L’antisemitismo nell’Europa contemporanea è il nuovo Dossier del Machiavelli, realizzato da Fiamma Nirenstein.

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SOMMARIO ESECUTIVO

  • L’antisemitismo è un fenomeno in crescita in tutta Europa, con violenze che raggiungono l’omicidio e il terrorismo. Molti ebrei stanno perciò lasciando il continente.
  • Ai vecchi stilemi antisemiti se ne aggiungono oggi di nuovi, travestiti da critiche a Israele ma in realtà motivati da odio verso gli ebrei in quanto tali. L’israelofobia appare la più diffusa forma d’antisemitismo nei giorni nostri.
  • Nello spettro politico permanengono piccoli movimenti antisemiti di stampo neonazista ma le forze di destra e populiste hanno di fatto escluso le frange estreme e adottato posizioni più apertamente filo-israeliane. Questa nuova destra al potere ha in sé gli elementi per spingere l’UE ad abbandonare l’israelofobia che sembra oggi caratterizzarla.
  • L’israelofobia alligna oggi prevalentemente a sinistra, che in molte sue frange si presenta ormai come una forza antisemita. Ciò si manifesta dal livello movimentistico alle politiche nazionali fino alle scelte in sede ONU.
  • Pesa inoltre molto l’antisemitismo di matrice islamica, la cui origine affonda nell’odio religioso ma si nutre della retorica palestinese e dell’ideologia islamista. In questi anni attacchi terroristici hanno bersagliato gli ebrei in Europa.
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    1. Introduzione

    Contro ogni previsione dopo soli 70 anni dalla Shoah che compì la strage di 6 milioni di ebrei di cui 2 milioni di bambini sul suolo europeo, l’antisemitismo è in drammatica crescita, nel pensiero, nella retorica e negli atti. l’odio per gli ebrei stavolta ha preso un carattere etnico nazionalista supportato da un incitamento ossessivo, che usa stilemi classici dell’accumulo di invenzioni religiose e politiche in forme nuove, dal terrorismo al BDS. Tutte si sommano nel quotidiano incitamento che ha soprattutto per oggetto lo Stato del popolo ebraico, Israele, ma che si estende alle comunità della Diaspora.
    Nel 2016, l’OSCE ha riportato 1661 attacchi di natura antisemita, di cui 240 contro persone. Dati dell’Anti Defamation League ci descrivono una situazione in cui un individuo su 4, nella sola Europa Occidentale, cova sentimenti antisemiti. E non si tratta solo di sentimenti, ma anche di un’ininterrotta scia di sangue: nel 2012, un insegnante e tre bambini freddati di fronte alla scuola ebraica dal francese-algerino Mohammed Merah; nel 2014, quattro persone trucidate al Museo Ebraico di Bruxelles da Mehdi Nemmouche, terrorista dell’ISIS; nel 2015, altri quattro morti all’Hypercacher di Parigi, sempre per mano di un estremista islamico legato ai fratelli Kouachi, autori della quasi contemporanea strage a Charlie Hebdo. Molti omicidi crudeli nella loro atroce determinazione sono stati compiuto contro singoli individui solo perché ebrei: da Ilan Halimi, a Sarah Halimi, Mirelle Knoll…
    Un post antisemita appare ogni 83 secondi su Twitter e altri social come Facebook e Youtube: questo fa 382mila post antisemiti in 20 diverse lingue; nel giugno del 2018 Berlino ha permesso una manifestazione “per abolire lo Stato ebraico” gestita dagli Hezbollah, con cartelli di “morte agli ebrei”; fra molte forme di discriminazione a manifestazioni culturali e sportive, si può ricordare solo per esempio un torneo sportivo in Dubai in cui i judoki israeliani hanno gareggiato e sono stati premiati senza la loro bandiera e cantando da soli il loro inno. Ma episodi di boicottaggio punteggiano i campus, i teatri, i supermarket, i cinema… episodi terroristi a sfondo genocida si sono susseguiti da Gerusalemme a Parigi a Tolosa a Bruxelles, senza che nessuno dica una parola specifica sulla caccia agli ebrei. L’antisemitismo ha allargato la sua tabe fino a forme di intervento istituzionale inconsulto, come quello dell’UNESCO che ha votato due risoluzioni che affermano che Gerusalemme è da considerarsi tutta araba.
    Uno studio condotto nel 2012 dalla Friederich Ebert Stiftung mostra come il 63 per cento dei polacchi e il 48 per cento dei tedeschi pensino che “Israele stia conducendo una guerra di sterminio contro i palestinesi”, così anche il 41 per cento degli inglesi, il 42 per cento degli ungheresi e il 38 per cento degli italiani. Secondo un’indagine della European Union Agency for Fundamental Rights (FRA), il 48 per cento degli ebrei europei intervistati ha sentito o letto l’accusa secondo cui “gli Israeliani si comportano con i Palestinesi come i nazisti con gli ebrei”.
