di Emanuele Mastrangelo e Enrico Petrucci

Inghilterra: «audiolibro piccantissimo, non sentire a volume alto!»

Nel bollettino della scorsa settimana ironizzavamo su come dall’humour britannico si stia passando al trigger warning britannico. Ecco un’altra notizia che conferma questa tendenza, con il trigger warning per gli audiolibri. Eggià, perché non sia mai, se ascoltate l’audiolibro in un luogo pubblico e vi sentono, qualcuno potrebbe restare traumatizzato o intersezionalmente offeso.

La vicenda è stata segnalata per l’ultimo romanzo di Dennis Lehane, autore tra l’altro di «Mystic River» e «Shutter Island» da cui sono stati tratti gli omonimi film, «Piccoli atti di misericordia» («Small Mercies»). Da come riporta il Telegraph questo speciale warning nasce da una serie di burle di tendenza su TikTok in cui vengono diffusi in pubblico clip audio “inappropriate” di audiolibri per vedere le reazioni della gente. Burle basate in genere passaggi tratti da «50 sfumature di grigio», non certo su angoscianti thriller sulle tensioni razziali della Boston degli anni ’50. Tze, che ragazzini…

In ogni caso nel Regno Unito sempre più personalità prendono posizione contro questa evidente esagerazione dei trigger warning, come recentemente Cate Blanchett (2) e Ralph Fiennes (3). Inoltre l’effetto del trigger warning è probabilmente contrario all’intenzione che vorrebbe suscitare come dimostrerebbe uno studio (4) della Flinders University di Adelaide, Australia (ateneo 380° nel ranking mondiale) che spiega come marchiare con un avviso un’opera aumenti la curiosità del potenziale lettore e, quindi, del potenziale offeso per il cosiddetto “effetto Pandora”. Bella scoperta, lo sapevamo dai tempi del VM18.

Scozia: la farina di Yousaf va tutta in crusca (ma i conservatori dormono…)

Nel frattempo il primo ministro scozzese Humza Yousaf si è dimesso. Ma sebbene la legge sull’hate speech gli abbia fatto perdere consenso tra i suoi elettori, il problema politico sarebbe un altro. Purtroppo non è come la racconta un giornale conservatore come lo Sky News australiano, che titola “La vendetta di JK Rowling”. In realtà pare che Yousaf si sia dimesso non perché sia stato troppo woke, bensì perché è troppo poco woke! Il leader dello Scottish National Party, laburista-socialdemocratico, ha infatti abbandonato l’ambizioso programma legislativo per gli obbiettivi climatici. Una mossa che gli è costata il sostegno dei verdi scozzesi (5). Un doppio e maldestro spin mediatico: da un lato il tentativo di Yousaf di riconnettersi all’elettorato rinunciando alle tematiche ambientaliste più estreme dopo aver tenuto il punto sull’hate speech. Dall’altro i verdi che hanno avuto gioco facile a scaricare una figura politica ormai indifendibile.

Dal punto di vista dei partiti conservatori scozzesi, più una vittoria tattica causata dalle divisioni in campo avversario che un reale successo. Un elemento da non sottovalutare sul piano politico: la vera e unica vittoria sarà quando si inizierà lo smantellamento delle mostruosità giuridiche portate avanti dal regime woke di Yousaf. E infatti mentre in Scozia si cambia primo ministro (vedremo chi ne prenderà lo scranno) a Londra festeggia un altro specialista di wokkate (come le fermate delle metropolitana inclusive), ovvero Sadiq Khan. Poche settimane fa segnalavamo questa dichiarazione dell’avversaria, la candidata sindaco tory, Susan Hall a proposito delle linee di metropolitana dai nomi inclusivi: «1.000 persone sono state uccise sotto il suo mandato di sindaco e Sadiq Khan è interessato solo a queste sciocchezze da virtuoso».

Eppure, evidentemente le wokkate «virtuose» continuano a pagare in un’opinione pubblica ormai narcotizzata. Forse sarebbe ora di prendere più sul serio queste «sciocchezze da virtuoso», se non si riesce a vincere un’elezione locale neppure davanti all’evidente disastro sociale del wokeismo e se i regimi liberal cadono non per le loro indegne politiche woke, ma perché non ne fanno abbastanza. Finché i conservatori non smetteranno di replicare alla guerra culturale del wokeismo con sorrisetti e alzate di spalle continueranno a piazzarsi secondi o a covare gloriuzze non per meriti loro ma per demeriti dei loro avversari.

Gli spontanei attivisti eterodiretti

Attivismo, fluidità gender, ecologia, femminismo e altre wokkate: quanto sono realmente iniziative provenienti dai «giovani» e quanto invece frutto di propaganda subdola o martellante? Chi propende per la seconda viene ovviamente marchiato come «complottista»: ma ti pare che ci siano dei pupari che tirano i fili dell’attivismo? I giovani sono eroici, consapevoli e coraggiosi e i boomer non li capiscono.

