di Marco Malaguti

Per anni e anni la Svezia ha rappresentato un modello invidiato per la sua qualità della vita, per il suo benessere e per il suo costoso ma al contempo generoso stato sociale. Considerata come un paradiso del welfare, la monarchia scandinava erede del potente impero di re Gustavo Adolfo ha costruito nel corso degli ultimi decenni un’efficace macchina amministrativa che ha saputo coniugare crescita economica e sicurezza sociale per i circa dieci milioni di abitanti del Paese.

Un paradiso non gratuito

Il paese scandinavo, come accennato, non ha ottenuto tutto ciò gratuitamente, ma le conquiste ottenute tramite l’inveramento di questo modello, avvenuto in massima parte grazie ai governi socialdemocratici del Partito Socialdemocratico di Svezia (Sveriges Socialdemokratiska Arbetareparti), hanno comportato un forte dirigismo da parte dello Stato, tanto in ambito economico quanto in ambito etico e sociale. Nonostante la Svezia sia nota come patria dei “diritti” (Stoccolma fu la prima al mondo a concedere il voto alle donne, fin dal 1862), è importante sottolineare come tale condizione sia in realtà figlia di un disegno abbastanza lontano da quella che oggi chiamiamo la democrazia liberale classicamente intesa.

Democrazia sì, ma dall’alto

Con il trono retto fin dal 1818 dalla famiglia Bernadotte, discendente del generale napoleonico ed ex giacobino Jean-Baptiste Bernadotte asceso al trono col nome di Carlo XIV, la Svezia si è trasformata, nel corso degli ultimi due secoli da paese-caserma simile alla Prussia, in una sorta di stato dirigista-democratico, dove la democratizzazione, inquadrata in un’ottica paternalistica tipicamente luterano-protestante, incontrava le idee rivoluzionarie importate dalla Francia e moderate dal ruolo del sovrano e della casa reale. La forte valenza etica dello Stato, tipica dei paesi luterani, si è quindi declinata, in Svezia, in una sorta di democratizzazione dall’alto, non priva di un certo moralismo (la Svezia è stato l’unico Paese europeo ad aver tentato di imporre un proibizionismo degli alcolici su modello statunitense) con intenti, nemmeno troppo larvati, volti ad una vera e propria paideia di Stato. In questo senso vanno anche lette le sconvolgenti legislazioni eugenetiche approvate nel paese scandinavo durante il Novecento (e sostenute da premi Nobel e miti della socialdemocrazia come i coniugi Myrdal), che prevedevano, fra l’altro, la sterilizzazione coatta e la sottrazione dei figli alle ragazze madri.

Uno Stato etico nel nome dei diritti

Forte anche del ruolo etico conferitogli dal luteranesimo (il quale ha perso lo status di religione di Stato con a capo il sovrano solo nell’anno 2000) lo Stato in Svezia è da sempre ricoperto di un’autorità morale e pedagogizzante sconosciuta ai paesi dell’Europa continentale e agli Stati Uniti. Lo Stato, quindi, trova ancora oggi molta difficoltà a percepirsi come un garante delle libertà individuali e non piuttosto una struttura pedagogica sovrastante gli individui medesimi. Che un simile contesto abbia dato origine ad uno dei più forti e popolari partiti socialdemocratici del mondo non deve quindi stupirci, data la similitudine tra la concezione, prettamente protestante, di spostamento della Gerusalemme Celeste al contesto umano, e quella della socialdemocrazia, che aspira a giungere al socialismo per via di una serie di riforme e perfezionamenti degli assetti ingiusti sulla terra.

La Svezia vittima del suo successo

Anche le similitudini con il messianismo protestante statunitense sono evidenti, e non è un caso che la Svezia sia, proprio come gli States, uno dei santuari del politicamente corretto e del wokeismo culturale più genuino. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare da quelli osservabili in un Paese vittima del suo stesso successo: il welfare più generoso e inclusivo del mondo è diventato talmente celebre dall’attrarre da ogni parte del Terzo Mondo (e non solo) masse di uomini di donne ansiosi soltanto di viverne all’ombra, un’ambizione che in Germania, altro paese con alcune similitudini con Stoccolma, chiamerebbero Sozialtourismus (turismo sociale).