    La conseguenza di questo stato di cose è che gli ebrei stanno disertando l’Europa. Malmo, terza città svedese con altissima percentuale musulmana, è l’esempio più eclatante, ormai divenuta pressoché judenfrei: sono rimasti meno di 500 ebrei, da duemila che erano qualche decennio fa. In Italia, le partenze ebraiche verso Israele hanno per la prima volta nel 2015 superato le cifre del 1948, secondo uno studio dell’Institute for Jewish Policy Research. Ma i casi più drammatici si hanno in Belgio e in Francia: quest’ultima ha contato un esodo di 14.000 ebrei dagli attacchi del 2015.
    Sono fuggiti dall’Europa un ebreo su quattro. Un fenomeno che si pensava ormai sepolto in un oscuro passato.
    Da che cosa nasce questo rigurgito antisemita? Chi se ne fa alfiere, e attraverso quali strumenti concettuali? In una parola: da chi devono guardarsi gli ebrei oggi in Europa?
    In queste pagine, abborderò in primis la natura, l’origine e l’evoluzione dell’antisemitismo moderno, mostrerò come lo stesso s’incarni ormai in maniera preponderante nell’israelofobia.
    La crescita della destra europea è nel nostro tempo guardata con la lente d’ingrandimento nel dibattito internazionale perché la destra nel passato ha certamente ospitato, nutrito, cresciuto i movimenti antisemita facendosene un’arma. E tuttavia, un’analisi più attenta ci fornisce un altro quadro, che esamineremo: quello della sinistra antisemita e israelofoba, e delle comunità islamiche sempre più radicalizzate.

    2. Antisemitismo di ieri e di oggi: dagli stereotipi razziali all’israelofobia

    La settimana scorsa l’Amministrazione americana ha annunciato che il dipartimento dell’educazione cambierà il modo di investigare le accuse di discriminazione contro gli studenti ebrei avendo adottato una nuova definizione di antisemitismo. Negli ultimi anni diverse agenzie governative in Europa hanno compiuto la stessa strada, incluso il ministero degli esteri inglese e tedesco: già le loro politiche collocano l’antisionismo nell’ambito delle pratiche discriminatorie, perché nega soltanto agli ebrei il diritto di autogovernarsi. Ma la politica del dipartimento di Stato americano precisa il tema: il test con cui si definisce l’antisemitismo è quello delle “tre D”, Delegittimazione di Israele, Demonizzazione, e Doppio standard. Nathan Sharansky, che dopo 7 anni in prigione nell’URSS riuscì finalmente ad approdare in Israele, è il padre di questa definizione.
    Il termine “antisemitismo” nasce nel 1870 ed è la modernizzazione etnico-razziale (cioè secondo le nuove teorie laiche e scientifiche in voga) dell’antiebraismo confessionale.
    “Semita” è un termine prettamente linguistico, che include le lingue ebraica, araba, aramaica, babilonese, assira, etiope. Gli ariani contrapposti ai semiti sono gli invasori dell’India, anch’essi si chiamano così per motivi linguistici, non etnici. Non c’entrano nulla con i tedeschi.
    Il cristianesimo è il primo attore ad attribuire al giudaismo una qualità cosmica malefica fino al pontificato di Giovanni XXIII, più dei musulmani, poiché intendendo di sostituire l’ebraismo, la religione di Gesù, e i suoi testi, tutti peraltro legati all’Antico Testamento, lo demonizza come sede del male che ha portato alla condanna a morte di Cristo. I Vangeli non sono tutti d’accordo su questo, ma San Paolo ha fatto premio su San Matteo, e purtroppo quindi la Chiesa ha avuto il primato dell’antisemitismo precedente a quello che nasce con i nazionalismi nazista, fascista e comunista.
    Il complotto, il massacro, il blood libel, ovvero l’invenzione che gli ebrei si abbeverino del sangue dei loro vicini (trasformata in crudeltà e smania di uccidere), si accompagna con la fantasia altrettanto micidiale, da parte laica, delle teorie del complotto, del “cosmopolita senza regole” che è una serpe in seno alla sua società e alla sua nazione, che per questo è pronto a mentire senza vergogna. Alle note teorie genocide di Hitler si aggiunge la terminologia e il discorso politico dei Sovietici, che hanno penetrato l’idioma della cultura di massa e che includono i termini “razzista”, “genocida”, “fascista”, “occupazione”, “campo della pace”.
