di Enrico Petrucci

Lo scorso 20 ottobre è stata una data particolarmente significativa per la Kaijō Jieitai, la Forza marittima di autodifesa nipponica. Sulla Kaga (DDH-184), un’unità che ufficialmente è ancora classificata come “cacciatorpediniere portaelicotteri”, è stato effettuato l’atterraggio di un F-35B, la variante a decollo corto/atterraggio verticale del Joint Strike Fighter.

Non si trattava del primo appontaggio di un F-35B su un’unità della sua classe. Il 3 ottobre del 2021, un F-35B dei Marines aveva già effettuato una sequenza di atterraggio e decollo sulla Izumo (DDH-183), la capoclasse. Ma quello effettuato sulla Kaga da un velivolo dell’Air Test and Evaluation Squadron, VX-23, una delle squadriglie di prova e collaudo dell’US Navy, rappresenta il primo test per quello che dovrebbe essere l’allestimento definitivo della Kaga nel suo nuovo ruolo di portaerei STOVL.

Le due unità Izumo e Kaga, entrate in servizio nel 2015 e nel 2017, erano state inizialmente progettate per le sole operazioni di elicotteri imbarcati, anche se era fin da subito evidente la possibilità di trasformarle in portaerei STOVL.

Il Giappone stava seguendo, con qualche decennio di differenza, la strada intrapresa dalla Marina Militare italiana con il Garibaldi, entrato in servizio nel 1987 come incrociatore portaelicotteri per le limitazioni allora in vigore e poi dotato di una componente di velivoli ad ala fissa AV-8B Harrier II a partire dal 1991.

Le Forze di Autodifesa nipponiche prima dell’entrata in servizio della classe Izumo si erano già dotate di due portaelicotteri tuttoponte sempre classificate come cacciatorpediniere: la classe Hyūga, composta dall’unità eponima (DDH-181) e dalla Ise (DDH-182). Le due unità, entrate in servizio nel 2009 e nel 2011, non hanno mai ospitato operazioni con velivoli ad ala fissa, ma la scelta del nome non appare casuale nell’ottica della filosofia di riarmo portata avanti convintamente dall’allora premier Shinzō Abe. Hyūga e Ise era il nome di due navi da battaglia completate alla fine della Prima guerra mondiale e che durante la Seconda guerra mondiale vennero dotate di un ponte di volo per trasformarle in corazzate-portaerei: una scelta disperata delle forze nipponiche per cercare di tamponare la perdita di quattro portaerei (Akagi, Kaga, Sōryū, e Hiryū) nella battaglia di Midway.

Sebbene le due unità classe Hyūga a livello di dimensioni potrebbero far operare velivoli ad ala fissa VTOL, disponendo di un ponte lungo 197 metri e un tonnellaggio a pieno carico di 19.000 tonnellate (il Giuseppe Garibaldi disloca poco più di 14.000 tonnellate a pieno carico per una lunghezza di 187 metri, ma operava gli Harrier leggermente più piccoli degli F-35B) difficilmente potrebbero essere convertite in portaerei STOVL salvo modifiche strutturali significative. Infatti le Hyūga per la movimentazione degli elicotteri dagli hangar sottocoperta dispongono unicamente di due ascensori posti lungo la linea di mezzeria del ponte, e sono quindi prive di un ascensore laterale come le Izumo.

Classe Izumo dotate di un ponte di volo di 248 metri e un tonnellaggio a pieno di carico di 26.000 tonnellate e si prevede che la futura dotazione sarà di 12 velivoli F-35B, caratteristiche non dissimili dall’attuale ammiraglia della Marina Militare Cavour che ha un ponte di 244 metri e circa 30.000 di tonnellaggio, per una dotazione di 10 F-35B che ha partire dallo scorso agosto hanno raggiunto la capacità iniziale operativa.

Rispetto alla configurazione iniziale le due navi classe Izumo hanno ricevuto un nuovo rivestimento per il ponte di volo (dovendo sopportare i getti di scarico dei motori dell’F-35B). La Kaga ha visto anche la rimozione della torretta di un sistema Phalanx dalla prua e un nuovo disegno, più largo, della parte poppiera del ponte di volo. Modifiche che dovranno essere effettuate anche sulla Izumo.

