di Corrado Borghi

La politica italiana ci ha abituato a un ottovolante di giravolte e sorprese, mentre i pilastri ultimi della sua politica estera sono sempre rimasti tendenzialmente gli stessi (l’adesione all’Alleanza Nord Atlantica, la questione mediterranea e la promozione dell’integrazione europea), al di là della superficie di mosse spettacolari quanto estemporanee. Pensiamo ad esempio alla formidabile “autonomia” raggiunta durante i gabinetti Berlusconi e alle amicizie personali del Cavaliere con il presidente russo Putin e il colonnello Gheddafi.

Al contrario, i rapporti con la Cina hanno presentato nell’ultimo decennio uno scenario più complesso. Il “pivot” cinese deciso nel 2019 dall’allora premier Conte, che ha portato l’Italia progressivamente all’interno della Belt and Road Initiative (BRI, Nuova Via della Seta), è stata una decisione epocale, che ha interrotto un flusso più lineare e prevedibile della politica estera italiana, ovvero la sua posizione indiscutibilmente filoamericana.

All’epoca di questo cambiamento, solo Guglielmo Picchi, allora viceministro degli Esteri, emerse come voce critica di cautela, esprimendo “riserve sulle implicazioni strategiche ed economiche del coinvolgimento dell’Italia nella BRI”. Le sue preoccupazioni ruotavano attorno a questioni come la trasparenza degli accordi, il potenziale per la Cina di acquisire un’influenza sproporzionata nelle infrastrutture critiche italiane e le più ampie implicazioni geopolitiche per gli allineamenti dell’Italia nel contesto europeo e transatlantico”[1].

Sebbene le posizioni di Picchi non abbiano avuto immediatamente un effetto determinante nell’impedire l’approfondimento della convergenza cino-italiana, esse hanno di fatto alimentato il pensiero politico e militare conservatore di politica estera alla base dell’uscita di Roma dalla BRI, avvenuta lo scorso dicembre, forse con l’obiettivo di ripristinare un “approccio più cauto e misurato, assicurando che alcune salvaguardie e limiti fossero in atto”[2].

Eppure, a pochi mesi da questo importante passaggio, il 10 e 11 aprile la stampa italiana ha giustamente sottolineato l’importanza politica dell’incontro a Venezia e Verona tra il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, e il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao. I vertici governativi hanno co-presieduto la 15esima sessione della Commissione economica intergovernativa congiunta, a margine della quale il vicepresidente del Consiglio italiano è sembrato dare una “seconda vita” all'”amicizia strategica commerciale ed economica” (come ricordato dallo stesso Tajani) con Pechino.

Il massimo responsabile della politica estera italiana ha infatti dichiarato che l’Italia vuole “inaugurare una nuova fase delle relazioni bilaterali e investire nel partenariato, nell’anno in cui si celebra il 20° anniversario dell’Accordo Globale Strategico di Partenariato stabilito tra i due Paesi nel 2004 e il 700° anniversario della scomparsa di Marco Polo”.

La razionalità cinese mira a evitare che le tensioni bilaterali strutturali e di ampia portata con gli Stati Uniti influenzino le relazioni costruttive e reciprocamente vantaggiose con i partner europei, al fine di spostarli dall’inquietante posizione di essere presi nel mezzo di questo “fuoco incrociato”[3].

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Inoltre, il potenziale riavvicinamento serve all’Italia per aumentare gli investimenti diretti cinesi e per un (difficile) riequilibrio della bilancia commerciale, esprimendo al contempo la speranza di una posizione più collaborativa e costruttiva di Pechino nei confronti dell’agenda UE/NATO sulla guerra in Ucraina[4].

Commento finale

Stiamo assistendo negli affari esteri a un “ritorno della Storia”, al riemergere dell’equilibrio di potere, ora così ben descritto dagli spin doctor russi come “mnogopoliarnost’“, cioè un mondo multipolare. Nel contesto di questi cambiamenti tettonici nel quadro morale e operativo che regola le relazioni intergovernative, le nuove “forze profonde” (come direbbe Renauvin) stanno dalla parte di attori consolidanti come la Cina (o l’India).

Lo sgretolamento definitivo dei mezzi unipolari per far rispettare l’ordine internazionale (esistiti brevemente, di recente, solo all’inizio degli anni Novanta, ricordiamo la caduta dell’Unione Sovietica, le conseguenze dell’aggressione irachena al Kuwait o le azioni della NATO nell’ex Jugoslavia) lascia il posto, inesorabilmente, alle sfere di influenza regionali e alla politica delle grandi potenze negli affari esteri tra un “concerto” di grandi nazioni.

Il caso della Cina è istruttivo e lascia presagire conseguenze prevedibili per le sue ambizioni di ripristinare quello che ritiene essere il suo diritto storico e morale di riunire il suo popolo in un unico Paese. Il consolidamento delle relazioni economiche e commerciali con l’Europa, la mediazione e la collaborazione con il Cremlino per quanto riguarda la guerra in Ucraina, sono tutti pilastri diplomatici per un più ampio spazio di manovra nella realizzazione delle suddette ambizioni storiche.

Per quanto riguarda l’Italia, in quanto potenza principalmente regionale, gli obiettivi di politica estera a lungo termine sono guidati in parte dai suoi problemi macroeconomici strutturali (ad esempio, bassi tassi di crescita economica, bassa crescita della produttività, rigidità strutturali del mercato), che richiedono una forte promozione degli IDE e delle esportazioni italiane, che può essere facilitata adottando, per quanto possibile, posizioni sfumate e pragmatiche nei confronti di alcune questioni internazionali.

A seguito di queste considerazioni strutturali e storiche, è giunto il momento di una politica estera italiana più audace e autonoma nei confronti della Cina? È arrivato il momento di un nuovo consenso post-Picchi? O l’incontro di Venezia è solo un’altra operazione fotografica?

Note

[1] Guglielmo Picchi, “Italy’s Exit from the Belt and Road Initiative: An Analysis of Strategic Realignment and the Minor Role of Guglielmo Picchi”, 6 dicembre 2023, https://www.linkedin.com/pulse/italys-exit-from-belt-road-initiative-analysis-strategic-picchi-kckof

[2] Ibidem.

[3] Gabriele Carrer, “La Cina spinge l’Ue (e l’Italia) verso la terza via con gli Usa”, Formiche.net, 9 aprile 2024,  https://formiche.net/2024/04/cina-europa-global-times/#content

[4] Gabriele Carrer, “Italia-Cina, Tajani indica la via per le relazioni post Via della Seta”, Formiche.net, 11 aprile 2024,  https://formiche.net/2024/04/italia-cina-tajani-wang/#content

Esperto di relazioni internazionali.