di Gioacchino La Rocca

La mail del magistrato di cui tutti hanno parlato

Il 19 ottobre 2024, alle ore 18.32, un alto magistrato ha inviato una mail a tutti gli iscritti alla Associazione Nazionale Magistrati.

L’autenticità di questa mail non può essere messa in discussione, come pure inizialmente si è tentato di fare. Il c.d. “esecutivo di Magistratura Democratica”, la corrente di estrema sinistra cui appartiene il magistrato autore della mail, ha cercato di difenderla con un comunicato ufficiale e con ciò ne ha certificato l’autenticità.

Questa mail è di grande interesse perché riflette i termini dello scontro istituzionale, che in questi mesi mette a dura prova la tenuta dell’ordinamento. Dunque, l’analisi di questa mail è estremamente utile per comprendere i termini di tale scontro. Tale analisi, tuttavia, deve essere preceduta da una necessaria avvertenza. Qui non si intende polemizzare con una singola persona e con le sue personali convinzioni: queste ultime meritano il più assoluto rispetto e sono per più versi insindacabili in quanto libere manifestazioni del pensiero ed espressione della persona umana: come tali, dotate di un valore intrinseco.

Il discorso muta quando quelle convinzioni raccontano la posizione di una associazione di magistrati e questi ne fanno una sorta di programma per azioni esplicitamente dirette a contrastare le politiche governative. In questo caso, l’azione di un gruppo di magistrati si trasforma in azione politica, ossia in azione diretta a incidere sull’organizzazione della comunità. E ciò vale sia nel caso in cui tale azione sia diretta a modificare la struttura organizzativa esistente della comunità, sia nel caso in cui il fine di tale azione sia il mantenimento dello stato attuale in contrasto con l’azione riformatrice del governo.

Pertanto, è necessario e doveroso mettere a fuoco con molta chiarezza e senza sconti – “senza timidezze”, come si legge nella famosa mail – il programma dell’azione politica promossa da questa associazione di magistrati: non si tratta più di convinzioni personali, ma di un programma di azione politica. E, in quanto programma di azione politica, deve essere riconosciuto per quello che è: mistificatorio ed incompatibile col sistema costituzionale.

Una rappresentazione mistificatoria

Mistificatorio e al di fuori dell’ordine costituzionale, si è detto. Le due caratteristiche si accavallano tra loro.

Perché mistificatorio? È mistificatorio innanzi tutto perché tenta di dissimulare la chiara matrice politica del fine che questa associazione si prefigge.

Nella mail si afferma che il governo agisce sulla base di “visioni politiche” e si aggiunge che, in forza di tali visioni, intende porre mano alla “riscrittura dell’intera giurisdizione”. Si riconosce così che tale “riscrittura” – reale o presunta che sia – costituisce oggetto di una azione politica: attraverso di essa il governo si prefigge di realizzare le sue “visioni politiche”.

Se le cose stanno in questi termini, se ne devono trarre le necessarie conseguenze. Occorre prendere atto che quanti – come questi magistrati associati – si oppongono alla “visione politica” e all’azione del governo, a loro volta progettano e attuano una azione, che è antagonista a quella governativa. Peraltro, proprio per suo questo carattere, l’azione di questi magistrati è di caratura politica analoga a quella governativa, sia pure di segno diverso rispetto a questa.

In altre parole, ci troviamo di fronte allo scontro tra due azioni politiche contrapposte, le quali sono evidentemente animate da due “visioni politiche” divergenti: la visione politica di una associazione di magistrati si contrappone alla “visione politica” del governo.

La prima mistificazione è smascherata: l’affermazione secondo la quale l’associazione dei magistrati non farebbe “opposizione politica”, è oggettivamente decettiva. Quanto si legge nella mail del magistrato, circa l’assenza di una opposizione politica da parte dei magistrati, è solo la foglia di fico dietro la quale si cerca di camuffare l’intento intrinsecamente politico delle azioni, delle prese di posizione e finanche nei provvedimenti assunti da taluni giudici. Tale intento si intravede nella “famosa” mail, che è animata da una evidente parola d’ordine: contrastare la “visione politica” del governo.

Occorre allora avere il coraggio e la decenza della verità. La “famosa” mail contiene un’esortazione valevole per tutti: occorre prendere posizione “senza timidezze” perché il momento è grave.

Dunque, “senza timidezze” dobbiamo riconoscere la natura oggettivamente politica di ogni provvedimento giudiziario.

Senza timidezze” dobbiamo pretendere che i giudici – sicuramente consapevoli della valenza politico-sociale dei loro provvedimenti – non ricorrano a forzature.

Senza timidezze” dobbiamo denunciare che, quando queste forzature siano adottate, ciò non accade per caso, ma in forza di un preciso disegno politico.