    Tutti stereotipi che non sono affatto scomparsi, ma che si sono spostati in massa sullo Stato d’Israele, lo Stato Ebraico, l’Ebreo Collettivo. Basta pensare alla stravagante invenzione arafattiana, poi ripresa tranquillamente da un corpo internazionale come l’UNESCO, che il rapporto degli ebrei con Gerusalemme, col muro del Pianto, con la loro più certificata memoria storica (basta leggere Tacito, o Giuseppe Flavio, e prima ancora la Bibbia o anche i Vangeli, o visitare l’Arco di Tito dove la deportazione degli ebrei nel 70 dopo Cristo è fotografata) sia un’invenzione ad hoc per impossessarsi di una Terra cui hanno ambito solo per motivi di brama di possesso, di avidità colonialista.
    Il nuovo antisemitismo è legato a una forma quasi patologica di israeolofobia, che si esprime in modo ossessivo e molto pericoloso per la società stessa che la alberga: il terrorismo è infatti fratello gemello di questo antisemitismo, e per quanto gli ebrei siano la sua preda favorita, esso si espande a tutte le società circostanti.
    Demonizzazione la si ha quando le azioni di Israele vengono gonfiate al di là di ogni possibile proporzione, per esempio, cosa molto comune, comparando Auschwitz con Gaza, come fece il premio Nobel Saramago, o Mikis Theodorakis. Doppio standard lo si ha quando lo Stato Ebraico viene selettivamente messo nel mirino dimenticando le pecche molto maggiori di altri Stati, come fanno l’ONU e tutte le sue organizzazioni o l’Unione Europea. La Delegittimazione, tipica dell’atteggiamento arabo e palestinese ma presente anche nel BDS, il movimento di boicottaggio e disinvestimento, si presenta quando allo Stato degli ebrei si nega il diritto fondamentale di esistere. Il BDS per esempio invoca la soluzione di un solo Stato che porterebbe necessariamente alla conclusione di quello che essi vedono come un esperimento fallito. Il suo nesso con una serie di organizzazioni islamiche in odore di terrorismo gli crea uno sfondo violento che è esattamente la negazione di ogni movimento democratico. La sua pretesa che Israele sia uno Stato razzista o di apartheid, ciò che contiene un implicito paragone col defunto Sud Africa prima di Mandela, indica la strada: Israele delendum est.
    Il BDS che si autoproclama movimento democratico di protesta contro la violazione dei diritti umani, di fatto è una prova evidente di come agisca oggi su scala mondiale l’antisemitismo del doppio standard: infatti prende di mira soltanto Israele mentre le violazioni dei diritti umani riguardano con molta più evidenza i paesi che circondano Israele, tutti violatori seriali di diritti dell’uomo, delle donne, delle minoranze religiose e sessuali, laddove a Israele tutto ciò che si può rimproverare ha un carattere puramente politico, una scelta di linea di prudenza che può essere interpretata come rifiuto di fidarsi del nemico, e un eccesso di teorie di sicurezza.
    La criminalizzazione di questo atteggiamento è parte della complessa e sconcertante affermazione di un nuovo antisemitismo di massa che rappresenta l’ultimo sviluppo di questa proteiforme, perdurante caratura ideologica che percorre i secoli. Esso è una malattia cognitiva della società, che diventa mortale, in diverse forme, quando una cultura soffre di una dissonanza basilare fra ciò che crede o che credeva di essere e la realtà storica.
    I movimenti più acutamente antisemiti oggi esprimono lo stesso senso di frustrazione che esprimeva negli anni ‘20 e ‘30 la Germania ridotta all’umiliazione dal trattato di Versailles dopo la prima guerra mondiale. Allora il nazismo si avvalse dell’antisemitismo come sfondo ideologico di una gargantuesca intrapresa di conquista bellica. Oggi ci se ne serve come elemento collaterale a un tentativo di recupero politico di forze sconfitte sul terreno occidentale e di una guerra terrorista sul fronte orientale. L’Europa in crisi è sempre più antisraeliana.

    3. La Sinistra e l’israelofobia

    L’esempio che collega più palesemente il nuovo antisemitismo con il terrorismo riguarda un leader occidentale importante della sinistra, Jeremy Corbyn, segretario del Partito Laburista inglese: le rivelazioni fotografiche apparse sulla stampa internazionale alla fine del luglio 2018 vanno insieme a una contestazione teorica della definizione dell’antisemitismo dell’International Holocaust Remebrance Alliance (IHRA) che con 11 esempi, segue in pratica la definizione di Sharansky.
