di Emanuele Mastrangelo e Enrico Petrucci

Mentre fior di testate si affrettano a postulare e dimostrare che la dittatura woke non esiste (salvo poi ammettere che l’agenda woke è destinata a vincere), ecco la consueta rassegna con le ultime wokkate da tutto il mondo, con un particolare focus sulla vecchia Inghilterra, che con le sue follie woke, che oramai avanzano a colpi di psicopolizia orwelliana, da sola basterebbe a riempire una dozzina di bollettini a settimana.

GB – Il monumento al re consorte è “offensivo”

The Royal Parks, la charity Britannica responsabile dei parchi di Londra, tra cui i giardini di Kensington, ha classificato l’Albert Memorial, il monumento al consorte della regina Vittoria, come “offensivo”. Questo si legge sul sito: “representation of certain continents draws on racial stereotypes that are now considered offensive”. Il problema sarebbero le rappresentazioni dei continenti, Africa, America, Asia ed Europa coi relativi “stereotipi” dell’epoca. Ricordiamo che con i monumenti confederati si era iniziato così.

GB – Quei razzisti, imperialisti, schiavisti e colonialisti di Churchill & Co.!

All’Hertfordshire County Council, amministrazione tory, il ritratto di Churchill e di altri primi ministri britannici dell’Ottocento verranno esposti con informazione che spieghino le loro connessioni con il “razzismo, schiavismo e colonialismo”. Si conferma il luogo comune che i conservatori britannici (solo loro?) non sono altro che dei semplici laburisti con cinque anni di ritardo.

GB – Quel fascista di Guglielmo Marconi!

Cardiff, Galles. È stata finalmente inaugurata la statua che commemora la prima trasmissione radiofonica transatlantica senza commemorare il suo inventore, ovvero Guglielmo Marconi. Il monumento, una statua di una radio degli anni ’40 – ’50, arriva al termine di una telenovela iniziata nel 2022, quando il consiglio comunale del comune gallese deliberò di onorare lo storico esperimento di Marconi del 1895. Ma Marconi (nonostante la fiction Rai) era convintamente fascista, e così il monumento snobba Marconi con un elegantissimo passo di danza woke.

GB – Quel capitalimperialista di Constable!

Nel bollettino n° 6 avevamo raccontato del Fitzwilliam Museum e dell’accusa alla pittura di paesaggio dell’Ottocento inglese di avere un retroterra nazionalista. Ma l’epidemia di wokkate che prende di mira pittori come John Constable si sta allargando alla National Gallery, che nella prossima esposizione prevista a ottobre ha stabilito di “contestualizzare” il dipinto di Constable The Hay Wain, (Il carro di fieno). Ma se per il Fitzwilliam il problema di Constable era un’Inghilterra idealizzata nella sua campagna, quindi nazional-tradizionalista, per la National Gallery il guaio con Constable è che i suoi dipinti non tenevano conto delle problematiche socio-economiche dell’epoca. Dunque, la contestualizzazione del suo carro di fieno avverrà secondo l’ortodossia marxista della lotta di classe.

GB – Quei bianchi dei bianchi!

La “segregazione teatrale” del West End continua a causare dibattito. A tornare sugli spettacoli teatrali riservati ai soli spettatori di colore, una sorta di apartheid alla rovescia, è l’attore Kit Harington, il Jon Snow de Il Trono di spade, in scena con lo spettacolo Slave Play che aderisce a queste wokkate. L’attore, in un’intervista alla BBC, ha rivendicato la segregazione difendendo la scelta della produzione e ricordando come il teatro britannico sia sempre stato uno spazio “storicamente bianco”, ma ha anche aggiunto che nessuno vieterebbe a un bianco di comprare un biglietto per spettacoli per soli coloured. Bontà sua.

GB – Quei bianchi dei minatori gallesi bianchi!

Il governo laburista del Galles (quello che vorrebbe proibire per le legge le “bugie dei politici”) è fortemente impegnato nell’opera di decolonizzazione, tanto da voler decolonizzare persino il Museo nazionale del Carbone, ha ora stanziato 130.000 sterline per eradicare il “razzismo sistemico” all’interno delle biblioteche gallesi. Come riferisce il Telegraph,

By critically examining and challenging the dominant paradigm of whiteness, LIS (library information science) professionals can work towards creating more just and inclusive institutions that serve all members of their communities”.

Irlanda – quegli imperialisti degli irlandesi colonizzati dagli inglesi!

Finalmente lasciamo l’Inghilterra, per spostarci sulla sua ex vittima irlandese. Perché non c’è solo il Galles a prendere di petto il razzismo e il “suo passato coloniale”. Anche l’Irlanda deve fare i conti con il suo passato imperiale! A scriverlo a caratteri cubitali è proprio l’Irish Times che titolava già nel 2020: “Ireland has yet to come to terms with its imperial past”.

