di Umberto Camillo Iacoviello

Demografia d’Italia: dall’Unità al Fascismo

La popolazione residente in Italia il primo gennaio 1862 ammontava a 26.328.000 unità. Il neonato Regno d’Italia era principalmente rurale: il 67,8% degli italiani risiedeva in centri con meno di 10.000 abitanti. La popolazione registrava un’età media molto bassa, basti pensare che nel decennio 1861-1870 oltre un terzo degli italiani aveva meno di 15 anni. La mortalità nel primo anno di vita costituiva poco meno della metà dei decessi totali, quattro bambini su dieci non raggiungevano il quinto anno di vita.

L’abbassamento del tasso di mortalità (rapporto in percentuale tra i morti e la popolazione vivente, calcolato su base annua) registrato negli anni della transizione demografica.

Nel 1876 è iniziata la transizione demografica, ovvero quel processo in cui si verifica un abbassamento della mortalità e della natalità. Tale processo può essere diviso in due fasi: la «transizione sanitaria» (abbattimento dei rischi di morte, prima in età infantile e poi in età adulta) e la «transizione riproduttiva» (abbassamento della prolificità della coppia). In Italia la transizione demografica è finita nel 1965. A partire dal 1880 la mortalità è iniziata a ridursi stabilmente. Anche la natalità segue lo stesso percorso, seppur più lentamente.

Il tasso di natalità (rapporto in percentuale tra il numero delle nascite e la popolazione vivente, calcolato su base annua) registrato negli anni della transizione demografica

 

Dall’ultimo ventennio dell’Ottocento l’emigrazione ha controbilanciato l’aumento dei tassi di crescita naturale (il numero annuo dei nati vivi è superiore rispetto al numero annuo dei deceduti), negli anni 1912-1913 si è registrato un saldo migratorio netto negativo (gli emigrati superano gli immigrati) di oltre 750.000 italiani (il 2% della popolazione). Durante la prima guerra mondiale il tasso di natalità è sceso, mentre il tasso di mortalità è aumentato, anche a causa dell’influenza spagnola. Subito dopo la guerra natalità e mortalità tornano ai livelli precedenti il conflitto, per poi riprendere la progressiva diminuzione.

Anno Popolazione Nati vivi Morti Saldo naturale
1915 37.997.000 1.138.000 848.000 +290.000
1916 38.166.000 906.000 894.000 +12.000
1917 38.118.000 735.000 990.000 -255.000
1918 37.844.000 676.000 1.324.000 -648.000
Fascismo: «la denatalità è il più urgente fra i problemi dell’epoca»

In Europa, tra la due guerre mondiali, la denatalità iniziò a preoccupare i demografi e i governi. Nel 1928 lo statistico tedesco Richard Korherr pubblicò un testo dal titolo apocalittico: Regresso delle nascite: morte dei popoli. La crescente denatalità dei popoli europei avrebbe portato, nel lungo periodo, all’invecchiamento e alla scomparsa dei popoli autoctoni dell’Europa.
La prefazione all’edizione italiana del testo di Korherr, venne scritta nientemeno che dall’allora capo del governo italiano Benito Mussolini. Nella sua lunga introduzione – riprendendo le tesi dell’autore – Mussolini affermava che la diminuzione del tasso di natalità è la diretta conseguenza dell’urbanesimo. Difatti, già negli anni venti del Novecento, in alcune grandi città del centro e del nord Italia, si registrava un saldo naturale negativo (i decessi superavano le nascite) compensato dalla fecondità della popolazione rurale.

Richard Korherr dopo la presa del potere da parte di Hitler aderì al regime nazionalsocialista e collaborò attivamente con le politiche razziste promosse dalle SS. Nonostante dopo la Seconda guerra mondiale fosse riammesso all’insegnamento universitario e agli incarichi pubblici, la sua collaborazione col nazismo gettò discredito sui suoi studi, anche precedenti al regime.

In ogni caso, le sue tesi su urbanesimo e denatalità erano fondate su solide basi, condivise da molti studiosi, filosofi e politici del tempo.

Per questo motivo il governo fascista tentò di “trattenere” la popolazione nelle campagne: nelle grandi città si facevano pochi figli. Tuttavia, secondo “Storia demografica dell’Italia dall’Unità a oggi”, (Istat, 7 febbraio 2023):

«Negli anni Trenta l’inurbamento prosegue, nonostante i provvedimenti per limitare l’accesso alla residenza e al lavoro nelle città e favorire la colonizzazione interna (in particolare, le leggi 358/1931 e 1092/1939). Tra il 1931 e il 1936 la quota di popolazione nei comuni fino a 10 mila abitanti si riduce di 1,6 punti percentuali, al 49,6% [rispetto al 51,2% del 1931], mentre i residenti in quelli con oltre 250 mila abitanti crescono di mezzo milione (al 15,8%). Nel 1936 Roma e Milano avevano superato il milione di residenti, Napoli ne contava 850 mila e Genova e Torino oltre 600 mila».

Tasso di natalità, 1922-1945

Durante il ventennio fascista il tasso di natalità continuava progressivamente a diminuire.

