Per giudicare il valore – positivo o negativo – dell’immigrazione per l’Italia, occorre valutare principalmente tre aspetti: demografia, cultura ed economia. Per motivi di brevità, abbiamo deciso di non trattare la questione dell’incompatibilità etnoculturale tra popoli profondamenti diversi; ci limitiamo – banalmente – a sottolineare come per l’Italia sia più facile assimilare romeni e ucraini, rispetto a immigrati extraeuropei provenienti da culture islamiche, animiste e tribali che non hanno nessuna intenzione di amalgamarsi con gli autoctoni: emigrano in Europa perché attratti dal lavoro e dai sussidi.
La questione economica è – pressoché da sempre – la giustificazione principale per aprire le frontiere agli immigrati: fanno i lavori che gli autoctoni non vogliono più fare, ci pagano le pensioni, ecc. Alla giustificazione economica, occorre opporre diverse obiezioni.
1 – “Ci serve chi raccolga pomodori a 2 € l’ora”
Sotto il profilo strettamente morale, l’approccio economicistico è intrinsecamente razzista: l’immigrato è considerato uno strumento utile per sostituire gli autoctoni nei lavori più faticosi, (magari) pagandolo di meno. Beninteso, questo approccio è naturale: è dal tempo dei Romani che gli immigrati vengono sfruttati per gli stessi motivi. Tuttavia, ammettendo ciò, i sostenitori dell’immigrazione non dovrebbero ammantarsi di superiorità morale in quanto la giustificazione economica è de facto un’implicita accettazione dello schiavismo. L’immigrato che lavora per pagare le pensioni degli autoctoni, è al servizio degli autoctoni. C’è di più. Se i figli degli immigrati dovessero integrarsi, non facendo più i “lavori umili” dei genitori, ma – sul piano lavorativo – raggiungere lo stesso livello degli autoctoni, ciò causerebbe una nuova richiesta di immigrati (disposti a fare il lavoro che sia gli autoctoni che gli immigrati integrati di seconda generazione non vogliono più fare), rendendo il Paese dipendente dall’immigrazione.
2 – No, gli immigrati non ci pagheranno le pensioni
Nel bilancio economico dell’immigrazione non vanno prese in esame solo le entrate (i contribuiti versati dagli immigrati), ma anche le uscite (i costi dell’immigrazione: accoglienza, assistenza, giustizia, rimesse, ecc). La Fondazione Leone Moressa pubblica annualmente un rapporto sull’impatto economico dell’immigrazione. L’ultimo, pubblicato nell’ottobre 2023, basandosi sui dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze, stima che il contributo netto degli immigrati è stato di 1,8 miliardi. Ben al di sotto delle cifre sbandierate dalla stampa e dai politici di sinistra, i quali tendono a considerare prevalentemente le voci in entrata e molto meno quelle in uscita.
«Il trend che abbiamo osservato nei nostri rapporti è che la bilancia economica dell’immigrazione è generalmente sempre positiva» leggiamo nel rapporto. «Il motivo è soprattutto il fatto che la popolazione straniera in Italia è generalmente giovane e in età da lavoro, e che quindi influisce poco sulle due principali voci della spesa pubblica, ossia la sanità e le pensioni». Viene precisato come sia sbagliato affermare che “gli immigrati ci pagano le pensioni”; in verità «I cittadini stranieri che vivono in Italia contribuiscono sicuramente a sostenere il nostro sistema previdenziale, ma in percentuale tutto sommato marginale rispetto al totale della spesa pensionistica». Aggiungiamo che il rapporto non contempla il contributo dell’immigrazione irregolare, «Allo stesso tempo però gli immigrati irregolari beneficiano in termini marginali dei servizi garantiti dallo Stato e quindi non sono considerati nel nostro rapporto».