    Mentre Corbyn in nome della “libertà di espressione” (importante punto teorico che definisce tutta la questione dell’antisemitismo odierno) rifiutava la definizione basata sulla teoria delle “3 D”, varie foto scattate in Tunisia nell’ottobre del 2014 lo mostravano mentre deponeva una corona sulla tomba dei massacratori palestinesi degli atleti israeliani di Monaco. Vicino a Corbyn figurava, fotografata, Fatima Bernawi che tentò di far saltare per aria il cinema Sion a Gerusalemme nell’Ottobre del ’67. Corbyn ha orgogliosamente, in altre circostanze, chiamato fratelli gli uomini di Hamas, e ha incoronato la sua carriera pubblica di antisemita sostenendo dopo un viaggio a Gaza di aver visto lo stesso tipo di distruzione che i nazisti avevano portato a Stalingrado. Altre volte, ha partecipato a convegni negazionisti della Shoah. Manca un’aggiunta significativa: nelle foto incriminate, Corbyn prega alla maniera musulmana, unendo quindi la sua fede antisemita nella distruzione terroristica di Israele a quella dei suoi compagni islamisti. È un gesto politico, si può supporre, dato che è difficile pensare che il leader socialista sia stato colto da un’improvvisa crisi mistica e di conversione.
    Il seguito che si legge nel suo rifiuto, poi leggermente modificato, di accettare la definizione internazionale di antisemitismo ci aiuta in una chiarificazione indispensabile di ciò che è l’antisemitismo di oggi, perché di nuovo Corbyn si appella alla libertà di criticare Israele (non specifica naturalmente che sono esclusi i criteri delle tre D) e alla fedeltà alla lotta “di liberazione del popolo palestinese”.
    È dunque indispensabile qui una chiarificazione, per capire da che parte viene l’antisemitismo odierno, del suo contenuto. E non è la cosa più semplice del mondo, dato il molteplice, ripetuto rifiuto delle Nazioni Unite di certificarne la definizione: i motivi sono stati sempre rimpallati fra due poli. Il primo quello delle legittimità di definire l’antisemitismo secondo criteri razziali ed etnici, dato che l’ebraismo è una religione. Il secondo, quello di definirlo secondo criteri religiosi, dato che gli ebrei sono un popolo e un’etnia, persino con una richiesta di autodeterminazione uguale, ma chissà perché, diversa da quella riconosciuta a ogni altro popolo. Dunque con questa o con quella motivazione le richieste di definizione sono state sempre cassate.
    E la condanna alla infame conferenza contro il razzismo di Durban del 2001 che veniva faticosamente erogata all’antisemitismo, veniva annacquata con molteplici condanne dell’islamofobia, dei conculcati diritti dei Palestinesi, di accuse al colonialismo e all’imperialismo… Insomma veniva obliterata. Del resto Durban, non a caso tenutosi pochissimi giorni prima dell’attacco alle Twin Towers (coprii l’evento come giornalista della Stampa, ma presto mi trovai indicata a dito come ebrea, inseguita dalle NGO presenti in Sud Africa, tutte, un giorno fra i tanti, in marcia dietro una manifestazione in cui primeggiavano ritratti di Bin Laden) è stata la summa della trasformazione definitiva del main core dell’antisemitismo, fermo restando che quello di destra non è morto.
    Come è accaduto?
    La guerra tedesca aveva maciullato con la Shoah ogni apparenza e pretesa di presentabilità umana, la legittimità della legittima difesa come corollario del comandamento non uccidere crollava mentre la pace diventava un valore dogmatico intimo, sostanziale dell’individuo occidentale, del cittadino democratico. Le campagne per la pace di quegli anni, inventate dall’URSS al tempo della Guerra Fredda mettono in marcia donne e cittadini con bandiere multicolori che marciano per la pace solo contro gli Stati Uniti, contro la minaccia atomica, in difesa della sovranità nazionale di qualche rivoluzione africana filosovietica, e poi dei palestinesi.
    Gli ebrei, all’inizio, furono considerati alleati fra i simpatizzanti comunisti, dato quello che avevano subito in tempo di guerra. Gli ebrei a loro volta ebbero bisogno del rapporto con la sinistra per sentirsi di nuovo a casa in Europa, da cui la Shoah li aveva eliminati, setacciati, strappati via. La parte delle persecuzioni comuniste e del confino siberiano venne accantonata. Diventare di sinistra per gli ebrei fu una questione di identità e di memoria.
    Il valore semantico della parola pace presto incorporò tutti i valori dei diritti umani e civili, solo che fu sequestrata da una parte politica illiberale.
