di Emanuele Mastrangelo e Enrico Petrucci

Join the Queerness and see the world (ma solo in tempo di pace, eh)

Continua la saga delle arcobalenate nelle Forze Armate statunitensi. Ci soffermiamo qui sul caso del tenente colonnello Bree Fram (trans MTF) che a inizio 2024 aveva fatto parlare di sé sui social per un discorso sul rispetto e su “l’uso corretto” dei pronomi. Secondo Fram, tutto ciò rafforzerebbe “lo spirito delle forze armate e aiuta a vincere le guerre”. Stranamente questo discorso aveva scatenato sghignazzate e polemiche sui social, anche perché, al netto del curriculum di assoluto livello del tenente colonnello, che è rocket scientist, i programmi della US Space Force rispetto alle controparti russa e cinese sono generalmente indietro su molti fronti. E nonostante questo, in un’intervista a The Advocate il tenente colonnello ha ribadito la sua posizione. Anzi, ha rilanciato: come, non lo sapete che durante la Guerra di Secessione ci sarebbero stati ben 400 casi di persone transgender ad aver combattuto? Una stima al ribasso comunque, visto che si parla di quasi 1.000 combattenti queer tra nord e sud come ricorda lo stesso The Advocate. Su tre milioni e trecentomila arruolati, per completezza d’informazione…

Eppure nelle Forze Armate statunitensi non tutti la pensano come Bree Farm e Marianne P. Malizia, citata nella scorsa puntata. Un responsabile senior DEI (Diversity, Equity & Inclusion) della Marina (che per occupare quel ruolo ha dovuto scrivere un saggio sul “privilegio bianco”, pensate) ha fatto capire in un’intervista rubata da Steven Crowder e pubblicata su X come gran parte del personale consideri il tutto come una “perdita di tempo”. E che se la Marina dovesse andare realmente in guerra l’inclusività verrebbe subito messa da parte. Insomma, sì, bella l’inclusività, bella la queerness, le bandiere arcobaleno, i balletti di YMCA, ma se arriva la guerra, quella vera, tornano anche le priorità. Quelle vere…

Regno Unito: nuovi mestieri, il decolonizzatore

Non hai arte né parte? Sei stato scartato come cassiere dal MacDonald e la tua ultima spiaggia è offrirti come cavia per esperimenti farmaceutici pericolosi? Non disperare!! Ora puoi trovare la tua strada! Diventa anche tu un decolonizzatore!

475 sterline al giorno di soldi pubblici verranno usati in Inghilterra per pagare un “esperto” che dovrà “decolonizzare” il Vallo di Adriano. Il compito di questo utilissimo e produttivo lavoratore sarà quello di riscrivere i percorsi di guida in due forti del limes romano in Britannia – Arbeia e Segedunum – affinché i visitatori siano edotti del fatto che i brutti e cattivi legionari romani (“compresi gli africani”), erano arrivati come un esercito di occupazione e hanno schiavizzato e ucciso persone. Perché, giustamente, “a parte le fognature, vino, medicina, istruzione, asini pubblici in orario, ordine pubblico, irrigazione, strade, spiagge libere non inquinate, bilancia dei pagamenti in attivo… che cosa hanno fatto i Romani per noi?”.

Il corollario di questa iniziativa è che insistendo sul fatto che i Romani fossero dei crudeli e sanguinari colonialisti, anche l’Inghilterra deve fare mea culpa con le ginocchia sui ceci per il suo passato colonialista. Romanes eunt domus!

Di gretini, femministe e altri pazzi a piede libero

Arriva la bella stagione e riprendono anche le azioni “gretine”, dai templi dell’arte, della storia e del capitalismo. In Inghilterra due arzille ottantenni (delle quali una è anche pastore della Chiesa Anglicana) hanno cercato di danneggiare con scalpelli una teca che conteneva una copia della Magna Charta. Da Giovanni Senza Terra a Giovanni Senza Combustibili Fossili.

