Il contenuto del saggio
Attraversando le sue tre fasi, la fiamma è diventata via via più fioca fino ad abbandonare gli originari afflati idealistici e anti-sistemici. Questo è il monito, spietato e complessivo, desumibile dal recente libro intervista di Marco Tarchi, Le tre età della fiamma. La destra in Italia da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni.
Come traspare dal titolo, il saggio ripercorre vicissitudini, critiche, aneddoti e analisi relative il Movimento Sociale Italiano, Alleanza Nazionale e Fratelli d’Italia con continui riferimenti bibliografici e argomentazioni rigorose e profonde. La prospettiva dell’autore è sicuramente “eretica” e originale ma, almeno a tratti, parziale e irradiata da una certa partecipazione emotiva.
Com’è noto, infatti, Tarchi fu un esponente di primo piano del Fronte della Gioventù negli anni Settanta e protagonista assoluto dei dibattiti, in prima linea nel tentativo di depurare nostalgismi ed imbalsamazioni funerarie dalla cultura di destra. Fu quindi espulso assai presto dal partito e, nei decenni successivi, si dedicò allo studio del populismo e ricercò nuove sintesi ideologiche intrecciando relazioni con autori vari e di respiro internazionale, Alain de Benoist in primis.
Così, non sorprende innanzitutto l’insistenza assai ricorrente a quello che Tarchi definisce come “il complesso dell’orfano”, ossia quella «strana considerazione di sé come popolo perseguitato, ma al tempo stesso eletto: un gruppo di esclusi che però si sente chiamato ai massimi destini» (p. 163). Una tensione emotiva di questo genere sfocia facilmente, a detta dell’autore, in una concezione della leadership carismatica e a tratti messianica. Così in un mondo percepito come ostile, quasi con un’apocalisse alle porte, la figura del capo appare come un’ancora di salvezza, le sue indicazioni come una panacea e qualsivoglia mutamento di tattiche e linguaggi come una forma di dazio necessaria ai fini della sopravvivenza. Così, il pragmatismo surclassa l’elaborazione culturale e, non a caso, fino agli anni Settanta spicca l’assenza di qualsivoglia formulazione critica del Ventennio, una risposta alle offensive di Benedetto Croce e Norberto Bobbio che riducevano il fascismo, rispettivamente, a una mera parentesi storica ed a una negazione della cultura. In questo contesto Tarchi cita aspramente anche le “apologie dell’onesto e incolto militante” condotte di continuo da Almirante e la generale diffidenza verso chi preferiva lo studio alle risse.
Tarchi contro Fini
Non meraviglia che il più alto grado di asprezza argomentativa sia dedicata a Gianfranco Fini, in gioventù rivale politico dell’autore e, successivamente, “colpevole” di aver ridotto la cultura e la pubblicistica a valvole di sfogo, recinti per le visioni più romantiche e rivoluzionarie. Proprio la celebre svolta impressa dal fondatore di An è considerata da Tarchi «un assemblaggio di materiali eterogenei il cui scopo è inviare un messaggio all’esterno» (p. 230). In questo contesto manca qualsivoglia forma di autocritica, elaborazione intellettuale dell’originario patrimonio ideologico e naturalmente una classe dirigente realmente consapevole. Così «Fini parla per tutti, mentre gli altri si limitano a fare da contorno» (p. 230) in una prospettiva di breve periodo, ristretta alla convenienza tattica del momento. Sono emblematiche, secondo Tarchi, le modalità centralistiche di formazione dell’assemblea nazionale di An: su 500 membri complessivi soltanto cinquanta venivano assegnati con il libero voto mentre gli altri 450 dipendevano sostanzialmente dalla volontà di Fini e dei suoi più stretti collaboratori.
Sulla stessa linea d’onda, Tarchi liquida la costituzione della “Generazione Atreju” come il risultato di un’iniziativa – ossia le feste organizzate sotto il medesimo nome – volta unicamente a raccogliere le attenzioni dei media. Anche qui Tarchi contesta nuovamente l’assenza di elaborazioni intellettuali, di discussioni e anche una mancata opera di rafforzamento dell’azione organizzativa sui territori.
Nell’ultima parte del saggio Tarchi tratta Fratelli d’Italia, l’ultima età della fiamma. Secondo il politologo, FdI sarebbe una formazione partitica che sostanzialmente eredita i vizi dei propri predecessori ottenendo, però in maniera assai più evidente, dei successi laddove essi hanno invece fallito. Così, secondo l’autore, adesioni come quelle di Raffaele Fitto dimostrano la capacità del partito di Meloni di reclutare esponenti di rilievo di altri schieramenti e, più in profondità, di instaurare quel “fronte articolato anticomunista” che Almirante aveva vagheggiato fin dagli anni Settanta. A differenza del Msi e di An, inoltre, l’attuale partito della fiamma può sicuramente esercitare un inedito ruolo di protagonista venendo meno la centralità della Democrazia Cristiana e, successivamente, di Silvio Berlusconi. Su queste fondamenta affondano le radici del governo Meloni.
