di Rita Angelini

La Francia è uno degli Stati europei che ha mantenuto i più forti legami con il suo ex impero coloniale, attraverso una nutrita presenza in tutte quelle zone dell’Africa sulle quali sono presenti i suoi interessi economici. Nella cosiddetta Françafrique i cugini d’oltralpe hanno continuato in forma indiretta a gestire il potere e l’economia mediante rapporti di collaborazione con alcuni governi africani.

Tale collegamento con le ex colonie e il flusso delle migrazioni regolari e irregolari hanno intessuto sul territorio francese una rete di organizzazioni musulmane che nel quadro generale della sicurezza interna oggi rappresentano un rischio elevatissimo di diffusione della radicalizzazione e del terrorismo di matrice islamica.

Mentre tutti erano distratti dal conflitto russo-ucraino, la Francia perdeva la sua influenza nel Sahel, sopraffatta da una crescente presenza paramilitare russa e dal dilagare della propaganda antifrancese e anti-coloniale. Le missioni di stabilizzazione lasciavano il territorio africano su richiesta dei governi locali e mentre i golpisti dei nuovi governi intimavano con ultimatum ai francesi di abbandonare le loro basi, la compagnia russa Wagner ampliava la sua area di controllo e di collaborazione con le forze armate locali.

Debacle nel Sahel

Dopo il ritiro delle truppe da Mali e Burkina Faso la Francia ha dovuto abbandonare le basi dislocate in Niger. Il quadro che si configura è quella di una profonda ferita nel dispositivo strategico occidentale, non solo francese, a favore di una sostituzione da parte di altre potenze in Africa. Gli Stati africani che hanno scelto di usufruire del supporto paramilitare fornito dal gruppo Wagner nelle operazioni di controllo del territorio e nelle azioni di controterrorismo, hanno mostrato un approccio distante da quello richiesto dai partner occidentali nell’ambito del rispetto dei diritti umani. Corruzione dilagante e violenza indiscriminata hanno favorito i flussi di profughi verso il mediterraneo, agevolando quell’ecatombe migratoria che era prevedibile e che è risultata funzionale all’aumento del clima di insicurezza e pressione sociale per l’occidente.

Nel mese di marzo del 2024 il Niger ha intimato anche al governo americano di liberare le basi nel territorio dello stato africano agevolando l’insediamento di personale del gruppo “Africa Corps” russo, nuovo partner del governo di Niamey, e forza paramilitare che nel continente nero ha sostituito la compagnia Wagner.

Un modello da non emulare

Il rafforzamento della presenza russa e cinese in Africa ha prodotto una ridefinizione dei rapporti internazionali da parte degli Stati africani con le potenze occidentali. La Francia risulta sicuramente essere la potenza europea che ha subìto la perdita di influenza maggiore nel territorio africano.

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Mentre oltre il Mediterraneo il governo francese stava assistendo a una perdita di controllo nelle sue aree di influenza, in casa le cose non stanno andando meglio.

Il modello di integrazione intrapreso da Parigi e il multiculturalismo assimilazionista hanno condotto i francesi a dover fronteggiare minacce di attentati, allarmi bomba, rivolte nelle periferie, attentati all’arma bianca, anche da parte di elementi isolati che spesso si sono resi protagonisti di atti di violenza estremi. La crescente spirale di odio verso l’occidente, amplificata dal conflitto tra Israele e Hamas, ha prodotto una “questione francese” sfociata in episodi di intolleranza verso l’uomo bianco, non adeguatamente discussi nei salotti occidentali.

La sfida per la salvaguardia dell’identità nazionale

Quello che sta accadendo in Francia va considerato con l’occhio di chi, mentre osserva il vicino, guarda anche in casa propria. Interrogarci su quanto il nostro modello di accoglienza abbia condotto il paese verso un elevato rischio di radicalizzazione e quanto il comparto sicurezza si possa definire pronto ad affrontare la sfida contro il terrorismo ed eventuali sommosse da parte delle comunità insediate in molte delle nostre città. Abbiamo assistito a un’escalation pericolosa che deve spingere tutti i governi europei a utilizzare quelle migliaia di rapporti realizzati dagli analisti di tutto il mondo, rapporti che spesso rimangono appannaggio degli accademici e di pochi addetti ai lavori, per pianificare una strategia a lungo termine, capace di modificare una tendenza chiara e drammatica che sta rendendo gli Stati europei sempre più deboli nella loro identità.

Quali saranno le azioni concrete che dovranno essere messe in campo per minimizzare l’impatto dell’immigrazione sul territorio nazionale e modificare l’attuale scenario di molte realtà urbane? Da questo genere di quesiti parte la vera sfida da vincere a favore del cittadino che ormai spesso si sente ospite in casa propria, obbligato a una tolleranza frustrante che genera sensazione di abbandono.

Dare risposte in tempi brevi a interrogativi come questi servirà a restituire il controllo agli italiani del loro territorio, Territorio del quale uno Stato, per definizione, dovrebbe possedere la sovranità e all’interno del quale i cittadini dovrebbero essere liberi di poter tutelare la propria identità nazionale.

rita angelini

Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Niccolò Cusano, frequenta attualmente il Master in Analista del Medio Oriente presso il medesimo ateneo. Ha frequentato vari corsi di approfondimento sull’Africa Subsahariana e sul terrorismo internazionale.