Come al solito il ragionamento wokeista è contorto, quindi mettetevi comodi. L’Irlanda ha notoriamente sofferto sotto il tallone dell’Impero britannico. Tuttavia anche essa ha una macchia nella sua storia: fungeva da laboratorio coloniale. Ne consegue che essa deve emendare le sue colpe. Senza contare che comunque l’Irlanda ha risentito dell’influsso britannico e come se non bastasse, nel creare la sua indipendenza, ha forgiato un nazionalismo etnocentrico. È quindi ora di fare i conti con il passato coloniale e imperiale e con il razzismo e la whiteness.

Proprio per questo il governo irlandese (quello della legge sull’hate speech di cui ci siamo già occupati) ha avviato lo scorso anno il National plan against racism, di cui è stata recentemente nominata la dottoressa Ebun Joseph come consulente speciale. La Joseph, arrivata in Irlanda dalla Nigeria nei primi anni Duemila, è la creatrice del primo modulo di Black Studies al college universitario di Dublino, nonché una ferma fiancheggiatrice del Black Lives Matters. E, come ricorda la sua pagina su Wikipedia, fu tra coloro che nel 2020 sostenne la rimozione di alcune statue dallo Shelbourne Hotel. Si trattava di statue femminili di epoca Beaux-Arts con soggetti egiziani e nubiani, che erano state indicate dall’accademica come “rappresentazioni di schiave”, pertanto inappropriate, maschiliste e colonialiste. Alcuni mesi dopo fu appurato che non si trattava di serve bensì di aristocratiche, pertanto le statue sono state rimesse al loro posto. Noblesse oblige.

Mangiare gli insetti è vegano

Gli insetti e la carne coltivata sono vegani. Nonostante i vegani non mangino neppure il miele, in quanto alimento di derivazione animale (le povere api sfruttate…) il Guardian ci segnala l’esistenza dell’ento-veganesimo, ovvero vegani che si cibano di insetti. Per salvare il mondo, ovviamente. È bene ricordare che lo scorso anno Wired spiegava come anche la carne coltivata fosse adatta a una dieta vegana. Poi certamente il vegano e/o vegetariano duro e puro non si farà abbindolare da questi spin in gloria del cibo processato (e qui scatta il meme con Anakin e la principessa Amidala), ma l’operazione mediatica è sicuramente interessante e da tenere sotto controllo.

Bologna: “una piadina squacquerone e vermi, grazie”!

A proposito di grilli da segnalare l’articolo de Il Resto del Carlino che intervista un professore del dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna, sede di Cesena, in merito alla farina di grilli nella piadina. Al netto del titolo e delle solite digressioni, da segnalare la chiusa dell’articolo:

«Lei l’ha assaggiata la piadina con farina di insetti? “No. A dire la verità non sono molto attratto ma è giusto non mostrare chiusura. Nessuno è costretto a mangiarla. Però siamo tanti e la popolazione mondiale è destinata a crescere. Produrre alimenti per tutti è una sfida, variegare le fonti è auspicabile. Partire ora punta anche alla futura indipendenza produttiva”».

Insomma, non facciamoci traviare dal nostro buon gusto personale e non facciamo gli schizzinosi, in Africa ci sono i bambini che muoiono di fame!

GB – Svuotiamo le carceri, ci servono celle libere

Credevate che fosse finita con le notizie da Londra? E invece no. Il 12 luglio scorso il governo britannico annunciava misure d’emergenza per il sovraffollamento carcerario. Si parlava di rimettere a piede libero “qualche migliaia” di detenuti con pene non superiori ai 4 anni e non relative a crimini violenti o violenze sessuali (eppure, le cronache ci informano di gente condannata per aver scannato un quattordicenne a colpi di machete che è stata scarcerata dopo pochi mesi per motivi di sovraffollamento carcerario).

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Nel frattempo un quindicenne è stata la prima persona messa alla sbarra con accuse di riot dopo le proteste anti-immigrazione delle scorse settimane. Il ragazzo ora rischia fino a 10 anni di carcere. Assieme a lui risultano denunciati diversi altri minori, dai quattordici fino ai dodici anni, come segnalato dagli stessi profili X di ministero degli Interni e dipartimenti locali della polizia inglese, che menano vanto d’aver arrestato oltre 1.000 persone.

Da segnalare fra questi il caso di un pensionato sessantunenne David Spring, condannato a 18 mesi per direttissima dietro richiesta del procuratore Alexander Onakomeme Agbamu per aver gridato durante le proteste ai poliziotti “non siete più inglesi” e per aver cantato “chi c…. è Allah?”. Il giudice Benedict Kelleher, nel motivare la sentenza, ha dichiarato che essa doveva essere esemplare. Appare evidente come non sia tanto il sovraffollamento carcerario a essere un problema, ma la necessità di trovare spazio per una nuova categoria di detenuti.

Nel frattempo, i profili social delle autorità britanniche vengono inondate da messaggi di biasimo e dall’hashtag #TwoTierJustice, “giustizia a doppio standard”.

