati in Europa ed in Occidente. Negli Stati Uniti il primo è stato affrontato dall’ondata del cosiddetto movimento Black Lives Matter, il secondo dall’ondata neo-femminista del movimento #MeToo. Va ricordato che con le definizioni di razzismo e sessismo i progressisti esponenti della cosiddetta “cultura woke” non intendono esclusivamente ciò che, con queste definizioni, indicano i dizionari, quanto piuttosto l’intera storia dei rapporti intercorsi tra l’Occidente e gli altri popoli e tra l’uomo e la donna nel corso della storia. Il wokeismo dunque non si limita, come i vecchi totalitarismi, a stigmatizzare il passato, ma si propone di combatterlo attivamente, proprio perché del passato e della tradizione riconosce l’indiscutibile forza e l’imprescindibile antidoto contrapposto alla loro utopia costruttivista.

Censura e rimozione del passato, dunque, non sono sufficienti, occorre qualcosa di più. Secondo il wokeismo, per costruire l’uomo nuovo, anzi, la persona nuova, è necessario fornire una nuova Weltanschauung onnicomprensiva. La prospettiva woke di fronte al problema dell’uomo in realtà è tutt’altro che nuova, così come appaiono già piuttosto le vetuste le presunte strategie volte alla sua creazione.

La prospettiva che sta alla base del wokeismo è quella secondo la quale ogni rapporto sociale, ogni eredità trasmessa dal passato, ogni identità nazionale, religiosa, politica, sia nient’altro che un artificio, un costrutto sociale. Il wokeismo è il trionfo del soggettivismo: nella prospettiva woke la persona non è più soltanto individuo ma è soggetto radicale, laddove con il termine “radicale” si intende la matrice che sta alla radice di tutto. L’idea che l’uomo sia un prodotto di una terra, di una storia e di una cultura rappresenta una catena alla quale il wokeismo contrappone l’utopia dell’uomo che si autocostruisce secondo le proprie preferenze e i propri bisogni o, forse più correttamente, secondo i propri desideri. Questo esasperato monadismo soggettivistico costituisce indubbiamente la radice liberale della Weltanschauung woke, a cui si aggiunge però in maniera ancora più pervasiva un’eredità figlia del marxismo.

In quanto materialistica, la cultura woke non può fare altro che considerare ogni configurazione sociale vigente come il prodotto di un confliggersi di materiali forze cieche. La configurazione sociale, che i marxisti chiamano sovrastruttura, è figlia quindi di quei rapporti di forza che i medesimi marxisti chiamano struttura. È qui che possiamo trovare le basi delle teorie e delle azioni woke all’interno della cultura occidentale. Per modificare i presuntamente ingiusti rapporti afferenti alla sovrastruttura occorre intervenire sulla struttura.

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Sconfitta sul campo di battaglia dell’economia, la Weltanschauung marxista ha solo cambiato appostamento prospettico. Come già subodorato dal cosiddetto “marxismo occidentale” della Scuola di Francoforte e dai soltanto apparentemente loro avversari postmoderni, il campo di battaglia più promettente si trovava altrove. L’ascesa della psicanalisi e della filosofia del linguaggio aveva infatti mostrato ai filosofi ed ai sociologi progressisti un campo decisamente più agevole nel quale dare battaglia alle cosiddette ingiustizie del loro tempo. Se nel 1989 l’economia sembrava dare ragione in tutto e per tutto ai liberali e ai conservatori, lo stesso non si poteva dire dei fumosi e astratti campi della psicologia, della linguistica e della semiotica. Il liberalismo economicista trionfante, poi, appariva (e appare) poco interessato a questi campi di studio, dimostrandosi disposto a concedere ai progressisti un ambito, per esso, di nessun interesse.

Abbandonato quindi il campo dell’economia, ma non il piano generale di rivoluzione sovrastrutturale da attuarsi intervenendo sulla base strutturale della società occorreva quindi ridefinire cosa questa base strutturale fosse. Esiliati nel piano dell’astratto intellettualismo dal liberismo trionfante, i “marxisti occidentali” sostituirono all’idea della vecchia base strutturale, fatta di rapporti di produzione, operai e fabbriche, quella di una nuova base strutturale, fatta di rapporti tra sessi (psicanalisi) e di giochi linguistici (filosofia del linguaggio). Per ottenere una società più giusta, in poche parole, non bisognava più intervenire sulle dinamiche di sfruttamento economico, ma su quelle sessuali e linguistiche, prospettiva che si dimostrava di assoluta fertilità e che al contempo non indispettiva l’assetto neoliberale ma che, anzi, tendeva, in molti punti, a rinforzarne le dinamiche e la portata ideologica, di per sé abbastanza anemica. La lotta di classe dunque non è scomparsa, ma è solo mutata camaleonticamente nella forma di lotta tra sessi (o “generi”) e di lotta per il linguaggio inclusivo. Ciò non significa, beninteso, che le forze oggi operanti nella scia del cosiddetto “wokeismo” siano costituite da machiavellici marxisti sotto mentite spoglie, quanto piuttosto evidenzia l’esistenza di una prassi, di un modus operandi, che agisce al servizio di una sorta di ur-progressismo, antecedente tanto al marxismo quanto allo stesso illuminismo, che sarebbe di grande interesse approfondire e studiare.

