di Marco Malaguti

Quando, ormai oltre vent’anni fa, il politologo britannico Colin Crouch mandò alle stampe il suo Postdemocrazia, che descriveva il lento e progressivo svuotamento di senso e di sostanza degli ordinamenti liberaldemocratici, l’autore si soffermava principalmente sulle minacce che, sulle istituzioni democratiche, sembravano incombere dal mondo dell’economia: le multinazionali e i grandi cartelli di lobbisti che si muovono dietro le quinte, al riparo da qualsiasi interferenza da parte delle cittadinanze. Crouch, che quest’anno varca la soglia dell’ottantesimo anno di età, non poteva ancora presagire con chiarezza quella che oggi potremmo definire come “l’ideologia del cordone”.

L’ideologia del cordone

Definisco ideologia del cordone la nuova tendenza applicata dalle forze “di sistema” (in Europa principalmente cristiano-sociali, socialdemocratiche, liberali e, più tardi, ambientaliste) nei confronti delle vere novità nel panorama politico occidentale degli ultimi decenni: i partiti populisti e nazional-conservatori che si sono via via affermati in quasi tutti i paesi europei, in alcuni casi, come in Italia, Paesi Bassi e Ungheria, giungendo addirittura al governo. L’ideologia del cordone, malgrado sia teorizzata e applicata da forze politiche che vantano pretese di inclusività, è in realtà un’ideologia di esclusione, quando non di ghettizzazione; il cordone di cui si parla è in fatti un cordone sanitario.

Cosa non è progresso

Sostituendo la politica e le ideologie, ormai sul viale del tramonto, con il più ambiguo concetto di governance, l’ideologia del cordone si qualifica principalmente come negazione. I sostenitori dell’ideologia del cordone, in poche parole, prima di sapere che cosa sono, hanno perfettamente chiaro cosa non sono. In un orizzonte progressista, volto cioè al progresso (o a qualsiasi cosa si etichetti come tale), i sostenitori di questa ideologia, prima ancora di non poter tollerare qualsiasi punto di vista che esprima scetticismo o che neghi il carattere “benefico” di questo miraggio teleologico, non riescono nemmeno a concepirlo.

Una fede nell’ineluttabile

Ferventi credenti nel concetto, di squisitissima matrice hegeliana e poi marxista di “ragione immanente alla storia”, i sostenitori dell’ideologia del cordone sanitario correrebbero il rischio di auto-sabotarsi se concepissero la loro Utopia soltanto come un punto di vista, declassandola così dello status di capolinea ineluttabile del travaglio storico. Ne consegue obbligatoriamente che, per il sostenitore dell’ideologia del cordone (ossia per il progressista) la tolleranza verso il pensiero conservatore e i partiti che lo esprimono nelle sue più diverse forme è non soltanto politicamente controproducente ma è anche e soprattutto moralmente riprovevole, oltre che un’assurdità illogica. Populisti e conservatori non rappresentano quindi, in questa Weltanschauung, un punto di vista alternativo col quale dialogare, ma una vera e propria sfera del “non essere”, un preoccupante blob indefinito che rosicchia le fondamenta dell’Utopia in maniera se vogliamo similare alla concezione che avevano i conservatori del Novecento nei confronti del nichilismo. Non sorprende, tra le altre cose, che una delle accuse che il progressismo rivolge a coloro che sono “fuori dal cordone”, sia proprio quella di “nichilismo”, con la stessa accezione dispregiativa che i vecchi tradizionalisti clericali riversavano sui giovani studenti sfaccendati lettori di Turgenev e adepti dell’anarcoide Sergej Nečaev.