Ma ecco una raffica di notizie che sembra suggerire esattamente il contrario. Ebbene sì, altro che attivisti «stunning and brave». Le wokkate fra i giovani vengono seminate a piene mani. Cominciamo dal caso delle proteste filo-Hamas nelle università statunitensi. Bloomberg riferisce che alla Columbia quasi un terzo degli «studenti occupanti» non erano affatto studenti, bensì esterni (6). All’università del Texas di Austin su 55 fermati, 26 non erano legati all’università. E il Wall Street Journal rilancia spiegando che gruppi di attivisti dell’estrema sinistra si sono addestrati per mesi per prepararsi alle massicce proteste (7). Chi paga queste organizzazioni? I petrodollari del Qatar? O c’è anche altro (8)? Se lo domanda, dando qualche risposta, il New York Post (9) che racconta di come le organizzazioni universitarie filo-palestinesi siano in grado di fornire anche cospicui rimborsi spesi per i gli «attivisti a cottimo»:

«L’US Campaign for Palestinian Right fornisce fino a 7.800 dollari per i suoi borsisti comunitari e tra i 2.880 e i 3.660 dollari per i suoi “borsisti” universitari, in cambio di otto ore alla settimana per organizzare “campagne” guidate da organizzazioni palestinesi»

E ovviamente non poteva mancare la Open Society, che dopo la pubblicazione dell’articolo del New York Post si è sentita in dovere di precisare:

«Per la cronaca, Open Society Foundations ha una lunga storia di lotta all’antisemitismo, all’islamofobia e a tutte le forme di razzismo e odio. Open Society ha finanziato un ampio spettro di gruppi statunitensi che hanno sostenuto i diritti dei palestinesi e degli israeliani e la risoluzione pacifica del conflitto in Israele e nei Territori».

E a ben guardare alcune iniziative filopalestinesi negli Stati Uniti appare evidente che l’influsso delle monarchie del golfo e i loro petrodollari siano piuttosto lontani. Basti vedere le drag queen per il Queer storytime for Palestine per celebrare la storia della Palestina e gli «eroi queer» destinato ai bambini delle elementari a Northampton, Massachusetts. Chissà che direbbe Hamas di questo insperato alleato arcobaleno? (10)

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Altro fenomeno che richiede massici investimenti per diventare popolare tra i giovani è quello della fenomenologia transgenderista. A portare alla luce come queste tendenze siano in realtà massicciamente finanziate dalle solite noprofit, due femministe francesi (di cui una ha fatto parte del collettivo Femen) nel volume «Transmania», che ha destato diverse polemiche in Francia. Volume che pone la lente d’ingrandimento sulla montagna di soldi necessaria per portare avanti «l’agenda». Del volume delle due femministe Dora Moutot e Marguerite Stern, presto bollate come «TERF, femministe trans-escludenti», ne parla Tempi, che pubblica alcuni estratti (11):

«Se la transmania avanza così rapidamente, è perché dietro ci sono molti soldi. E non si tratta di quelle collette online che vengono lanciate per finanziare le transizioni di individui isolati. Si tratta di ricchissimi “filantropi”, attraverso una miriade di fondazioni e Ong».

Da segnalare (ma gli importi sono comunque relativi), che a finanziare queste no-profit per il transgenderismo c’è anche un’azienda farmaceutica che produce bloccanti della pubertà. Sarà mica un conflitto d’interessi? Battute e complessità dei fenomeni a parte (non si può ridurre certamente la questione israelo-palestinese ai soli «attivisti-a-cottimo» delle università statunitensi) è evidente che la questione delle no-profit dai bilanci miliardari e di come queste possano trasformare argomenti del tutto marginali in fenomeni di massa è il vero elefante della stanza della comunicazione dei nostri tempi.

USA. Grasso è bello e fa bene alla salute. E se non lo pensi, occhio alla laurea…

Andreste a farvi curare da un medico che invece di medicina ha studiato «inclusività»? Quello che si rischia prendendosene uno uscito dall’Università della California di Los Angeles. Presso la David Geffen School of Medicine, una delle più prestigiose a quanto riferisce Wikipedia, si è infatti tenuto un corso-seminario, obbligatorio, intitolato Structural Racism and Health Equity. Fra gli argomenti, anche la cosiddetta «grasso fobia». A quanto riporterebbero i contenuti del corso rilanciati da Fox News (12):

«È dimostrato che la perdita di peso è un’impresa inutile e senza speranza. È improbabile che si riesca a perdere peso in modo permanente ed è altamente probabile che ci si esponga alla miriade di rischi associati al ciclismo del peso. Anche il rapporto tra peso e salute è sfumato».

Studi per correlare infarti e ictus che vengono ai grassoni all’ora legale, ai film dell’orrore, al cambiamento climatico e ovviamente al razzismo sistemico sono già in corso. E basta prendersela con quell’innocente, povero, discriminato colesterolo a 600 delle ultime analisi, dannati colesterolofobi!

Come di consueto, per tutti i San Tommaso che non si fidano, ecco le fonti:

Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).

Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano(Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia(Eclettica, 2020).