A differenza del Cavour, del Trieste (portaelicotteri d’assalto anfibio che a breve entrerà in servizio) e delle due portaerei STOVL britanniche classe Queen Elizabeth, le portaerei STOVL nipponiche non dispongono di uno sky-jump, il trampolino che serve per agevolare il decollo degli F-35B. La scelta è quella di utilizzare i velivoli a decollo corto in maniera analoga a come fanno i piloti dei Marines dalle portaelicotteri d’assalto anfibio delle classi Wasp e America. Il Giappone ha già effettuato un ordine per una quarantina di F-35B, ma non c’è ancora una previsione per l’entrata in servizio della Kaga a tutti gli effetti come portaerei.

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Tra gli alleati degli Stati Uniti nel teatro del Pacifico anche per la Corea del Sud si è ipotizzato un approccio analogo a quello giapponese. La Daehanminguk Haegun, la marina di Seul dispone infatti di due portaelicotteri d’assalto anfibio la classe Dokdo.

È costituita da due unità Dokdo (LPH-6111) e Marado (LPH-6112) entrate in servizio nel 2007 e nel 2021. Le due unità con un ponte di 199 metri e un tonnellaggio a pieno carico di 19.500 tonnellate hanno dimensioni paragonabili alla classe Hyūga.

Ma a differenza delle portaelicotteri nipponiche che nascono in un’ottica ASW, operazioni antisommergibile, le Dokdo sudcoreane sono unità d’assalto anfibio e sono dotate di un bacino allagabile a poppa per operare hovercraft classe Solgae 631 e mezzi d’assalto anfibio KAAV7A1. Sebbene in passato da parte della Corea del Sud ci fosse stato interesse per gli F-35B e si fosse anche parlato della possibilità di farli operare dalle Dokdo, tale ipotesi appare quindi piuttosto remota. Pure la Corea del Sud aveva avviato a partire dal 2020 un programma per una propria portaerei indigena denominato CVX. Portaerei di tipo STOVL, quindi pensata per gli F-35B; da 45.000 tonnellate, dimensione in una categoria intermedia tra il Cavour e le britanniche Queen Elizabeth; che nelle intenzioni originarie sarebbe potuta entrare in servizio nel 2030.

Il progetto della CVX coreana è ad oggi rimasto sulla carta e non sono stati nemmeno allocati fondi per lo sviluppo. Pure la capacità cantieristica di Seul e l’interesse della Corea del Sud a porsi come uno dei futuri player globali nella difesa, potrebbero far tornare l’ipotesi di una portaerei sudcoreana sul tavolo. Anche perché KAI, il conglomerato dell’aerospazio di Seul che sta sviluppando il caccia di quasi-quinta generazione KF-21 Boramae, ne ha ipotizzato una versione imbarcata. Poiché il Boramae non ha capacità di decollo corto, si tratterebbe quindi o di una versione per il decollo da trampolino come nelle portaerei di derivazione sovietica, in linea per la Cina e l’India, oppure, più probabile di una versione per il decollo da catapulta, tecnologia in oggi in uso solo a Stati Uniti e Francia, con la Cina che la sta per implementare nell’impiego operativo sulla sua terza portaerei Fujian non ancora commissionata.

Nel frattempo Seul ha iniziato a sperimentare l’impiego di droni UCAV dalle Dokdo, avendo effettuato lo scorso 12 novembre un test di decollo di un MQ-1C Gray Eagle/Mojave, evoluzione dello storico MQ-1 Predator. Test più approfonditi erano stati condotti anche dalla Royal Navy sulla HMS Prince of Wales lo scorso anno. Un test che sicuramente rappresenta un traguardo importante per la Corea del Sud che non ha mai operato una componente ad ala fissa imbarcata, e che sicuramente offre opportunità di ricognizione marittima e guerra elettronica. Pur con alcune incognite in tema armamento e vulnerabilità.

Gli spazi di decollo da una portaerei STOVL sono comunque limitati, e anche per un UCAV come il Gray Eagle all’aumentare del carico aumenta la necessità di una pista di decollo più lunga. Altro aspetto da non sottovalutare è la vulnerabilità per quella tipologia di UCAV in determinati contesti: del l’MQ-9 Reaper (il fratello maggiore del Gray Eagle), Ansar Allah, gli Houthi, nel solo 2024 ha rivendicato almeno sette abbattimenti. Pur essendone stati confermati solo una parte, si tratta pur sempre di mezzi da 30 milioni di dollari al pezzo.

Foto: JMSDF, CC 4.0 SA by – DDH-184 Kaga.

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Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano(Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia(Eclettica, 2020).