    Nel dicembre del 1968 dopo la guerra dei Sei Giorni – scrive lo storico Joel S. Fishman – Bertrand Russell con una lettera aperta si appellò al primo ministro polacco Wladisklaw Gomulka per protestare contro una nuova ondata di antisemitismo: “Per una logica perversa” scriveva” gli ebrei sono adesso sionisti, i sionisti sono fascisti, i fascisti sono nazisti, e quindi gli ebrei, logicamente, devono essere identificati con i criminali stessi che hanno di recente cercato di eliminarli”. La Pravda scriveva il 4 ottobre del ‘67: “il sionismo è dedito al genocidio, razzismo, tradimento, aggressione, annessione”. Bernard Lewis, il grande storico del Medio Oriente, riporta che nella “Dichiarazione di eguaglianza delle donne” della conferenza di Città del Messico nel Luglio del ì75 si ripete più volte la partecipazione delle donne nella lotta contro il neocolonialismo, l’occupazione straniera, il sionismo, il razzismo, la discriminazione razziale e l’apartheid.
    La pace in Medio Oriente diventò per la sinistra mondiale una gigantesca palestra di retorica e bugie, con i cattivi “colonialisti” e guerrafondai da una parte nella veste degli americani e degli israeliani, e i buoni, i palestinesi e gli arabi (alleati dell’URSS dopo essere stati alleati della Germania nazista) dall’altra in una mostruosa revisione della vicenda delle origini e della vicenda intera di Israele e degli Arabi.
    Ma perché l’URSS ebbe tanto successo? Perché l’autocolpevolizzazione occidentale è il pensiero dominante che conduce all’antisemitismo contemporaneo: essa traveste da vittima ogni aspirazione illiberale, vede vittime ovunque le faccia comodo politicamente, camuffando da disperati i dittatori e i terroristi, facendo recipienti di diritti umani i soggetti che più i diritti umani negano. Del resto Stalin è stato per masse immense “il sol dell’avvenir”, Mussolini e Hitler hanno attratto masse diseredate, Fidel Castro ancora oggi viene venerato, Bin Laden è una figura di cui si cerca di capire le ragioni, e i terroristi che uccidono famiglie, donne, bambini israeliani, o ignari passanti, vengono alla fine disegnati come minorenni diseredati, oppressi, vittime della prepotenza israeliana. Hamas è un’organizzazione che rappresenta non la sua ostentata volontà distruttiva e antisemita, ma che rappresenta i diseredati di Gaza. Come se essi non fossero tali per sua colpa.
    La ministra degli esteri svedese Margaret Wallstrom ha accusato pubblicamente Israele di compiere, quando ferma i terroristi che assaltano i cittadini per la strada e li uccidono minacciandone poi quanti più possibile intorno, “esecuzioni extragiudiziarie”. I movimenti per la libertà si sono fatti spesso movimenti per la difesa degli sfruttati e dei sofferenti, quando invece chiaramente sono essi che infliggono sofferenza. Israele è un paese che solo in virtù di una straordinaria capacità di battaglia, e di un magnifico senso di vitalità, vive una vita normale anche se il terrorismo la assedia, e ai suoi confini Hamas, Iran e Hezbollah la minacciano con i missili.
    E’ un dato di fatto, tuttavia, che Israele ha visto crescere l’odio antisemita e la disapprovazione europea da quando ha ricevuto un numero sempre maggiore di attentati terroristi; che non le sono state perdonate le guerre di difesa contro Hamas né contro gli Hezbollah, che viene di continuo condannata dall’Unione Europea per una politica in cui l’aggressione continua viene semplicemente contenuta, e non si intraprendono azioni di forza che non siano difensive, mentre la parte opposta non intende venire a compromesso e neppure a parlare. Eppure Israele è considerata, con una netta violazione dei tre D, violenta, aggressiva, un paese da discriminare col BDS, vista come sempre sull’orlo della catastrofe, della sparizione anche se la sua economia e il suo umore socio culturale indicano tutt’altro. Stato di apartheid, genocida, odiatore di bambini, colonialista, feroce… insomma, indegno di vivere, e con esso tutti gli ebrei che nella diaspora ne sono parte sentimentale o politica.
    È triste dirlo, ma sono le organizzazioni per i diritti umani, prime fra tutte quelle dell’ONU, dall’Assemblea Generale alla Commissione per i Diritti Umani, e poi a ruota l’Unione Europea in cui la condanna incessante è il leit motiv, che definiscono un antisemitismo di tipo nuovo in cui in diritti umani sono usati come maschere per nascondere un comportamento discriminante nei confronti di Israele e degli ebrei.
    A Israele dunque vengono irrogate tutte le tipiche condanne destinate nel secolo scorso agli ebrei, ovvero quelle relative all’indegnità di vivere da esseri umani uguali agli altri. Ha giocato in questo un paranoide lato antioccidentale, una perversione che consente di essere antisemita come nuova facile forma pratica dei diritti umani sostanzialmente gratuita, e che facilita la strada agli ignoranti e ai confusi. Gli ebrei sono l’obiettivo, Israele lo schermo dell’antisemitismo.
