di Marco Malaguti

È ormai lampante la condizione per cui, al giorno d’oggi, non è più possibile osservare il fenomeno turistico, né tantomeno affrontarne le problematiche, con gli strumenti che abbiamo imparato a conoscere nel corso della seconda metà del Novecento, quando esso è diventato, apparentemente, un fenomeno di massa. Per quanto di turismo di massa si parli ormai da diversi decenni le cose, in realtà, non stavano proprio così e soltanto oggi ci rendiamo conto che di che cosa significhi realmente un turismo effettivamente di massa. Il motivo di questo brusco risveglio consiste nel fatto che ciò che abbiamo sempre chiamato “turismo di massa” in realtà non lo era.

Il turismo: un fenomeno borghese

Il fenomeno, anche considerando gli afflussi degli stranieri, si presentava infatti come relativamente di nicchia: prima della caduta del Muro di Berlino a spostarsi per motivi di svago erano soltanto la borghesia e le classi medie di alcuni paesi europei occidentali (con i tedeschi a fare la parte del leone, per quanto riguarda l’Italia) e pochi giapponesi e statunitensi. Si trattava di un turismo inedito, ma tutto sommato ancora di nicchia se si considera che tutto il blocco comunista e quello dei paesi non allineati ne era sostanzialmente escluso, per cui i flussi erano ancora gestibili, benché già di proporzioni inedite per le epoche in questione.

Il nuovo turismo, alla portata di tutti (o quasi)

È solo con la caduta del muro e con l’avanzamento della vera globalizzazione che la caduta delle frontiere, l’avvento delle nuove borghesie dei paesi emergenti e l’affermazione del trasporto low cost hanno aperto le porte al vero turismo di massa. Si tratta eminentemente di numeri: esattamente come per l’immigrazione di massa, il turismo di massa, a lungo andare, non è sostenibile, e questo sempre in virtù delle limitate capacità ricettive delle località di turismo, che non sono parchi a tema ma luoghi con abitanti e modi di vivere che non possono e non devono essere stravolti.

Un fenomeno che sembra arricchire pochi e danneggiare molti

Similmente all’immigrazione di massa, fenomeno a cui è parente, il turismo di massa impatta sensibilmente sulla vita degli abitanti dei luoghi su cui si abbatte, ma mentre le perdite (in qualità della vita, in decoro urbano, in fruibilità degli spazi) vengono socializzate, gli utili sembrano ricadere soltanto nelle tasche di élites di pochi proprietari di strutture ricettive e amministrazioni locali. Benché non sia del tutto vero, molti abitanti dei luoghi ad alto impatto turistico percepiscono il fenomeno del turismo di massa come un’angheria da parte di ricchi privilegiati, autoctoni e no, che contribuisce al loro benessere soltanto marginalmente.

Italia: pochi abitanti, molti turisti

Per farsi un’idea dell’impatto di certi numeri sulle città basta prendere ad esempio Venezia, che nel 2023 ha visto 5.664.611 di arrivi (cioè persone singole che hanno pernottato almeno una notte nel comune), che si sono abbattuti su di una città che di abitanti ne ha 261.905, di cui però solo 52.000 vivono nel centro storico, ovvero dove si riversa la gran parte degli arrivi. Per fare un raffronto, l’antica capitale della Serenissima è destinataria di un flusso turistico comparabile a quello di Mosca, che però è una metropoli di 12 milioni e mezzo di abitanti e non una piccola città rinascimentale. Un’altra capitale del turismo di massa nella penisola, Firenze (382.000 abitanti), vanta circa 5 milioni di arrivi annui, più o meno gli stessi di una grande capitale come Madrid, anch’essa afflitta da overtourism ma che conta oltre tre milioni di residenti, quasi otto volte tanti quelli del capoluogo toscano.

Lo stesso dicasi per luoghi all’apparenza rurali: casi come quello di Hallstatt citati nella prima parte di questo articolo sono al limite, ma in Italia non siamo troppo distanti. Rimanendo in Veneto, ricordiamo come Cortina d’Ampezzo (5.800 abitanti), nel cuore delle Dolomiti e che aspetta le Olimpiadi Invernali del 2026, nel 2023 abbia ricevuto 319.822 arrivi. Lazise, 7.000 abitanti sulla sponda scaligera del Lago di Garda, ha ricevuto qualcosa come 771.000 arrivi. Anche senza ubriacare ulteriormente il lettore di cifre risulterà chiaro che si tratta di numeri insostenibili, che non deteriorano soltanto la qualità della vita dei residenti delle località di turismo ma anche l’esperienza degli stessi turisti, i quali finiscono per trovarsi ingolfati in contesti urbani e ambientali degradati, oltre che dall’overtourism, anche dall’inquinamento.

