di Marco Malaguti

Quando si parla della Repubblica Sudafricana in Europa vengono in mente soltanto pochi clichés. In molti sanno infatti che il Sudafrica ha una popolazione mista, composta da neri e da bianchi e che dopo l’abolizione del regime dell’apartheid e l’avvento al potere di Nelson Mandela questi gruppi convivono più o meno pacificamente nel nuovo Sudafrica multiculturale, la Rainbow Nation. In realtà le cose non sono così semplici, né idilliache, come possono sembrare e la divisione in “bianchi e neri” ricalca uno stereotipo adatto a descrivere realtà come gli Stati Uniti di qualche decennio fa che non l’attuale Sudafrica. Oltre a bianchi e neri nel paese vivono infatti i khoisan, [combinazione di san, o boscimani (dall’inglese bushmen), e di khoikhoi, od ottentotti] i veri autoctoni del Sudafrica, popolazione indigena che non appartiene al gruppo bantu come il resto della popolazione nera dello Stato, a cui si aggiungono, nelle città, consistenti minoranze indiane e malesi di religione islamica (i cosiddetti Kap Malay), giunte durante la dominazione britannica.

Un mosaico complesso

A livello etnico parlare di “neri” in Sudafrica, come in molti altri Stati del Continente nero, non ha alcun senso: il macrogruppo dei bantu, infatti, è frastagliato in numerose etnie (le più importanti sono otto, con gli zulu che costituiscono la maggioranza relativa), tutte estremamente fiere delle loro differenze. A costoro si aggiungono numerosi immigrati dall’ex Africa Portoghese (in particolare dal Mozambico) e dalla Nigeria. A loro volta anche i bianchi sono etnicamente divisi, con la gran parte della popolazione bianca del Sudafrica che appartiene al gruppo degli afrikaner, o boeri, discendente dei coloni olandesi, che parlano l’afrikaans, una lingua nata dal dialetto neerlandese dei primi arrivati mescolato con le lingue di altri emigranti europei di religione protestante (ugonotti, tedeschi etc.) fuggiti dalle guerre di religione. Infine i discendenti dei coloni britannici, che parlano prevalentemente inglese. A tutti questi gruppi vanno ad aggiungersi, inoltre, i molti meticci (coloureds), che vivono prevalentemente nella parte occidentale del Paese e a Città del Capo e i discendenti di indiani, malesi e altre popolazioni del Sud-Est asiatico “importate” dagli inglesi come lavoratori a basso costo, specialmente nel Natal.

Una Jugoslavia tropicale

Il Paese, dunque, si rivela sfaccettato e complesso, più simile a quella che un tempo fu la Jugoslavia rispetto al paradisiaco melting-pot che i cantori europei del multiculturalismo amano dipingere. Il razzismo in Sudafrica è però ancora molto presente, ma si rivolge principalmente contro i bianchi. Aperte minacce di genocidio e spoliazione vengono quasi quotidianamente esternate da molti politici sudafricani (tra i quali l’estremista di sinistra Julius Malema) e le condizioni dei bianchi sudafricani, in particolare nella loro componente afrikaner (circa il 6,5% della popolazione, stanziati prevalentemente nelle aree rurali), sembrano non godere di alcuna attenzione o interesse in Occidente. Recentemente molti di loro sono anche emigrati all’estero, fra questi il più famoso è Elon Musk.

Una fondazione per salvare gli africani bianchi

Per tutelare la popolazione afrikaner e i loro diritti è da poco nata la Afrikaner Foundation (www.afrikaner.org). I suoi fini sono molteplici e si potrebbero sintetizzare nella preservazione delle tradizioni e del modo di vita della popolazione boera e nel suo diritto ad esistere a fronte delle etichette ingiuriose che spesso i media internazionali le affibbiano. La fondazione ha rapporti molto stretti con Orania, una comunità afrikaner che sorge nel centro rurale del paese, lungo le rive del fiume Orange, e che rappresenta un modello di sviluppo di successo per certi versi unico sia all’interno del paese sia dell’intero continente africano, la cui popolazione cresce di oltre il 15% l’anno.

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L’educazione al centro

Un modello di successo a cui si aggiunge Akademia, istituzione di rango universitario e di stampo cristiano legata alla fondazione, che si occupa di fornire un alto livello di educazione ai suoi studenti in maniera indipendente dallo Stato sudafricano e che aiuta la comunità a rompere lo stereotipo, purtroppo radicato in Occidente, di colono ottuso e dedito esclusivamente al lavoro della terra.

Mai più Mugabe

Più in generale, l’obbiettivo dell’AF è dimostrare che nonostante gli stereotipi correnti esistono anche degli africani bianchi (come del resto rivendicato dal nome che i primi coloni olandesi si erano dati appena giunti in queste terre vergini e spopolate) e che questi bianchi, che sono giunti nel territorio sudafricano attuale contemporaneamente, se non prima, nella regione del Capo, ai bantu (prima nella regione a sud del fiume Key e del Grande Karoo vivevano solo sparsi nomadi boscimani), hanno anche loro pieni diritti tra cui anche quello, elementare, di esistere. L’esperienza del vicino Zimbabwe, ex Rhodesia del Sud, dalla quale i bianchi furono malamente espulsi (e spesso uccisi) dal governo dittatoriale marxista dello ZANU dell’ex presidente Mugabe, funge da decenni da monito per gli afrikaner e più in generale per i non neri sudafricani (indiani ed arabi sono stati a loro volta discriminati dai neri nei territori africani dell’ex Impero Britannico, si pensi ad esempio al massacro di Zanzibar ai danni della minoranza araba del 1964 o all’espulsione degli indiani dall’Uganda durante il regime di Idi Amin Dada nel 1972).

Oltre stereotipi e sensi di colpa

Anche nel caso della popolazione afrikaner, dimenticata dall’opinione pubblica mondiale a causa di un pervicace e quasi inestirpabile white guilt, vige una sorta di damnatio memoriae, come se questa popolazione non solo non esistesse, ma non avesse nemmeno diritto a una storia (quella degli afrikaner in Sudafrica è lunga quasi quattro secoli). Far sì che questa storia possa continuare è un diritto-dovere di ogni patriota europeo, che a questi coraggiosi contadini d’oltremare deve quantomeno amicizia.

Foto colorata da Tinus le Roux

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.