Il Nulla non può avere spazio

Chi sta fuori dal cordone non ha diritto a rappresentanza di alcun genere perché e vuole essere il Nulla che divora l’Essere (rappresentato ovviamente dall’Utopia e dai suoi rappresentanti). A chi è fuori non si stringe la mano, perché, appunto, è fuori, non esiste. Chi non riconosce l’ineluttabilità del presunto piano inclinato che porta all’Utopia non è solo un individuo abietto ma è prima di tutto un pazzo, una persona che rifiuta di riconoscere una presunta realtà manifesta. E per i pazzi non c’è posto, anzi, debbono essere curati, in ogni caso zittiti, dato che la pazzia è contagiosa.

Lo spazio dell’anomia

Fuori dal cordone non vigono le leggi della morale inclusiva, in quanto nell’ambito del Nulla vige l’anomia: il conservatore, come il no vax e il cittadino di paesi geopoliticamente sgraditi ai credenti nell’Utopia è agambenianamente homo sacer, di lui si può dire e fare di tutto: gli si possono rivolgere insulti che, se rivolti ad altre “minoranze” costerebbero una traduzione in carcere, e si può aggredire, perché tutto sommato è egli stesso a chiedere, con la sua ostinata incredulità nichilistica, di schiantarsi contro l’inarrestabile locomotiva della processualità storica. Il conservatore è l’equivalente del suddito coloniale per il quale, nel pensiero di Carl Schmitt, non si applicavano le categorie garantistiche dello Ius Publicum Europaeum, è carne da macello, vittima sacrificale.

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Il Nulla necessario

Il conservatore, in quanto appartenente a questo spazio anomico, svolge però una funzione assolutamente necessaria al funzionamento dell’Utopia, probabilmente la funzione fondamentale, che funge da architrave all’intero apparato ideologico dell’ideologia del cordone: quella di discriminante. Così come l’unica condizione necessaria per pensare l’Essere è l’esistenza di un Non-essere e di un Nulla da cui separarlo, così anche colui che è fuori dal cordone, nel suo rifiuto, delinea i confini dell’Utopia e la dota di status ontologico. Allo stesso modo in cui, per definire una comunità (statuale, sociale, religiosa ecc.) occorre primariamente definire chi ne è fuori, così oggi coloro che sono fuori dal cordone tratteggiano e “concretizzano” l’identità degli appartenenti all’Utopia, i quali rinchiusi nel loro pomerio ideologico creano una nuova comunità, quella dell’Utopia progressista, dotata a sua volta dei suoi paraphernalia e delle sue liturgie (si veda la recente cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi), le quali sono – e altro non potrebbero essere – che una continua e violenta rimarcazione di ciò che non si è. Nemmeno l’ideologia dell’antidiscriminazione può fare a meno del concetto di discriminazione: nei fatti essa non intende affatto abolirla ma ne rivendica il monopolio.

Esistere non basta

Poiché parliamo di una prospettiva progressista (vale a dire messianica), diversamente da una normale comunità, che ha come fine solo quello di continuare ad esistere, l’Utopia in questione, lo abbiamo visto, non può accettare di convivere in pace con altre comunità, come invece prevedrebbe un genuino approccio liberale e liberaldemocratico non ibridato con i cascami degli hegelismi; l’Utopia in questione deve, per sostanziarsi, distruggere tutte le altre, poco importa se per fagocitosi o per guerra aperta e dichiarata.

La morte della Democrazia

La democrazia muore quando muore la legge dell’alternanza: se tutte le forze legittimate a governare si fondono nell’Utopia e si sostanziano nell’ideologia del cordone, la democrazia per come la conosciamo potrebbe continuare ad esistere solo se vigesse un regime di alternanza, al governo, sui media, nella cultura, tra chi è dentro il cordone e chi invece ne è fuori, ma, come abbiamo detto: tale alternanza ucciderebbe la stessa idea alla base dell’Utopia, ossia la sua prospettiva ontologicamente assolutista. Se l’unica ideologia che governa, fortificata dai cordoni sanitari che disprezzano, isolano e squalificano milioni di elettori, che fine fa l’alternanza, e con essa la democrazia?

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.