Il punto di arrivo e il superamento della prospettiva dell’autore
Forse il punto di arrivo del saggio è individuabile nel problema dell’egemonia.
Nello specifico, secondo Tarchi, le recenti vittorie elettorali si appoggiano su fondamenta effimere dato che non intaccano l’immaginario collettivo e si limitano all’occupazione dei posti di comando, in primis nelle istituzioni culturali dipendenti dallo Stato. Così, la fiamma arriva al governo, all’apice del suo successo, rinunciando, però, al patrimonio di idee ed aspirazioni che l’aveva “accesa” nel 1946 ed “alimentata” nel corso dei decenni, in contrapposizione ideale al vigente ordine sociopolitico di stampo liberale. Tarchi definisce, così, esplicitamente il percorso dei tre partiti come un “insuccesso”, dato che «su quell’“Idea”, che aveva innervato mezzo secolo di nostalgia, di speranze e di sacrifici […] hanno prevalso gli interessi della ristretta cerchia dei politici di professione» (p. 409). Così, in altri termini, la posizione di Fratelli d’Italia sfocia nell’“afascismo”, un terreno completamente estraneo al patrimonio ideologico originario.
Quella di Tarchi è sostanzialmente una stroncatura che, però, facilmente può condurre a colpevolizzazioni, rassegnazione, disfattismo o a prospettive deterministiche. Bisogna, al contrario, mettere tra parentesi i toni aspri e la partecipazione emotiva dell’autore e considerare Le tre età della fiamma. La destra in Italia da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni come un monito per un cambio di rotta sempre possibile e formulabile nelle maniere più svariate.
Nello specifico, l’attuale “insuccesso” della fiamma può essere anche veritiero ma sicuramente non irreversibile. Può sussistere ancora del margine per recuperare gli originari afflati idealistici e anti-sistemici. In un patrimonio ideologico così ricco è possibile reperire, infatti, una pluralità di antidoti utili a innalzare a motore del cambiamento un’insofferenza ormai generale. Si possono citare, in tal senso, gli elevati tassi di astensionismo elettorale, la crescente sfiducia verso le istituzioni, la nostalgia per il passato, la diffusa diffidenza verso l’ecologismo apocalittico, l’auto-razzismo oicofobo e le altre estremizzazioni ideologiche apparse recentemente in Occidente. In tal senso, la “fiamma” può ancora essere un innesco per una polveriera sociale in attesa solo della prima favilla.
Seppur attualmente statica e vaga, la polveriera dell’insofferenza sussiste perché negli ultimi decenni una larga mentalità tradizionalista ha continuato a sopravvivere malgrado le forti pressioni wokeiste esercitate dalle élites. Lo scorrere degli anni e l’incremento della propaganda del pensiero unico possono, però, assottigliare qualsivoglia margine di vantaggio e di intervento, se non addirittura bagnare le polveri e renderle inerti.
Uno dei meriti di Tarchi è individuabile proprio in questa cornice, cioè nella rievocazione del valore dell’“Idea” e nella consapevolezza che la conquista delle poltrone – per quanto corretta in una logica alla Sun-Tzu – può essere solo effimera se non intacca anche l’atmosfera ideologica di un’epoca con una strategia di lungo periodo.
Collaboratore giornalistico e studioso di storia contemporanea. Si occupa, in particolare, delle ideologie politiche del Novecento italiano.
Sostanzialmente mi riconosco nell’almirantiano rimando “all’onesto e incolto militante”.
Probabilmente, anche se liceali prima e universitari dopo, non eravamo colti quanto Tarchi; detto con il massimo rispetto e senza alcuna polemica.
Non saprei dire se quella “mancanza di cultura” ci abbia condannati ma, una volta in piazza, avevamo la sola prospettiva dello scontro con i comunisti.
In secondo luogo, la mia e quella di tutti gli altri della mia età era la generazione nata non molti anni dopo la guerra, con le nostre famiglie segnate da tanti lutti dovuti al conflitto e alla guerra civile.
Che siano state queste due contingenze, insieme ai politici di professione, la causa dell’insuccesso delle tre Fiamme?
Tarchi ha sicuramente ragione con le sue critiche e tuttavia non credo ci fosse molto altro da fare cinquant’anni fa.
E’ andata così: un tempo le donne non ci hanno voluto più bene e quel tempo continua…