Immigrati e denatalità: una soluzione temporanea e a doppio taglio
Gian Carlo Blangiardo, professore di demografia all’Università degli Studi di Milano e presidente dell’ISTAT (2019-2023), ha ridimensionato «un certo luogo comune secondo cui è solo grazie agli immigrati – in quanto giovani e lavoratori – che si potrà arginare il fenomeno del crescente invecchiamento demografico e risolvere il problema delle pensioni e degli squilibri che vanno prospettandosi sul fronte della spesa sanitaria. Ma anche in questo caso è bene ricondurre l’affermazione entro i dovuti confini. Infatti, se non c’è dubbio che arrivano, come sono arrivati in questi anni, forti contingenti di giovani che tendenzialmente rallentano – seppur non arrestano – la crescita del rapporto tra numero di pensionati e popolazione attiva, è anche vero che in un prossimo futuro questi stessi giovani saranno vecchi; e allora in aggiunta all’invecchiamento prodotto da chi è nato in Italia – si pensi al milione di figli del baby boom degli anni Sessanta che attorno al 2030 diverranno over 65 – avremo centinaia di migliaia di persone (si stima ci saranno circa 200.000 nuovi casi annui a partire dal 2030) che senza essere nate nel nostro Paese invecchieranno qui: saranno gli «anziani aggiunti» in un Paese di anziani. Il vero contributo dell’attuale immigrazione (ancora) giovane è dunque – a meno di ipotizzare flussi in ingresso via via crescenti, ma sostanzialmente ingestibili – solo quello di regalarci un po’ di tempo in più per tentare di mettere a punto i necessari adattamenti del sistema di welfare.
In tal senso, anche il tanto enfatizzato surplus netto dell’immigrazione – come differenza tra pagamenti (di tasse e contributi) e riscossioni (per prestazioni e spesa sociale) – può dare oggi un sollievo ai conti pubblici in termini di cassa, ma non equivale a un saldo attivo rispetto al principio di competenza. I versamenti previdenziali, che oggi sembra siano largamente superiori alla corrispondente spesa, rappresentano solo un prestito; sono un anticipo di cassa di cui gli immigrati chiederanno legittimamente il rimborso, sotto forma di prestazione e assegni pensionistici, già nel corso dei prossimi 2-3 decenni». A chi sostiene che «gli immigrati ci pagano le pensioni» occorre insomma ricordare che anche gli stranieri invecchiano e di conseguenza esigeranno – giustamente – una pensione.
«Sebbene siano solo l’8,5% della popolazione…»
Legando la questione economica alla sicurezza, constatiamo – sui dati del 2021 – che su 54.134 detenuti, 17.043 erano stranieri, il 31%. Dal momento che gli stranieri rappresentavano l’8,5% della popolazione, ne risulta che la probabilità di carcerazione degli stranieri rispetto agli italiani è 5 volte superiore. A questi vanno aggiunti 900 detenuti nati all’estero ma a cui è stata concessa la cittadinanza italiana.
Suddividendo per nazionalità i detenuti emerge che:
Nazionalità dei detenuti | Probabilità di carcerazione rispetto agli italiani |
-Europa | 3 volte superiore |
Albania | 6 volte superiore |
Romania | 3 volte superiore |
-Africa | 12 volte superiore |
Algeria | 34 volte superiore |
Marocco | 12 volte superiore |
Nigeria | 16 volte superiore |
Tunisia | 26 volte superiore |
Un detenuto costa allo Stato italiano 137 € al giorno, ciò significa che i 17.043 detenuti stranieri nel 2021 ci sono costati quasi 853 milioni di euro. Con qualche oscillazione sulla percentuale, nel 2010 i detenuti stranieri costituivano quasi il 37% del totale, i carcerati stranieri sono passati da 7.237 unità nel 1992 a 17.043 nel 2021.
Conclusioni
Può un temporaneo beneficio economico prevalere sulla sottomissione demografica e culturale degli autoctoni? È questa la domanda fondamentale. Non è necessario citare gli infiniti casi di cronaca nera che coinvolgono gli immigrati extraeuropei. Fermarsi al bilancio economico è un approccio superficiale che condanna l’Italia – e l’Europa – al declino. Tutto si aggrava quando, con la scusa delle pensioni e dei buoni sentimenti, si mette in piedi un vero e proprio business dell’immigrazione, il quale, basandosi su di un sistema paramafioso, arricchisce – sulla pelle dei migranti e dei contribuenti italiani – solo i privati.
Fonti:
Fondazione Leone Moressa, Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione. Edizione 2023. Talenti e competenze dell’Europa del futuro, il Mulino, Bologna, 2023.
Blangiardo, Gaiani, Valditatra, Immigrazione. Tutto quello che devi sapere, Aracne editrice, Canterano, 2016, pp. 26-27.
Francesca Totolo ha elaborato i dati dell’ISTAT nell’articolo “Allarme criminalità straniera, gli immigrati rappresentano il 31% della popolazione carceraria in Italia: vi mostriamo tutti i dati”, Il Primato Nazionale, 27.01.2023.
Quanto costa un detenuto allo Stato italiano?, poliziapenitenziaria.it, 08.10.2022.
Foto: CC 2.0 Stefano Corso
Battitore libero del pensiero non conforme, scrive per diverse testate e blog. Si interessa di dinamiche demografiche, storia, geopolitica e «ideologie alla moda».
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