di Emanuele Mastrangelo

«Sarebbe un buon deterrente che qualcuno subisse conseguenze civili o penali per la disinformazione online» (Hillary Clinton). «Non esiste la garanzia della libertà di parola per la disinformazione o i discorsi d’odio, specialmente se sei in democrazia» (Tim Walz). «I social media sono armati per diffondere odio e disinformazione che minacciano le nostre comunità e i valori fondamentali come paese» (Gavin Newsom). Questi sono alcune delle minacciose parole d’ordine che le teste d’ariete del Partito Democratico negli Stati Uniti stanno portando avanti, in una campagna tesa a minacciare le piattaforme online , come del resto dichiarato apertis verbis dalla Harris durante un comizio nel 2019:

«Raddoppierò la divisione per i diritti civili e dirigerò le forze dell’ordine per contenere questo estremismo e ritenere le piattaforme dei social media responsabili dell’odio che si infiltra nelle loro piattaforme perché hanno la responsabilità di aiutare a combattere questa minaccia alla democrazia. E se trai profitto dall’odio, se agisci come un megafono per disinformazione o guerra informatica e non moderi le tue piattaforme, ti riterremo responsabile come comunità».

Se vince la Harris gli americani faranno la finaccia degli inglesi…

Il programma dei dem americani sembra molto simile a quello del regime di Keit Starmer in Gran Bretagna, dove le condanne per reati «d’odio» superano in gravità quelle comminate per i delitti di sangue e dove intere legioni di poliziotti sono state destinate al controllo di ciò che i sudditi britannici scrivono sui loro social piuttosto che pattugliare le strade dove la «diversità» ha portato a livelli senza precedenti l’insicurezza.

Del resto, la libertà di poter circolare per strada senza essere accoltellati è un problema nostro, mentre la nostra libertà di parola è un problema per l’establishment. Nessuno stupore dunque che i sudditi britannici vengano ora abbandonati dal loro governo alla mercé del crimine mentre sono bastonati per il loro dissenso alle politiche di sostituzione etnica perseguite negli ultimi decenni.

Un reato passepartout

La richiesta di stabilire leggi contro la «disinformazione», accusata d’essere causa di sommosse, influenza straniera sui processi democratici o semplicemente di «odio» è una minaccia allo stato di diritto per la patente evanescenza del concetto: come icasticamente rappresentato dal fumettista SKS Cartoon, una volta approvata una legge contro la «disinformazione» la palla passa a chi può decidere come definire questa fattispecie. Durante la pandemia, per esempio, sono stati bollati come «disinformatori» tutti coloro i quali sostenevano che esistevano cure specifiche per la sindrome parainfluenzale causata dal coronavirus, salvo poi riconoscere che la formula antinfiammatori+vitamine+antibiotici e se necessario antitrombotici era la strada migliore per curare la stragrande maggioranza dei casi. Al contrario, i media hanno sostenuto a spada tratta la ricetta ministeriale del «tachipirina e vigile attesa», che soprattutto nel nostro paese s’è rivelata esiziale per decine di migliaia di pazienti.

A cose fatte non c’è dubbio quale delle due informazioni fosse fasulla. Ma grazie al completo controllo dei media tradizionali e dei social da parte del mainstream la strategia imposta dal ministero della Salute italiano è stata propagandata come «corretta» mentre l’altra nascosta quando non apertamente sconsigliata. Migliaia di pazienti (compreso chi scrive) devono la loro vita ai medici che hanno diffuso terapie efficaci attraverso canali alternativi, subendo spesso le persecuzioni mediatiche del mainstream se non quelle dell’ordine professionale. In un regime come quello auspicato dalla Harris e dai maggiorenti del suo partito costoro rischierebbero direttamente la persecuzione penale, in quanto colpevoli di «disinformazione».

 Il regime perfetto, quello sognato dalle sinistre occidentali

L’obbiettivo, chiaramente, è quello di tacitare ogni opposizione reale recintando il perimetro del «lecito» nel dibattito pubblico ai soli argomenti addomesticati. Il sogno bagnato dell’internazionale dem, da Washington a Londra a Bruxelles fino ovviamente ai «campi larghi» nostrani è quello di poter apparecchiare al pubblico finti dibattiti il cui unico scopo è dimostrare che esiste ancora una «democrazia», mentre tutto ciò che esce dal seminato e lo contraddice può essere facilmente criminalizzato e perseguito per legge.

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La “disinformazione” è così un manganello da agitare sotto il naso di chiunque sia scomodo. Del resto la sua definizione è evanescente e consente a chi si erge a giudice, giuria e boia di costruire una fattispecie di reato su misura per il proprio nemico politico da silenziare e distruggere.

Il trauma subito dall’internazionale dem per la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016 è infatti ancora bruciante. Che un pugno di ragazzini armati di meme riuscisse a far crollare il potere dem diffondendo notizie sulle email della Clinton e sulle torbide vicende attorno al suo clan risultò una frustata in faccia all’establishment senza precedenti. Tutti ricorderete le lacrime della Bottero, che si lamentava di come gli elettori non avessero seguito le indicazioni della stampa. Pochi però ricordano che contemporaneamente un’ondata di panico colpì l’internazionale progressista e le istituzioni europee, facendo avviare quei processi che hanno condotto all’attuale European Media Freedom Act, nome orwelliano per una legge che minaccia di schiacciare ogni reale libertà di espressione su internet per i sudditi del superstato europeo. Non va dimenticato, infatti, che il dibattito che ha condotto a questo apparato giuridico, per fortuna non ancora così stringente per gli Stati, è iniziato con addirittura la richiesta di proibire i meme.

In Italia vanno blindati gli art. 21 e 3 della Costituzione (prima che sia troppo tardi…)

In Italia è partito ora il dibattito parlamentare per la legge di riforma dei media e dell’editoria. Questa può essere un’occasione per blindare le libertà costituzionali garantite dall’articolo 21 – libertà d’espressione e di stampa senza censura – e 3 – non discriminabilità degli individui anche per le proprie opinioni politiche – ma anche il cavallo di Troia col quale potranno essere introdotti nuovi e subdoli strumenti di repressione. È dunque necessario in questo momento un surplus di accortezza da parte dei nostri decisori politici, in particolare per evitare che l’opposizione possa impiantare gli embrioni maligni di una futura repressione della libertà di parola, badando soprattutto a non cedere alle lusinghe di credere di poterli usare, né alla melensa retorica della «responsabilità» con cui le sinistre cercano di piegare il discorso a loro favore. Il tutto ovviamente facendo presto, perché da oltreoceano possono arrivare altri quattro anni di regime wokeista, le cui premesse sono tali da far tremare le vene ai polsi.

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è redattore capo di "CulturaIdentità" ed è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).