Nel paese dell’inclusione fioriscono i ghetti

L’immigrazione di massa di cui è stata (ed è ancora, nonostante l’attuale governo di centrodestra) vittima la Svezia ha, per alcuni decenni, contribuito alla prosperità svedese, con alti numeri di immigrati che, a basso costo, hanno contribuito alla crescita esponenziale dei profitti dei grandi poli industriali di Göteborg (Volvo, Ericsson), e Malmö. L’altissima percentuale di immigrati mediorientali e del Corno d’Africa musulmano ha però contribuito alla nascita di veri e propri “ghetti”, simili per molti versi alle banlieues francesi, ad alto potenziale criminogeno. Lo stupro, in particolare, sembra costituire una vera e propria emergenza nazionale in un paese che, da sempre, fa dei diritti delle donne la sua bandiera.

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Le statistiche parlano chiaro, la Svezia è infatti ampiamente in testa, tra i paesi europei, nella triste classifica degli stupri, in una percentuale e in modalità che, data la corrispondenza geografica dei misfatti con le maggiori aree di incidenza migratoria, lascia pochi dubbi riguardo alla correlazione tra i due fenomeni. Memore del suo ruolo pedagogico e inclusivo, tuttavia, lo Stato svedese, pur cercando di studiare e reprimere il fenomeno, si è più volte allarmato ogniqualvolta qualcuno, politici o sociologi che fossero, abbia tentato di porre in relazione stupri e immigrazione di massa.

Il bavaglio agli studiosi

Studi come quello di Ardavan Khoshnood, docente all’università di Malmö, Henrik Ohlsson, Jan Sundquist e Kristina Sundquist, pubblicato sulla rivista Forensic Sciences Research nel 2021, sono finiti immediatamente sotto l’occhio dei pedagoghi di Stato dietro delazione di una studentessa. Ad allarmarli il dato, che, pur non ricercato espressamente dagli studiosi, mostrava la correlazione inequivocabile tra fenomeno migratorio e stupri nelle città svedesi. Il Comitato di Revisione Etica (ÖNEP), vero e proprio organo di controllo politico dello Stato, ha infatti parlato di “violazione della privacy e dei dati personali” dei colpevoli degli stupri, di cui gli studiosi avrebbero violato “la riservatezza” nell’effettuare la loro ricerca; un “reato” che, se riconosciuto come tale, può portare a pericolose conseguenze penali e lavorative in Svezia.

Caso isolato? Non più

Gli stupri ci sono ma, in buona sostanza, non bisogna dire chi li commette, se il reo è straniero o, come oggi usa dire, “con background migratorio”. Le conseguenze, tanto sulla libertà di espressione e di ricerca quanto sulla stessa credibilità dei mass media, sempre più visti come inaffidabili e menzogneri dalle opinioni pubbliche, sono facilmente immaginabili, e poco importa che alla fine gli accademici autori dello studio siano stati scagionati. La tendenza sembra infatti delinearsi a livello europeo: nel Regno Unito, per evitare tumulti e riots, le autorità evitano quasi sempre di rendere note le etnie degli autori di reati, in Francia è addirittura vietato, mentre in Germania l’attivista di Alternative Für Deutschland Marie-Thérèse Kaiser è stata condannata a seimila euro di ammenda per aver divulgato dati e statistiche ufficiali del governo tedesco che dimostrano che nel Paese teutonico quasi il 90% delle violenze sessuali viene commesso da stranieri, in particolare algerini, tunisini, somali e afgani, e solo il 10% da cittadini europei (di cui solo il 3% da cittadini tedeschi).

Liberalismo cercasi

Di fronte a questa offensiva politicamente corretta, che sfocia, senza più nemmeno nasconderlo, nello Stato Etico, varrà ancora la pena, se tale offensiva sarà coronata da successo, di sostenere di fronte al mondo di vivere ancora in democrazie liberali? E cosa diranno, ammesso che esistano ancora, i liberali autentici, di fronte ad una siffatta negazione di ogni più elementare postulato liberale?

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.