Scrive Mussolini nella prefazione al libro di Korherr «La città muore, la nazione – senza più le linfe vitali della giovinezza delle nuove generazioni – non può più resistere – composta  com’è oramai di gente vile e invecchiata – a un popolo più giovane che urga alle frontiere abbandonate. Ciò è accaduto. Ciò può ancora accadere». Mussolini vede nella pressione delle popolazioni più giovani una minaccia non solo all’Italia, ma all’intero Occidente, che rischia di “essere sommerso” dai popoli di colore che – sorretti da una fecondità sconosciuta ai popoli bianchi – inevitabilmente, prima o poi, avrebbero “bussato” alle nostre frontiere.

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Nel 1935 venne pubblicato un altro libro dal titolo altrettanto apocalittico, mitigato – solo in parte – dal  punto interrogativo: Europa senza europei? di Guglielmo Danzi. L’autore riprende le tesi di Korherr, sostenendo che la causa della denatalità è da ricercare nell’urbanesimo e annessa «legge del comfort»:

“I discendenti dei conquistatori d’altre epoche sono divenuti delle vere e proprie sentine di filisteismo e di rammollimento borghese. Figli? Costano. È uno dei loro modi di dire. La legge del comfort non permette che si fabbrichino marmocchi: fornisce anzi i più moderni istrumenti antifecondativi a prezzi convenientissimi”.

La tesi dell’epoca era questa. In sostanza il benessere (il «comfort») induce le persone a non riprodursi per non dover rinunciare – neanche a una minima parte – del  suddetto benessere. Nessuna responsabilità. Solo godimento materiale. Danzi analizza la – già all’epoca – preoccupante  situazione demografica europea concludendo:

“Vedranno i figli dei figli i cieli fatti oscuri da centinaia di migliaia di velivoli recanti verso i luoghi dei popoli vecchi nuove migrazioni di popoli giovani? Fiumi di carne umana strariperanno dai lontani alvei, volgendosi all’occidente crepuscolare? L’Europa sprofonderà nella notte? Strani uomini giungeranno a colonizzare le terre ingrassate da tanta morte?”.

Tra gli anni Venti e Trenta del Novecento si preconizzava già la sostituzione etnica. Nessun complottismo. Solo numeri.

Terzo e ultimo testo da segnalare, pubblicato nel 1936, è La politica sociale del Fascismo pubblicato dal PNF. Lo Stato fascista rimarcava l’importanza della natalità, non solo perché una demografia depressa non consente una «politica di potenza», ma per il semplice fatto – se così si può definire – che  una compressione della natalità, nel lungo periodo, conduce alla morte dei popoli. Nel testo si specifica che «se la diminuzione della mortalità compensa in parte il fenomeno della decrescente natalità e consente ancora per alcuni Paesi un lieve incremento naturale della popolazione, tuttavia è da ritenersi che tale situazione sia transitoria e dovuta soltanto all’attuale favorevole composizione per età della popolazione».

Difatti, quasi 60 anni dopo la pubblicazione di questo documento, nel 1993, in Italia si è registrato per la prima volta un saldo naturale negativo: il numero dei morti ha superato il numero dei nati vivi. Nel corso nel Novecento, la popolazione è aumentata perché si è verificato un abbassamento della mortalità e un aumento dell’aspettativa di vita: le persone vivono più a lungo, in termini assoluti i nati vivi – fatta eccezione per alcuni anni – sono  progressivamente diminuiti.
Basti pensare che durante le due guerre mondiali le donne italiane mettevano al mondo il doppio dei figli di oggi.

Anno Nati vivi Morti Saldo naturale
1915 1.138.000 848.000 +290.000
1916 906.000 894.000 +12.000
1917 735.000 990.000 -255.000
1918 676.000 1.324.000 -648.000
1940 1.040.000 616.000 +424.000
1941 930.000 659.000 +271.000
1942 919.000 704.000 +215.000
1943 890.000 792.000 +98.000
1944 822.000 732.000 +90.000
1945 821.000 645.000 +176.000
2020 404.892 (di cui 59.792 stranieri) 740.317 -335.425
2021 400.249 (di cui 56.926 stranieri) 701.346 -301.097
2022 393.33 (di cui 53.079 stranieri) 715.077 -321.744

Nonostante le politiche a sostegno della famiglia promosse dal fascismo, il tasso di fecondità delle donne italiane continuava progressivamente a diminuire. Il numero medio di figli per donna è passato da 3,74 nel 1922 a 2,37 nel 1945.

Numero medio di figli per donna, 1922-1945

[2 – continua – La prima parte è consultabile cliccando su questo link]

Fonti:

Popolazione residente per sesso, nati vivi, morti, saldo naturale, saldo migratorio, saldo totale e tassi di natalità, mortalità, di crescita naturale e migratorio totale – Anni 1862-2014 ai confini attuali, seriestoriche.istat.it
Storia demografica dell’Italia dall’Unità a oggi, Istat, 7 febbraio 2023
De Rose-Rosina, Introduzione alla demografica. Analisi e interpretazione delle dinamiche di popolazione, EGEA, Milano, 2022.
J.-C. Chesnais, La transition démographique, Paris, Puf, 1986, pp. 294-301.
Danzi-Korherr, Europa senza europei?- Regresso delle nascite: morte dei popoli, Editrice Thule Italia, Roma, 2022
Partito Nazionale Fascista, La politica sociale del fascismo, testi per i corsi di preparazione politica, La libreria dello Stato, anno XIV E. F.

Umberto Camillo Iacoviello
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Battitore libero del pensiero non conforme, scrive per diverse testate e blog. Si interessa di dinamiche demografiche, storia, geopolitica e «ideologie alla moda».