In Francia invece le solite wokkate femministe. Presso il Centre Pompidou di Metz dove è in corso la mostra Lacan, The Exhibition: When Art Meets Psychoanalysis, che ospita anche la famigerata L’origine del mondo di Courbet in prestito dal Museé d’Orsay, alcune opere tra cui proprio il quadro di Courbet sono state vandalizzate con scritte me too dall’“artivista” Deborah de Robertis e le sue compari. Tra le opere esposte vandalizzate anche l’opera più celebre della lussemburghese de Robertis, Mirror of Origin, ovvero foto della performance della di lei medesima che mostra la propria “origine del mondo” a gambe aperte davanti al più celebre (e pour cause) Courbet. L’esibizionista è infatti ricordata per queste performance, compresa nel 2016 sempre all’Orsay davanti all’Olympia di Manet. Interessante il proclama lanciato dalla de Robertis, che ha biasimato “il divario misogino” del mondo dell’arte e ha invitato “tutte le donne, con vulva o senza” a reagire.

Scopritori d’acqua calda / 1. Alla fine anche il mainstream venne colto da un leggero sospetto…

“Puoi fregarmi venti volte, ma alla ventunesima me ne accorgo!” diceva Groucho Marx. E così fu che anche il “Corriere della Sera”, con la penna di Luigi Ippolito, il 24 maggio scorso è arrivato alle conclusioni che chi scrive sta gridando nel deserto da quattro anni:

La cancel culture ha toccato la vertigine estrema: l’autocancellazione. La rivista storica dell’università di Cambridge, intitolata finora «Inghilterra Anglo-Sassone», ha annunciato che cambierà nome in «Inghilterra Alto-Medievale e i suoi vicini»: […] il termine stesso «anglosassone» è diventato problematico, qualcosa di cui vergognarsi.

Ben lieti che finalmente si siano accorti del fenomeno pure a via Solferino. Anche se, Ippolito ci consenta la precisazione da maestrina di chi scrive di questo argomento before it was mainstream: la cancel culture è sempre stata una questione di “autocancellazione”.

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Ma la realtà è dura da comprendersi, e molti non la vedrebbero nemmeno se si materializzasse e gli azzannasse un polpaccio: una ridda di benpensanti sui social hanno segnalato come quest’insistere sulla rimozione della parola “anglosassone” dal titolo di una rivista accademica come se fosse una la cancellazione della parola da tutti i dizionari del regno fosse un po’ clickbait. Forse, ma è bene ricordare che a Cambridge la cancel culture va molto di moda: dal convegno dove si definisce Churchill peggio dei nazisti alla gipsoteca costretta a spiegare perché i gessi siano bianchi. Come direbbe Agatha Christie, tre indizi fanno una prova.

Scopritori di acqua calda / 2. Le statue vandalizzate a NY

Un’altra parziale avvisaglia che il pubblico inizi a gradire sempre meno la cancel culture arriva dagli Stati Uniti dove, complice il clima elettorale e le proteste per la pace talvolta “eterodirette” di cui ci siamo già occupati nel Bollettino 12, sono iniziati i ripensamenti. Eric Adams, il sindaco democratico di New York, che almeno sui temi di decoro urbano strizza l’occhio all’elettorato conservatore, ha offerto di tasca sua una “taglia” a chi consentirà di individuare i vandali che in occasione di una manifestazione pro-Palestina hanno scarabocchiato un il monumento ai caduti della Prima guerra mondiale dedicato al 107° Fanteria a Central Park. Ora anche Adams scopre l’acqua calda e biasima i vandali.

«We should not remain silent, because our silence gives the belief that everything is okay and it is not okay. Not only was this statue desecrated, but down the block, another statue was desecrated. We know how important free speech is to this country. It’s the core of our democracy, one that many Americans, like the symbols of these men, fought and ensured that it would stay intact. It’s a unique qualification that this country is so proud to have. These heroes of World War I, who this memorial is honored by, and if you look closely and read the history of this memorial, it is not like others where they lift up generals and high-ranking individuals».

Lacrime di coccodrillo.

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è redattore capo di "CulturaIdentità" ed è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).

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Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano(Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia(Eclettica, 2020).