Senza timidezze” dobbiamo denunciare che questi magistrati, in virtù di tale loro qualità, annunciano lucidamente ed altrettanto lucidamente perseguono azioni inconfutabilmente politiche in funzione di visioni parimenti politiche.

Negarlo è mistificatorio.

 I criteri politici attualmente utilizzati per trasferimenti e promozione dei magistrati

Purtroppo, non è la sola mistificazione in campo. Altra mistificazione si cela negli scopi dichiarati sia nella mail, sia negli atti dell’associazione, come dei suoi esponenti. Si declama che i magistrati associati agirebbero per una “giurisdizione davvero indipendente”, “per il diritto dei cittadini ad un giudice indipendente”. Ed ancora si declama che l’associazione agirebbe “per i diritti dei cittadini”.

È davvero così? Davvero la “visione politica” del governo mette a repentaglio i “diritti dei cittadini”?

È una rappresentazione assolutamente infondata. Nessuno ha mai attentato al diritto di “tutti” di ricorrere al “giudice naturale precostituito per legge” al fine di far valere un “diritto o un interesse legittimo” (artt. 24 e 25 Cost.). Non è mai stato messo in discussione il diritto di difesa e la sua inviolabilità (v. ancora art. 24 Cost.). Nessuno ha mai proposto leggi retroattive (come, ad esempio, provò a fare il governo Renzi) e neppure si è mai sognato di estendere la responsabilità penale al di fuori della sfera delle persone fisiche in ipotesi ritenute colpevoli di aver direttamente compiuto il reato (art. 27 Cost.). Mai è stato messo in discussione il “giusto processo”, con le sue tante declinazioni implicite nell’art. 111 Cost.

Questo elenco potrebbe durare a lungo senza poter determinare il preciso punto in cui sarebbero stati violati dal governo i “diritti dei cittadini”. Ma sarebbe inutile. Basti dire che chi lamenta tali asserite violazioni, non riesce poi ad individuare precisamente quale “diritto dei cittadini” sarebbe stato violato.

La verità è che siamo di fronte ad una seconda mistificazione. Il vero problema sollevato dalla riforma della giustizia proposta dal governo (quella che talune associazioni di magistrati definiscono “riscrittura della giurisdizione”) è che essa andrebbe a minare il potere politico delle c.d. “correnti” ed in particolare di quella di estrema sinistra.

In proposito, è sufficiente leggere i documenti prodotti dai suoi esponenti. La foglia di fico dei “diritti dei cittadini” viene abbandonata. Si va al sodo; si mette in chiaro che il vero problema sono le modalità per l’elezione dei componenti del CSM: non più l’elezione per liste o di candidati caldeggiati e spinti dalle correnti, il cui potere è rimasto inalterato anche dopo la legge del 2022. L’obiettivo adesso è il sorteggio proposto dal governo. Il sorteggio non può essere condizionato dalle correnti. Con il sorteggio queste ultime non potrebbero mantenere il controllo, non solo sui “trasferimenti” dei magistrati, ma anche e soprattutto sulle “promozioni” (ad esempio in Cassazione, che intuitivamente è uno snodo cruciale per orientare l’interpretazione del diritto e gli spazi che quest’ultima sempre consente alla discrezionalità del giudice) e sulle “nomine ad uffici direttivi e semidirettivi”.

L’ importanza di questi aspetti per il dominio sul sistema giudiziario non può sfuggire. È comprensibile che le correnti muovano una guerra senza quartiere a chi voglia ripulire il sistema da tali incrostazioni. E che si tratti di vero e proprio dominio sul sistema non possono esservi dubbi perché la conferma viene proprio dai documenti di “Magistratura democratica”. Vi si afferma, infatti, esplicitamente che un componente del CSM – una volta che sia sottratto all’influenza della corrente, cui attualmente deve tutto in termini di carriera e prestigio – “sarebbe una monade svincolata da ogni responsabilità politica e di gruppo”.

È una affermazione, la cui gravità non sembra avvertita da chi la formula. Di quale “responsabilità politica e di gruppo” stiamo parlando? In cosa consiste precisamente tale responsabilità? A chi e per cosa devono attualmente rendere conto i membri del CSM nell’adempimento del loro ufficio?

Non sono interrogativi di poco conto. Essi investono il concreto funzionamento di un organo a rilevanza costituzionale, quale è il CSM.

Ancora una volta i documenti dell’associazione sono illuminanti. Da essi è possibile intravedere qualche risposta agli interrogativi sopra enunciati. Infatti, leggendo con qualche attenzione tali documenti si intende – argomentando a contrario, direbbero i giuristi – che attualmente i membri togati del CSM (vale a dire l’assoluta maggioranza dei membri del CSM) procedono a “trasferimenti, promozioni e nomine ad uffici direttivi” dei giudici, non già valutando i curriculum dei candidati, ma sulla base di “valori ed opzioni culturali e istituzionali”.

