Le accuse rivolte al professore ordinario, oggi vittima e ieri padrino delle “cacciatrici di streghe”
«Tutelerò la mia buona reputazione in ogni sede, contro questa assurda caccia alle streghe». Così Federico Vercellone, professore ordinario del dipartimento di filosofia dell’Università di Torino, si è espresso negli scorsi giorni in un’intervista a “La Repubblica” in merito alle accuse di presunte molestie mosse nei suoi confronti. Per l’esattezza gli atteggiamenti incriminati consisterebbero in battute allusive, messaggi privati e sguardi rivolti a due dottorande. Attualmente sul professore non pende né un’inchiesta né una denuncia né qualsivoglia atto ufficiale. Per la commissione di disciplina dell’ateneo, però, sono state sufficienti queste ventate accusatorie e la mobilitazione femminista – manifestazioni, blocco delle lezioni, raccolta di segnalazioni anonime di altre presunte molestie – per predisporre la sospensione per un mese dall’insegnamento e la privazione del relativo stipendio.
Per chi vive in prima persona la realtà politica e culturale torinese, la vicenda non desta alcuno scalpore. Nei confronti della galassia dei centri sociali, infatti, l’università ha sempre assunto atteggiamenti di estrema indulgenza se non direttamente di aperto sostegno politico e ideologico. La ruota tutta rossa e arcobaleno delle violenze verbali e delle mobilitazioni, però, è girata e il “povero” Vercellone si è ritrovato vittima delle stesse “cacciatrici di streghe” che per anni ha fomentato e fiancheggiato, almeno in parte, insieme al mondo accademico. Così non destano scalpore neanche le dichiarazioni rilasciate a “La Repubblica”, ennesima occasione persa per un accademico di tacere a reti unificate.
L’estrema indulgenza verso le femministe e i centri sociali: alcuni episodi passati
Sono diverse e ricorrenti le violenze dei centri sociali all’ombra delle cattedre e della Mole. Puntuali come un orologio svizzero sono innanzitutto le aggressioni ai militanti del Fuan-Azione Universitaria, lista di destra, nel corso dei loro volantinaggi. Nel 2014 si assistette a spintoni, bastonate e lanci di uova, nel 2015 al ferimento di tre militanti di destra, nel 2017 e negli anni successivi a tentativi di aggressione fisica non riusciti solo per il pronto intervento delle forze dell’ordine, nel 2020 all’accerchiamento di un’auto della polizia, alla devastazione dell’aula Borsellino (uno spazio legittimamente assegnato al Fuan) e ai successivi procedimenti giudiziari per trentuno antagonisti e nel 2023 al tentativo di impedire un convegno sul genocidio armeno organizzato dal Fuan in presenza dell’assessore regionale Maurizio Marrone e del professor Marco Ruffili della Ca’ Foscari.
Altre azioni ricorrenti sono le occupazioni delle aule dell’ateneo per finalità ricreative e i lanci di uova in Rettorato: nel 2015 di fronte alla risposta negativa di utilizzo di spazi universitari, nel 2019 nel quadro delle contestazioni dell’apertura di esercizi commerciali nelle sedi dell’ateneo e nel 2020 sulla scia delle polemiche legate a un’iniziativa del Fuan.
Completano il quadro alcune meteore isolate e splendenti. Risale al 2016 la lettera tutta intrisa di elogi e lacrime di Paolo Virzì a un’attivista in fuga a seguito di diversi episodi di violenza nei contesti universitari e “NoTav”. Nel 2019, invece, è stata la volta della rivendicazione di assorbenti e preservativi gratuiti. Nel 2020 si è poi resa infelice protagonista una professoressa che, nel contesto delle violenze dei centri sociali, ha ignorato le indicazioni delle forze dell’ordine e ha sospeso le prove d’esame assegnando un “trenta” a tutti.
Un’università avanguardia del politicamente corretto
Nei confronti dei violenti, l’università asciuga il moccio con una mano e con l’altra imbocca forchettate di pappa ideologica. Immediatamente dopo la bufera che ha investito Vercellone, la Sezione di Filosofia del DFE ha espresso «la sua solidarietà con le e gli studenti» e ha subito promesso «un cambiamento radicale, partendo dal modo in cui ci comportiamo». Una dialettica simile non fa altro che ripetere e scimmiottare le posizioni dei centri sociali, i loro deliri su uno stato delle cose, al di là delle singole “mele marce”, interamente intriso di patriarcato e violenze di genere.
In una più ampia prospettiva è possibile intravedere l’elevata penetrazione ideologica del politicamente corretto all’interno dell’università torinese. Quest’ultima può “vantare” innanzitutto la prima cattedra dedicata nel nostro Paese alla “storia dell’omosessualità”. Più in profondità non sono mancati altri insegnamenti più “discreti”, rimasti ai margini dei clamori massmediatici ma ugualmente orientati ideologicamente: un’analisi del femminismo radicale e dei suoi paradigmi (storia delle donne, storia di genere e queer story), un approfondimento della filosofia antica nel segno dell’elogio della razionalità politica e della massima di Marco Aurelio «Il modo migliore di resistere è non adeguarsi», la “decostruzione” e la critica della virilità guerriera nella letteratura tedesca successiva alla Prima Guerra Mondiale.
Complessivamente l’università si ritrova allineata alla medesima visione del mondo dei centri sociali, allo stesso modo del padrone con i suoi cani da guardia. Questi ultimi rappresentano una minoranza di fronte all’intera platea studentesca, un nucleo esiguo di persone rumorose, isteriche e accecate dal dogmatismo – ne costituisce una prova tangibile, in tal senso, l’afflusso al voto, praticamente mai al di sopra del 10%, alle elezioni universitarie.
Una conclusione
Complessivamente Vercellone è, allo stesso tempo, vittima e in parte artefice della bufera che lo ha investito negli scorsi giorni. Per una volta la furia rossa e arcobalenata travolge uno dei suoi padrini ideologici e non un diretto avversario.
«Quando tutto viene sentito come violenza, nulla è violenza» ha poi dichiarato Vercellone nell’ultima intervista già citata a “La Repubblica”. Si tratta, però, di un rinsavimento troppo tardivo e vile. Fino allo scorso anno, infatti, Vercellone rilasciava un’altra intervista alla stessa testata nella quale blaterava intorno a un populismo che «sconfina nel kitsch» e a una filosofia che «può essere utile per contrastare le fake news, comprendere se una notizia è possibile, introdurre un elemento critico nella comunicazione sociale». «Spesso – concludeva, quindi, Vercellone con la solita zuppa di luoghi comuni – questa funziona male, o è strumentale, densa di elementi emozionali e povera di quelli razionali. Alla fine, ragionare non può che fare del bene a tutti». Se si ragiona e se si osserva la realtà al netto di posizioni conformiste e narcisiste, però, appare con tutta chiarezza che l’assenza di critica e il rigurgito di emozionalità costituiscono tratti tipici della sinistra e delle accademie.
Collaboratore giornalistico e studioso di storia contemporanea. Si occupa, in particolare, delle ideologie politiche del Novecento italiano.
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