    Le indispensabili origini di Israele come patria di un popolo che tende da secoli a tornare a Gerusalemme sono diventate una fantasia di vessazione e colonizzazione dei palestinesi – in realtà un popolo definitosi solo con l’avvento di Israele – sporadicamente e confusamente presenti su quella porzione di terra come in Giordania o in Siria per collocarsi idealmente solo con la definizione dell’ONU del 1948 e poi con la guerra del ’67.
    La parola “sionismo” è stata dunque stravolta fino a farne beffa e orrore, sinonimo di tutte le perversioni ebraiche inventate dall’antisemitismo: menzogna, blood libel, cospirazione, razzismo come apartheid, pulizia etnica… L’antisemitismo ancorato nella risoluzione ONU “Sionismo uguale razzismo” del 1975, una formulazione perversa e geniale nella sua totale mancanza di relazione con la realtà ma nella complessità della sua chiara indicazione che Israele deve essere distrutta proprio come il razzismo nel mondo del dopoguerra, si riferisce alla necessità di mettere al bando Israele e il popolo ebraico per una sua carenza basilare, di nascita; approva quindi di fatto l’odio genocida palestinese, arabo, più avanti iraniano (“Israele è un tumore canceroso che deve essere estirpato” ripete il leader massimo iraniano Khamenei),
    Il nuovo antisemitismo, implica la discriminazione del diritto del popolo ebraico a vivere da eguale nella famiglia delle nazioni, una caratteristica di ogni tipo di antisemitismo. Dalla discriminazione contro gli ebrei come individui a quella contro il Popolo ebraico. Oggi, essa ha ancora la sua casa dove furono piantati i semi di sinistra della visione imperialista, quella davvero tale, della Guerra Fredda vista da sinistra.

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    4. Europa e Israele, un rapporto conflittuale

    Il processo che ha portato a questo nuovo tipo di antisemitismo connesso al paradigma dei diritti umani, ha influenzato in maniera decisiva il rapporto fra l’Europa e Israele. La premessa è che Israele appartenga, dunque, allo schieramento di un Occidente colpevole di usurpazione di territori, di sfruttamento, di oppressione. Questo ha portato innanzitutto a un distacco stupefacente nei confronti dell’aggressione terroristica e bellica che Israele soffre di continuo, per cui le migliaia di vittime del terrorismo palestinese, per altro esercitato contro intere famiglie, passanti, neonati, bambini, donne incinte e ragazzini (famoso il rapimento e l’eliminazione di tre ragazzini per strada verso la loro scuola nei territori nel giugno 2014) non vengono degnate altro che di una minima attenzione rituale, senza rimpianto e senza riprovazione effettiva per i terroristi, come se gli ebrei non avessero diritto alla vita.
    Non solo: l’UE ha preso molte iniziative antisraeliane basate su doppio standard, come nel 2015 le “guidelines” per mettere fuori legge i prodotti provenienti dai territori occupati, operazione discriminante e quindi antisemita, mai usata per gli interessi marocchini nel Sahara occidentale o per la parte di Cipro occupata dalla Turchia, o per il Kashmir indiano.
    Le città dell’Unione Europea sono spesso state teatro di grandi manifestazioni antisraeliane, mai l’UE si è curata di spiegare la realtà delle guerre affrontate da Israele a Gaza per bloccare i bombardamenti a pioggia o gli attacchi suicidi a catena. Il rifiuto di valutare con senso di realtà e prudenza i nemici di Israele, dai palestinesi agli Hezbollah, ha portato a una mentalità di disprezzo continuo che si riflette nella crescita dell’ostilità della popolazione per cui il grande storico Robert Wistrich ha raccontato la comprensione ammiccante degli intellettuali parigini quando una sinagoga è stata assediata e colpita da furiose manifestazioni di odio islamista e teppistico. Gran parte dell’Europa occidentale, in particolare la Germania, la Francia, l’Inghilterra, alcuni paesi del Nord, hanno una grande difficoltà a capire la dimensione ideale di Israele come Paese del popolo ebraico finalmente ritornato nella sua patria, ai suoi confini, immerso in una guerra di difesa.

    5. La nuova Destra europea

    E qui è il momento, per quanto questo possa apparire impegnativo, di un difficile spostamento concettuale: nonostante oggi sia vivace il dibattito sulla nuova destra sovranista e populista che si afferma in Europa, anche se al suo interno e specie al momento della sua nascita notevoli protuberanze antisemitiche si sono fatte largo in un terreno aspro e inesplorato, pure i nuovi governi populisti in Europa non danno segni di particolare crescita dell’antisemitismo. Si può dire che via via che questi movimenti si sono istituzionalizzati, si sono allontanate o sono state neutralizzate le frange più estreme.