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Ognuno coglie l’ambiguità e l’oscurità di questa espressione. Cosa significa di preciso “valori ed opzioni culturali ed istituzionali”? ed in che modo tali “valori ed opzioni culturali ed istituzionali” inciderebbero su nomine, trasferimenti e promozioni dei magistrati? Più chiaramente: il magistrato “X”, che dopo decenni di apprezzato lavoro in favore della comunità aspira ad una promozione, quali ulteriori “valori ed opzioni culturali ed istituzionali” deve possedere per ottenerla?

La verità è che siamo di fronte all’ennesima mistificazione: questa formula dei “valori ed opzioni culturali e istituzionali” non ha nulla a che vedere con le competenze giuridiche, la probità e le esperienze maturate nelle corti e nelle procure, che dovrebbero essere i soli aspetti ragionevolmente rilevanti per accedere a “promozioni e nomine ad uffici direttivi”.

“Valori ed opzioni culturali e istituzionali” – nella sua oscurità – è una formula che proietta un’ombra pesante sul sistema attualmente utilizzato per selezionare i magistrati che ambiscono a promozioni ad uffici direttivi. Quella formula autorizza il sospetto che “trasferimenti, promozioni e nomine ad uffici direttivi” abbiano luogo in base all’appartenenza politica e correntizia del candidato. Ma questo forse potrebbe non essere solo un sospetto: chiunque abbia esperienza di come marciano attualmente le cose – ad iniziare dagli stessi magistrati – ha bene in mente di cosa parlo.

A questo punto il cerchio si chiude: con il sistema attuale, nel decidere su trasferimenti, promozioni e nomine a uffici direttivi, il componente del CSM deve muoversi secondo logiche politiche e di gruppo, dal momento che è su tali logiche – ammonisce l’associazione – che sarà misurata la sua responsabilità. Lo si confessa senza remore: chi va al CSM assume una “responsabilità verso il gruppo”. Ed è ovvio che questo gruppo pretenda che l’ufficio presso il CSM sia svolto, non già nell’interesse dello Stato o della giurisdizione o dei diritti dei cittadini, ma nell’interesse del gruppo medesimo.

Il sovvertimento del “metodo democratico”

Il quadro è ormai definito. Quando ci si sottragga alla magia delle parole (“diritti dei cittadini”, “indipendenza del giudice”) e si vada alla sostanza delle cose, diviene evidente che un gruppo di magistrati intende contrapporre la propria visione politica – dai c.d. “diritti civili” (ad esempio in tema di omogenitorialità) alle politiche sulla immigrazione – a quella del governo e si ripromette di svolgere conseguenti azioni di caratura politica. Tali azioni – venne clamorosamente alla luce pochi anni or sono senza alcuna smentita successiva – sono svolte di intesa con i partiti di sinistra per assecondarne le politiche. Tutto ciò è concretamente possibile grazie al dominio che le correnti – in particolare quella di sinistra – esercitano sul sistema giudiziario. Di qui l’urgente necessità, avvertita da una parte del sistema politico, di perpetuare tale dominio.

Si delinea uno scenario inquietante per più versi, perché tutto ciò non è neutro sotto il profilo della tenuta dell’ordine democratico costituzionale della Nazione.

In primo luogo, vi è l’anomalia di un gruppo di persone, le quali sfruttano il loro ruolo nevralgico per il funzionamento della comunità, per contrastare le scelte politiche della comunità medesima. È un gruppo di persone assolutamente privo di alcuna legittimazione democratica. Rammento che il problema della legittimazione democratica a suo tempo si pose in relazione al potere normativo delle Autorità di vigilanza: ad esempio Banca d’Italia, Consob, Autorità garante della concorrenza ecc. Il problema fu in qualche modo superato osservando che il potere normativo di tali autorità sarebbe comunque stato disciplinato dalla legge ordinaria. Si aggiunse che i loro organi di vertice – peraltro non di tutte, in virtù delle particolari origini storiche di talune di esse – sarebbero stati nominati dai Presidenti delle camere di concerto tra loro. Insomma, un qualche aggancio ad organi ed istituzioni provenienti dalla volontà popolare fu trovato.

