di Marco Malaguti

Lo abbiamo sentito per decenni, ripetutamente, come un mantra: “il turismo è il nostro petrolio”. Lo slogan, oggi, fa sorridere; e non solo perché il petrolio, a livello d’immagine, è caduto in disgrazia, messo all’indice dai salotti che contano, ma anche perché il turismo stesso, e con esso i paesi che hanno deciso di camparci, è molto cambiato nel corso degli ultimi decenni.

Un nuovo nemico: il turista

Di turismo si può morire? Questa sembra la domanda che aleggia sul Vecchio Continente. Senza soluzione di continuità, fino allo scorso anno i media del mainstream battevano, a reti unificate o quasi, il tasto del “personale”. Tutti ricordiamo gli articoli, tipicamente estivi, sul personale che mancava, mettendo in pericolo le stagioni turistiche, fenomeno a cui gli operatori del settore attribuivano la responsabilità al reddito di cittadinanza e alla scarsa “voglia di lavorare” dei giovani italiani. Insomma, fino allo scorso anno il turismo andava salvato a tutti i costi, quest’anno, al contrario, la narrazione sembra cambiata, il turismo è un nemico.

Un fenomeno in espansione

La moda, per la verità, non è nuova, seppur, come di consueto, sbarchi nella Belpaese in ritardo di qualche anno rispetto al resto dell’Europa Occidentale. Il fenomeno del turismo si trova oggi, vittima del suo stesso successo, o per meglio dire della sua democratizzazione, al centro di accuse incrociate. Ciascuno, dalla sua prospettiva politica, può attaccare il turismo come meglio crede, e così la sinistra radicale si scaglierà contro il fenomeno degli affitti brevi, che innalza artificialmente il costo della vita per studenti fuorisede e immigrati, mentre i conservatori protesteranno in difesa delle identità dei luoghi vittime del turismo, che in massima parte decadono allo status di luna park, mentre a loro volta gli ambientalisti potranno indignarsi di fronte a piccole città come Venezia inquinate come megalopoli asiatiche e a piccole strade di montagna ingolfate come tangenziali metropolitane. È questo il fenomeno del cosiddetto overtourism, che fa sì che in un determinato luogo si riversino più turisti di quanto quello stesso luogo possa accoglierne senza deteriorarne la qualità della vita dei suoi abitanti e l’integrità ambientale.

Numeri poderosi per luoghi fragili

L’Italia, data la sua alta concentrazione di mete turistiche, sia per quanto riguarda le città d’arte (Roma, Venezia, Firenze ecc.) sia per quanto riguarda le attrazioni naturali (Dolomiti, Costa Smeralda, laghi prealpini ecc.) è, non da oggi, vittima prediletta dell’overtourism, che in luoghi a capienza ricettiva ridotta come Venezia o le Dolomiti è un fenomeno vecchio ormai di alcuni decenni. La differenza rispetto ai decenni scorsi è che molti luoghi come quelli menzionati, ma non solo, stanno transitando dallo stato di “overtourism” a quello di totale invivibilità. I fattori che hanno condotto a tale situazione sono molti e richiederebbero trattazioni separate per ciascuno di esso, ma se ne possono ricordare alcuni, in primis l’abbattimento dei costi dei trasporti passeggeri, grazie alla diffusione di vettori quali Ryanair nel campo dei voli e Flixbus in quello dei trasporti su gomma. Questa nuova condizione ha aumentato a dismisura la capacità della popolazione europea di spostarsi all’interno del continente: se un tempo per molti il viaggio in Italia era un costoso “viaggio della vita”, oggi un fine settimana nella Penisola è diventato alla portata di quasi chiunque. Al contempo, fuori dall’Occidente, miliardi di persone sono uscite dalla povertà e nuovi ricchi e nuove classi medie si affacciano al mercato del turismo, che vede quasi sempre l’Europa come meta privilegiata. Per territori come le Dolomiti, già in difficoltà con l’abnorme quantità di turisti “interni” italiani e nordeuropei, l’afflusso di nuovi ricchi est-europei, russi, caucasici, cinesi, filippini e del subcontinente indiano ha mandato in tilt un ecosistema fragile, costretto a mettersi sulla difensiva, vittima del suo successo. Lo stesso può dirsi di località fuori dall’Italia, magari divenute celebri grazie a serie tv o prodotti di successo dell’industria dell’entertainment, si veda ad esempio il caso dell’incantevole borgo austriaco di Hallstatt (800 abitanti) nel cuore della regione del Salzkammergut, divenuto disgraziatamente famoso per aver ispirato il cartone animato Frozen, e da allora invaso da circa un milione e mezzo di turisti l’anno.

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Il rimando a Frozen non deve passare come un innocuo aneddoto: esposizione mediatica e fenomeno dell’overtourism sono infatti correlati a doppio filo. Non è raro, infatti, che luoghi poco famosi si riempiano improvvisamente di turisti, più o meno “mordi e fuggi”, dopo essere passati anche solo per pochi secondi sugli schermi della televisione o di Netflix. È quanto accaduto, ad esempio al Lago di Braies, situato nell’omonimo comune in val Pusteria (650 abitanti), divenuto improvvisamente famoso “grazie” alla fiction di Rai 1 “Ad un passo dal cielo” con Terence Hill, e da allora vittima di un funesto overtourism, tanto che la località è divenuta un must anche per i turisti indiani e per gli arabi dei paesi del Golfo.

Il peso dei social

Ma al fenomeno non contribuiscono solo serie tv e industria dell’intrattenimento, anche i social sono parte integrante del problema, con Instagram a fare la parte del leone. Ne sanno qualcosa a Lavertezzo, piccolo borgo del Canton Ticino che sorge sulle acque cristalline del torrente Verzasca: divenuto celebre “grazie” ad un noto video dal titolo “Le Maldive a due ore da Milano” il piccolo villaggio svizzero di 1.300 abitanti si è trovato invaso da orde di vacanzieri mordi e fuggi pronti a buttarsi nelle acque cristalline del torrente, spesso gettandosi dalla balaustra del ponte principale, per non parlare del caso, poco noto in Europa, dei Joffre Lakes, remoti specchi d’acqua situati oltre 200 km a nord-est di Vancouver, in Canada, divenuti celeberrimi dopo una fotografia con un tronco in bilico sul pelo dell’acqua e da allora invaso da centinaia di migliaia di turisti, gitanti, famiglie e neosposi a caccia di una foto per i social, diventando una meta gettonata anche per le cerimonie; un viavai talmente problematico che ha costretto le autorità canadesi a chiudere la strada di accesso al luogo per evitare la distruzione dei laghi.

Se è di tutti, perché non posso andarci?

È a questo punto che, ancora una volta, si incappa in uno dei numerosi cortocircuiti delle liberaldemocrazie odierne: l’esigenza della preservazione di determinati luoghi, che sono apparentemente di tutti, può e deve imporre, nonostante appartengano alla collettività, una loro chiusura? Come si può, se si può, conciliare tutto ciò con la sacrosanta libertà di spostamento (specialmente all’interno del proprio Stato) dei singoli individui? [1 – continua]

Foto: © Jörgens.mi / CC BY-SA 3.0

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.