    Il 27 Gennaio del 2013, Giorno della Memoria, mi trovavo a Budapest con una delegazione di parlamentari di molte nazioni europee, per reagire al fatto che il partito nazionalista Jobbik, forte del 19 per cento dei consensi, aveva chiesto in Parlamento la lista degli ebrei nelle istituzioni sensibili, definiti un “pericolo per la Nazione”. In quel momento i dati mostrano che il 20 per cento degli Ungheresi (bianchi, occidentali) si definiva antisemita militante, e si assisteva a un rally in favore dell’Iran, baluardo contro l’imperialismo americo-sionista, mentre l’accusa di “industria dell’Olocausto” per assicurarsi il dominio del mondo veniva sollevata in conferenze negazioniste. In Grecia il partito Alba Dorata salutava col saluto nazista. Si può ricordare infine la figura di Jorg Haider con la sua nostalgia per il passato autocratico germanico.
    Tale destra estrema, tuttavia, non ha retto alla prova delle elezioni, e dell’ostracismo stesso di cui è stata fatta oggetto dalla nuova destra che conquista consensi in tutta Europa.
    Orban non è Gyöngyösi, come Kurz non è Haider, Marine non è Jean-Marie (Le Pen) e la Lega non è Forza Nuova. In Italia la Lega infatti sembra non condividere le mitologie negative relative a Israele, né si riconosce a questo partito nessun atteggiamento antiebraico. Al contrario, alle sue manifestazioni e nelle parole del leader, Matteo Salvini, come durante la sua visita in Israele, la stampa ha annotato decise parole di simpatia per lo Stato Ebraico. Tuttavia, esse non sono condivise dall’altra grossa forza politica che siede nel nuovo governo, Cinque Stelle, che anzi ha dato molto volte segno di un’acuta insofferenza nei confronti di Israele e un classico sostegno ai palestinesi caratterizzato dalle consuete parole d’ordine della propaganda precedentemente qui esaminata. Questo in generale contrasta con una generale tendenza di rinnovamento dell’atteggiamento europeo nel campo sovranista.
    Come emerso ormai in ripetuti incontri col governo israeliano, i Paesi di Visegrad (al contrario della Spagna, la Francia, l’Inghilterra e alcuni dei Paesi del Nord Europa) hanno tenuto ferme le briglie di un’eventuale recrudescenza antisemita, nonostante le preoccupazioni di un possibile affiorare di sentimenti antiebraici nell’ambito delle nuove ideologie che fanno dei confini e delle identità nazionali oggi una nuova bandiera di fronte all’ondata di immigrazione, che per altro in Europa è stata gestita in crescente disordine e senza criteri comuni.
    Particolarmente significativi sono stati gli incontri di Benjamin Netanyahu con i governi dell’Europa dell’Est, l’interesse della Repubblica Ceca e della Bulgaria per portare l’ambasciata a Gerusalemme, intanto concretizzatasi nel disegno di centri di cultura nella capitale di Israele. Particolarmente importante è stata poi la visita in Israele del giovane Cancelliere austriaco Sebastian Kurz a maggio: Kurz ha visitato il Muro del Pianto e ha dichiarato che i suoi conterranei devono assumersi la responsabilità per i loro crimini contro gli ebrei, riaffermando il suo sostegno allo Stato Ebraico. Persino Heinz-Christian Strache, anch’egli al governo con un partito fortemente di destra quale la FPO, non si è sottratto a passare da queste forche caudine. Dato che nel suo Paese l’antisemitismo, come il successo di Jobbik aveva dimostrato, ottiene una discreta fetta di consenso elettorale, è stato il premier ungherese Victor Orban che in Ungheria ha ostracizzato Jobbik. Orban ha dichiarato in giugno, durante una visita seguita con la lente di ingrandimento per identificare il suo atteggiamento, che il suo paese ha compiuto un errore fatale non difendendo gli ebrei dai nazisti durante la guerra mondiale, che oggi l’antisemitismo a casa sua è stato battuto e che verrà comunque combattuto con decisione, che il rapporto con Israele è privo di qualsiasi ombra. La Polonia a sua volta, fortemente (e giustamente) criticata per una legge che vieta di menzionare complicità polacche nell’Olocausto su cui però poi, con dimostrazione di buona volontà l’intero parlamento è tornato indietro su richiesta di Israele, anche se in maniera menzognera e in certo senso tristemente ridicola per chi conosce le responsabilità polacche nello sterminio nazista, con il suo specifico negazionismo non ha, di fatto, dato prova di antisemitismo, ma non ha fatto che ribadire il suo verticale rigetto per un passato oscuro che non fa più parte del suo patrimonio politico.
