Su Sky impazza la serie «Hanno ucciso l’uomo ragno» che racconta le origini degli 883, il duo formato da Max Pezzali e Mauro Repetto. Questo mentre Max Pezzali dopo un tour di successo negli stadi italiani cantando le vecchie hit, ha infilato per gennaio 2025 una serie di sold-out tra Forum di Assago e Palazzo dello Sport di Roma, diciassette date esaurite in tutto. E non contento a luglio è prevista una data che si preannuncia un altro successo all’autodromo di Imola.
Seconda giovinezza per il cantante degli 883, magari coadiuvata dalla nostalgia degli anni ’90, che prendono in eredità la nostalgia per gli anni ’80. Oppure c’è anche altro in questa nostalgia per gli 883 e la loro capacità di cantare come nessun altro la provincia italiana. Quella provincia che fu anche l’artefice, alla fine degli anni ’80 dell’Italia come quinta potenza industriale al mondo?
Ne «Hanno ucciso l’uomo ragno» l’amico Cisco appena diplomato dopo un impiego da barista trova subito un lavoro da operaio a un milione e trecentomila lire con tredicesima. Cifra che – ahimè anche considerando il cambio d’oggi (650 €) – è tutt’ora più di quanto prendono al mese certi stagisti o precari. E sempre la serie ci ricorda allo stesso Pezzali gli venga offerto un posto fisso da autista di ambulanza appena completato il servizio civile. Insomma un’altra Italia con altre opportunità economiche prima ancora che un’altra mentalità o le solite considerazioni sociologiche.
Una riflessione su quell’Italia non così remota nel tempo ma al contempo così lontana sul piano economico la offre anche l’ultima hit estiva dello stesso Pezzali: «Discoteche abbandonate». Pezzo ispirato al libro fotografico «Disco mute – Le discoteche abbandonate d’Italia» del 2021 a firma Calloni e Tesei, libro che nelle immagini delle discoteche abbandonate diventa anche il videoclip per la hit di Pezzali.
Il tema delle discoteche abbandonate è diventato spunto di riflessione sul tramonto di un fenomeno che aveva caratterizzato in maniera significativi gli anni ’70, ’80 e ’90. Caratterizzando sia le spiagge delle estati balneari, che la provincia operaia e contadina della Bassa padana. Quella provincia cantata proprio dagli 883 prima e dal Max Pezzali solista poi, con pezzi come «La regina del Celebrità», 1999, dedicata a una delle ragazze-immagine della discoteca pavese chiusa poi nel 2003. Pezzo di per sé già nostalgico, su due linee temporali, il primo ingresso alla discoteca serale, e poi la ragazza reincontrata sposata e madre, per le vie del centro.
Ma quella era la nostalgia per una giovinezza prima che per un’epoca, mentre oggi con «Discoteche Abbandonate» per Pezzali diventa una riflessione per un’epoca che si è chiusa. Su «Repubblica» Corrado Zunino, ragionando sulle discoteche abbandonate parlava di 2.698 chiusure e sole 630 aperture tra il 2010 e il 2021. Con una stima di oltre 7.000 locali alla fine degli anni ’90 oggi numeri più che dimezzati. Nell’articolo, ripreso da diverse testate, Zunino individua tra le prima cause il crollo delle nascite: 1.018.000 i nuovi nati del 1965, che erano i ventenni del 1985. Solo 556.805 i nati nel 1985, un numero di ventenni dimezzati a inizio nuovo secolo. E ancora peggio va in questi anni ’20.
Calo delle nascite e lockdown, costi di gestione. Ma guardando le date di chiusura dei locali che si vedono nel video e viaggiando per gli stessi luoghi dove si ergono le discoteche abbandonate (o magari trasformate in supermercati come si canta nel brano) appare evidente un altro elemento spesso ignorato: accanto alle discoteche abbandonate sono molte di più le fabbriche abbandonate.
Delle 15 discoteche che compaiono nel video il grosso è stato chiuso tra il 2000 e il 2015 con il picco intorno al 2008. Ben prima dei lockdown e del fatto che l’emergenza demografica diventasse quello che è oggi (e magari aggravata anche dal rarefarsi di discoteche e balere). La fine delle discoteche si colloca tra la crescente esternalizzazione dell’industria italiana e della crisi del 2008.
In quest’ottica le discoteche abbandonate cantate da Pezzali diventano un effetto collaterale non più solo del crollo demografico, ma anche di quello industriale. Discoteche abbandonate come le fabbriche, con la fine della dimensione sociale e produttiva dell’Italia degli anni ’90. In un’Italia in cui si dibatteva, soprattutto nel nord-est, dell’abbandono scolastico proprio per le possibilità offerte dalla “fabbrichette” e gli stipendi che facevano gola a molti ragazzi nemmeno diplomati.
Un’economia vivace anche lontano dai capoluoghi di provincia e che garantiva ai giovani gli stipendi di una settimana lavorativa e non di precariato, e per cui la discoteca diventava una necessità in una dimensione da «Il sabato del villaggio». Tutti, i metalmeccanici, gli operai del settore agricolo, ragionieri, impiegate e commesse alla ricerca di uno svago e uno sfogo in una dimensione in cui a vent’anni si era economicamente autonomi.
Era la fabbrichetta insomma a portare la discoteca. E oggi ai giovani privi di opportunità anche in quelle province che un tempo erano traino dell’economia nazionale non restano che gli svaghi passivi come quelli dei centri commerciali (a loro volta un fenomeno in una certa remissione a partire dagli Stati Uniti dove ormai i mall abbandonati fanno storiografia a sé, ma anche nel nord Italia iniziano qui e là a comparire i primi equivalenti nostrani). Mall che con i loro orari continuati sette giorni su sette, negano anche quello che alle generazioni dei giovani anni ’90 erano i dì di festa del sabato e, soprattutto, della domenica: una forma di svago collettivo, ancorché profano.
Citazione leopardiana non causale. Gli stessi 883, nel 1993 nel secondo album «Nord Sud Ovest Est» nell’ottava traccia, «Weekend», cantavano proprio un fine-settimana leopardiano attualizzato alla dimensione provinciale dell’Italia anni ’90. E un verso di quella canzone “Convinti che sarà il più bello dei weekend”, torna anche in «Discoteche Abbandonate».
Ma quello leopardiano è il tema della giovinezza e delle aspettative per il «dì di festa». E
certamente la discoteca, e il suo successivo abbandono, rimangono sicuramente un fenomeno storico proprio di alcune generazioni. Pure era uno dei simboli di una vitalità economica di quell’Italia produttiva. E la stessa discoteca si poneva in continuità come evoluzione di una forma di intrattenimento collettivo che partiva dalle feste paesane, fino alle sale da ballo e alle balere.
Mentre viaggiando nella provincia cantata da Pezzali dove si ergono gli scheletri architettonici svuotati della fu quinta potenza industriale, la fine della discoteca allora non assume solo il ruolo di un elemento di storia del costume, ma diventa uno dei sintomi della fine dello stato economico e sociale del sistema-paese. E nel successo per la levigata serie televisiva «Hanno ucciso l’uomo ragno», più che un’idea nostalgica di una gioventù perduta, rimane una certa invidia per l’assegno da un milione e trecentomila lire che sventola il nemmeno ventenne Cisco. Nostalgia per un’Italia con un tessuto industriale che poteva permettersi di pagare quegli stipendi. E andarli a festeggiare in discoteca, il sabato sera, prima del riposo domenicale.
Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano(Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’informazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia(Eclettica, 2020).
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