[aggiornamento 20 agosto 2024. Poche ore dopo la pubblicazione di questo bollettino delle wokkate, la BBC ha battuto la seguente notizia: “Attivata una misura d’emergenza per alleviare il sovraffollamento delle carceri in Inghilterra, mentre altri rivoltosi sono destinati ad essere incarcerati“. Evidentemente il nostro “guardacasismo” non fa in tempo a diventare post sul Belfablog che la realtà lo supera. E ora, cari amici del “se vabbè, gombloddoh!”, dov’è il vostro Dio?]

GB – Niente crociati, siamo inglesi!

Quello che non poté la Luftwaffe riesce al politicamente corretto. Così esordisce Gianandrea Gaiani nel commentare la notizia che il 14° Squadron abbandonerà il soprannome di Crusaders, che vantava fin dalla Prima guerra mondiale. Come conferma il Daily Mail, la rinuncia al nome deriva dalle lamentele di un singolo membro della RAF. Povera stella.

GB – Mezzo milione per il bellissimo monumento alle vittime della tratta

Nel frattempo a Londra il neo-rieletto Sadiq Khan dà nuova linfa al progetto avviato allo scorso mandato per un monumento nell’area dei docks alla vittime della tratta atlantica degli schiavi. È stata definita la lista dei sei finalisti per questo progetto da 500.000 sterline. Da segnalare i rendering pubblicati da London News Online.

Tra le opere più quotate una statua di 12 metri dedicata a Nana Buluku, la suprema dea creatrice nella mitologia del Dahomey. È bene ricordare la vicenda di qualche tempo fa relativa alla possibile restituzione dei cosiddetti “bronzi del Benin” in cui si criticava proprio il regno del Dahomey per il suo ruolo fondamentale nella tratta degli schiavi. Aspettiamoci qualche cortocircuito woke nei prossimi mesi nel caso in cui la statua della divinità africana venisse selezionata.

Milano – Ecco le anti-statue (la cancel culture la prende larga)

In tema di statuaria su pubblica piazza torniamo in Italia, con una immancabile polemica attorno a Montanelli, l’ex idolo della sinistra antiberlusconiana, oggi ricordato solo come molestatore di ragazzine eritree. L’ultimo vandalismo era stato ad aprile, e di recente l’edizione milanese del Corsera è tornata sull’argomento grazie al giornalista Pierluigi Panza, a cui va un plauso per come ha sintetizzato il fenomeno:

«il diffondersi della cultura woke anche in Europa e a Milano sta mettendo a rischio il primato della patrimonializzazione del passato sia attraverso il disinteresse per la storia sia con le azioni che si richiamano alla cancel culture».

L’articolo verte sulla proposta del segretario della sezione milanese dei Giovani Democratici, Giuseppe Pietro Pepe, studente di architettura, che propone di aggiungere nuovi monumenti da contrapporre ai monumenti preesistenti in una prospettiva di riflessione e dialogo critico. Si legge:

«una soluzione capace di garantire il racconto di pietra del passato e, al contempo i valori di una contemporaneità in cerca di nuovi simboli».

La proposta del segretario di GD si completa con l’idea di un monumento composto da

«un muro scultoreo in ricordo delle violenze perpetrate alla popolazione delle colonie italiane per opera del Regio Esercito. L’idea è quella di una lastra metallica, alta e larga almeno quattro metri, nella quale sono affastellate diverse bambole eritree ed etiopi in metallo, grandi tra i 20 e i 30 centimetri. Al centro della lastra un foro rettangolare che punterà verso la statua di Montanelli».

Al di là della proposta in sé, la riflessione sul “monumento compensativo” sarebbe ampiamente superata dalla prassi attuale della cancel culture, per cui non va vista come una rinuncia alla distruzione dei monumenti sgraditi, ma solo un temporaneo “giro largo” in attesa di tempi migliori per ricominciare a picconare. Il caso di scuola è quello della Monument Avenue della fu capitale confederata Richmond, dove nel 1996 venne aggiunto il monumento al tennista afroamericano Arthur Ashe con gli stessi scopi dichiarati da Pepe, mutatis mutandis. Oggi a Richmond non rimangono né i monumenti confederati né quello del tennista, ma uno stradone ingombro di piedistalli vuoti, oscenamente deturpati da graffiti.

A margine, ci si consenta una battuta ex cathedra sui “nuovi monumenti” e sulla risignificazione degli spazi urbani realizzati durante quel “deprecabile passato colonial-imperialista”. I turisti che sciamano per città come Parigi o Londra di norma ci vanno per vedere i luoghi della passata grandezza: i boulevard del barone Haussmann e la Londra in gloria dell’Impero realizzata dagli architetti di Guglielmo IV e della regina Vittoria. Così come per visitare i musei concepiti nel medesimo secolo per le medesime finalità. La decostruzione postmoderna e wokeista entusiasmerà giornali e attivisti, ma non certo il turista. Siamo disposti a scommettere dieci euro sul fatto che dopo la distruzione dei monumenti confederati il numero di visitatori alla Monument Avenue di Richmond sia drasticamente crollato. Cosa che, in epoca di retorica anti-overtourism, qualcuno potrebbe anche considerare come positiva.

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è redattore capo di "CulturaIdentità" ed è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).

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Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano(Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia(Eclettica, 2020).