Nessuna legittimazione democratica possono, invece, vantare i magistrati e le loro associazioni. Sono persone di tutto rispetto, ma qualificate dal solo fatto di aver vinto un concorso. Fatto che di per sé non li investe di una missione salvifica nei confronti di alcuno. Sono solo pubblici funzionari, dotati di particolari competenze, chiamati a svolgere funzioni delicatissime per la comunità e, per questo solo fatto sono gravati di doveri e delicate responsabilità, alle quali non sempre adempiono con la necessaria misura e per questo motivi – come ammettono gli stessi interessati – sono “isolati nella società”. Invece di chiedersi “perché”, invece di indagare sui motivi di tanto isolamento sociale, queste persone contrastano le scelte della comunità perché tali scelte sono volte a contenere, non già la giurisdizione, ma l’indebita posizione di potere di quanti esercitano tale giurisdizione e se ne fanno scudo.

Vale ancora una volta l’esortazione ad agire “senza timidezze”. “Senza timidezze”, dunque, dobbiamo denunciare che questa pretesa dell’associazione dei magistrati di opporsi alla visiona politica del governo si pone al fuori del perimetro costituzionale.

La Costituzione – di cui molti si riempiono la bocca senza curarsi di stravolgerla nei fatti – stabilisce che quanti vogliono “concorrere a determinare la politica nazionale” debbono associarsi in “partiti politici” (art. 49 Cost.). Al riguardo è cruciale un aspetto: l’art. 49 Cost. impone il rispetto del “metodo democratico” a chi, associandosi in partiti politici, voglia concorrere alla determinazione della politica nazionale.

Il “metodo democratico” non è solo il limite imposto ai partiti. È la chiave di volta del sistema. In che cosa consiste il “metodo democratico”? Perché ha una tale importanza apicale?

Il “metodo democratico” è cruciale perché consiste innanzi tutto nelle procedure che consentono l’effettivo inveramento di quella sovranità popolare, che solennemente sancita in apertura della Costituzione, rischia seriamente di rimanere lettera morta. Il concetto di sovranità è estremamente complesso e controverso. Vi è il concreto rischio di farne un feticcio sostanzialmente privo di significato, qualora un potere formalmente attribuito al “popolo” sia consegnato ad élite organizzate, assolutamente prive di qualsiasi legittimazione democratica in quanto emerse senza l’osservanza del “metodo democratico”. Per limitare questo rischio occorre essere consapevoli che il “metodo democratico” richiamato dall’art. 49 Cost. coincide con le “forme e i limiti della Costituzione” posti dall’art. 1 a corollario della sovranità popolare. In altre parole, il “metodo democratico” consiste nelle procedure fissate dalla Costituzione per distribuire tra le varie componenti della comunità il “potere costituente” esaltato al tempo della Rivoluzione francese da uno dei suoi protagonisti, Emanuel-Joseph Sieyès, il quale, non a caso, ammoniva la Nazione a guardarsi dai “notabili”.

Per quel che qui interessa, il metodo democratico consiste nella libera partecipazione dei partiti alle elezioni con programmi sui quali si cerca il consenso del popolo sovrano. È infatti il consenso popolare che determina la composizione del parlamento, le cui maggioranze esprimono il governo. In forza del “metodo democratico”, dunque, il governo è legittimato a realizzare le sue “visioni politiche”. Ed ancora, le maggioranze parlamentari  legittimate dal “metodo democratico” sono chiamate a formulare quella “legge” che contiene ed attua le visioni politiche del governo: a tale legge il giudice è “soggetto” per espresso dettato costituzionale (art. 101 Cost.).

In altre parole, secondo il “metodo democratico”, alla stregua delle “forme e dei limiti” che caratterizzano l’esercizio della sovranità nel nostro sistema, i giudici, come pure le loro associazioni, non concorrono alla determinazione della politica nazionale (v. ancora art. 49 cost.) e all’individuazione delle visioni politiche che innervano tale politica, ispirando di conseguenza le leggi nelle quali tali visioni politiche si concretizzano:  il giudice è “soggetto” alla legge (questa la parola usata dall’art. 101 cost.) e alle visioni politiche che aniomano tale legge.

In conclusione, Costituzione alla mano, il giudice è privo di qualsiasi legittimazione a sostituire le proprie visioni politiche a quelle legittimate dal “metodo democratico”.

Chiunque miri a minare questo sistema si pone al di fuori della legalità costituzionale e pertanto svolge un’azione suscettibile di essere valutata sul piano della legge penale.

Ancora una volta “senza timidezze” è necessario essere consapevoli che questi sono i termini del conflitto istituzionale in corso.

[foto: Mstyslav Chernov CC 4.0 sa by]

gioacchino la rocca
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Consigliere Scientifico del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Già Capo dell'Ufficio Legale di una banca, è attualmente Professore Ordinario di Diritto civile all'Università di Milano-Bicocca. Ha pubblicato sei libri e circa un centinaio di articoli e scritti minori in materia di diritto privato, commerciale, bancario, finanziario.