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La domanda che si pone è dunque la solita: che fare? La sinistra radicale, con un movimento sotterraneo ma poderoso, ha cominciato da lunghi anni, prima nella penisola iberica e poi gradualmente anche nel resto d’Europa, una crociata senza quartiere contro il turismo il quale, diversamente dall’immigrazione, non viene inquadrata come un’invasione di disperati sans papiers, ma di ricchi nullafacenti. Si tratta di una visione qualunquistica e miope ma che trova terreno fertile tra chi, e sono molti, dal turismo di massa ottiene solamente disagi e svantaggi. Le città europee si riempiono così di murales e scritte che intimano “Tourist go home” (Turista vai a casa”).

Lotta al turismo di massa: un tema di sinistra. O no?

È inutile domandarsi il perché il turista dovrebbe tornarsene a casa mentre l’immigrato, che spesso causa problemi enormemente superiori a quelli del turista, dovrebbe essere accolto ma tant’è. Notevole è anche il cortocircuito in cui incappa chi, da sinistra, comincia ad opporsi al turismo solo oggi, quando è effettivamente diventato un fenomeno realmente di massa, e cioè democratico. Il problema tuttavia rimane sul tavolo. Davvero si vuole lasciare alla sinistra radicale, o all’anomia campanilistica delle amministrazioni locali (di qualsiasi colore) la ricerca di soluzioni a questo problema? Un approccio conservatore al problema è possibile? Il Canada, come abbiamo visto, comincia a muoversi con le chiusure. In Europa, più moderati, si procede con il triste fenomeno delle prenotazioni: si prenota l’accesso ad un luogo, protetto da sbarre, e quando si raggiunge un numero limite tale possibilità decade, e non si entra più, in una sorta di crasi tra i topoi italiani della ZTL e del click day. La soluzione è violenta ma purtroppo, almeno nel breve termine, con poche alternative. Un autentico conservatore, magari con un occhio di riguardo alla tradizione liberale dovrebbe, però esprimere alcune considerazioni e suggerire migliorie; per esempio: perché non dare la precedenza, in questi sistemi di prenotazione ai cittadini italiani? Ricordiamo che il contribuente italiano, o al limite dell’Unione Europea, paga già fior di quattrini ogni anno per il mantenimento di strade (magari di ZTL in cui non può entrare), musei, attrazioni turistiche e passi alpini: per quale motivo, dunque, non dovrebbe poter accedere a qualcosa che, a tutti gli effetti, paga ogni giorno, a differenza di un turista cinese, statunitense o emiratino? La misura, tra le altre cose, incentiverebbe il turismo nazionale. Perché non proporla?

Pubblicità. Perché nell’epoca dei social?

Altro capitolo riguarda le reclamizzazioni su social network e mezzi di comunicazione: ce n’è davvero bisogno? È davvero straniante, ad esempio, vedere enti locali lamentarsi dell’overtourism e poi, allo stesso tempo, riempire il web di pubblicità che invitano a visitare i medesimi luoghi in questione. Luoghi come l’Alto Adige, il Veneto o la Toscana hanno davvero bisogno di attirare ancora più turisti nel nome della crescita senza limiti? È davvero ciò che la popolazione vuole oppure siamo in presenza di un problema di cui alla fine fa comodo lamentarsi anziché risolverlo?

Il turismo come biglietto da visita

È opportuno ricordarsi infatti che il turismo non è solo un’opportunità di guadagno per esercenti ed erario pubblico, ma è anche e, per un identitario, soprattutto, biglietto da visita di una nazione e della sua civiltà. Garantire un turismo di qualità alle popolazioni e un’esperienza di altrettanto alta qualità ai visitatori, stranieri e no, è un curriculum positivo per le istituzioni e i popoli che gestiscono il fenomeno, non privo di ricadute geopolitiche: davvero vogliamo lasciare che ad occuparsi del problema siano soltanto gli strilloni del “tourist go home”? [2 – fine. La prima parte è stata pubblicata QUI]

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.