Il wokeismo si configura quindi, hegelianamente parlando, come la sintesi della contrapposizione tra liberalismo e marxismo, che eredita dal primo l’utopia individualistica-solipsistica lockiana e stirneriana del Soggetto come ente autopoietico e costruttore di sé medesimo, e dall’altra la prassi della rivoluzione sovrastrutturale da attuarsi con interventi mirati all’interno della struttura. Avanzando un ulteriore parallelismo con la storia potremmo evidenziare anche notevoli somiglianze con quello che fu l’episodio storico della rivoluzione culturale cinese e, più in generale, con il maoismo.

Diversamente dal socialismo sovietico, etichettato spesso da Mao come fenomeno reazionario e borghese, il maoismo condivide con il wokeismo contemporaneo la dottrina della cosiddetta rivoluzione permanente. Qui la differenza coi totalitarismi precedenti non potrebbe essere più marcata. Le utopie dell’uomo nuovo e della società nuova non sono, per il wokeismo, uno stato paradisiaco che, una volta raggiunto, durerà per sempre nella sua forma, quanto piuttosto uno stato di movimento e di ridefinizione perenne dell’esistente, un caos creativo nel quale la libertà si espliciterebbe da sé, e per sé, per mano degli individui che costantemente mutano forma e identità. Tra le altre cose, il wokeismo condivide con la rivoluzione culturale di Mao anche la dinamica endo-diretta. Il wokeismo non è una rivoluzione degli oppressi contro gli oppressori, quanto piuttosto una rivoluzione attuata dall’alto, dalle classi dirigenti occidentali, contro i loro medesimi popoli e che, esattamente come la rivoluzione culturale maoista, coadiuva, in questa lotta, gli elementi più indottrinati e fanatizzati della società: i giovani, e in particolare gli studenti. Il fatto che, in ambito accademico, culturale e politico, molti esponenti occidentali del wokeismo, siano stati, in gioventù, militanti di movimenti studenteschi maoisti, costituisce un interessante e pesante elemento a suffragio di questo rapporto di parentela.

Pur risultando, quindi, una ricombinazione di elementi vetusti, il wokeismo si presenta come fenomeno culturale nuovo, un fenomeno sconosciuto ai conservatori e agli identitari contemporanei che non possono più, quindi, contrapporvi il classico arsenale di critiche un tempo destinato al marxismo classico. L’Europa Orientale, che ha conosciuto la dittatura comunista e i lunghi decenni di oppressione da parte del dogmatico socialismo di Mosca, può facilmente riconoscere le dinamiche classiche della disinformazione e della propaganda messe in atto dal wokeismo, ma deve rendersi altresì conto di trovarsi di fronte ad un fenomeno tanto nuovo quanto insidioso, lo studio del quale rappresenta, per i conservatori, una necessità inderogabile. La storia travagliata di questa parte d’Europa, che ha conosciuto per esperienza diretta l’oppressione comunista e che al contempo è rimasta aliena dalle influenze occidentali postmoderne, costituisce dunque un’ottima base per reagire all’odierna marea del wokeismo, in quanto offre, come punto di osservazione del fenomeno, quello privilegiato ed indiscutibile della realtà. Lungi da ogni eccessivo ottimismo, però, occorre ricordarsi che l’odierno wokeismo è primariamente un fenomeno irrazionale, emozionale e, come tale, insensibile a qualsiasi richiamo alla ragione. Contrapporre al wokeismo esclusivamente la ragione e la logica risulta sterile. Ancora una volta può essere il nostro passato ad aiutarci. Quando, infatti, si parla di evocare emozioni positive, il Bello, il Sublime, la Perfezione, nessuno più dei conservatori e delle tradizioni dei popoli europei, è in grado di vincere le battaglie.

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.