    Orban ha detto durante la sua visita in Israele che l’Europa occidentale è più antisemita di quella dell’Est. La verità è che questo pensiero individua una realtà in crescita: in un’Europa pavida, in preda a un crescente antisemitismo di sinistra ed islamico pervicacemente negato dalla vulgata politicamente corretta e anche dalle istituzioni, il Gruppo di Visegrad e i Paesi in cui si è affermata la tendenza a una svolta continentale hanno per molti motivi un’impostazione culturale che li porta ad accettare Israele e gli ebrei d’oggi, e a capire una situazione in cui confini, identità, popolo sono importanti; quello che invece l’UE onusiana, con il suo indispensabile globalismo di elezione, non riesce a comprendere.
    Guardando nella storia recente, per i Paesi ex comunisti, è evidente che la loro volontà di prendere le distanze da un passato odiato e combattuto li porta a distanziarsi dall’impostazione sovietica terzomondista, anticoloniale, anti capitalista e selettivamente pro diritti umani che faceva di Israele il migliore amico degli USA e il peggior nemico degli umili e degli sfruttati . Questo è vero anche in termini attuali: la linea trumpiana verso Israele è molto più facile da digerire per i Paesi dell’Est e sovranisti che per gli affezionati sostenitori dell’antagonismo europeo rispetto agli USA, specie agli USA di Trump. Per converso, trova consenso ad Est la linea di Trump che comprende finalmente una posizione antagonista verso l’Iran e gli Hezbollah loro alleati, un nuovo atteggiamento verso Israele e anche l’ipotesi dell’ambasciata a Gerusalemme. Anche sulla Russia l’atteggiamento è diverso. Il quadro internazionale, in sostanza, è vissuto in ogni caso come un universo alternativo rispetto a quello che ha dato vita alla struttura della politica estera europea, antisraeliana e filoaraba e filopalestinese.
    Dal punto di vista ideologico, la base stessa dell’antisemitismo che disegna l’ebreo nella visione antisemita nazi-comunista come un anticorpo in quanto figura antinazionale, cosmopolita senza radici, parassita della società occidentale da essi osteggiata, segreto nemico, con l’idea che egli sia il responsabile della crisi di valori occidentali è totalmente fuori giuoco: semmai oggi Israele e anche gli ebrei della diaspora vengono percepiti come custodi dei valori occidentali più strutturali; semmai, a causa dell’incessante incitamento musulmano contro gli ebrei, essi vengono visti come strutturalmente occidentali, giudaico-cristiani, critici del globalismo, critici dei sistemi antioccidentali e grandi nemici del terrorismo internazionale. Semmai la destra li vede schierati, nel momento in cui emigrano in massa dall’Europa a causa dell’antisemitismo insorgente, con loro nello sguardo critico verso l’immigrazione.
    Oltre a questo, non si è mai sentito che, come in ogni ricorrenza storica antisemita, agli ebrei sia stata affibbiata la responsabilità della crisi economica, dei guai dell’euro, della disoccupazione dilagante… la classica accusa antisemita di complotto economico sembra non essere parte della prospettiva delle destre europee, che ne vedono le colpe soprattutto da parte dell’Europa come struttura inefficiente.
    Ancora di più, i paesi sovranisti hanno rispetto della necessità di Israele di difendersi dagli evidenti pericoli nazional-islamici che lo perseguitano, e anzi pensano che dall’esperienza di Israele nel campo della lotta al terrorismo, in cui primeggia nel mondo, l’Europa possa trarre grande vantaggio così come dal primato tecnologico e scientifico. Ed è vero che Netanyahu, dopo aver a giugno affermato che Israele ha disinnescato molti piani terroristi, ha richiesto all’Europa, a luglio, di smettere di pacificare inutilmente il terrorismo iraniano, rivelando che un attentato era stato bloccato da Israele su suolo francese pochi giorni prima.
    Dunque la comune consapevolezza della minaccia islamista, che Israele vive sulla propria pelle ogni giorno, e che in Europa la sinistra continua ostinatamente a sminuire, benché vacillando sempre più a fronte di ogni nuovo attacco terrorista, e l’idea di nazione, di identità, di difesa indispensabile oggi ispirano una politica filoisraeliana che si vede gemmare in Europa come mai nel passato.
    Questo desta una sensata preoccupazione in chi teme che con ciò possa andare perduta la memoria di quel che la destra ha significato nella storia degli ebrei, incluse le leggi razziali e le deportazioni, e tuttavia non ci esime dal vedere con abbagliante chiarezza che può a taluni risultare spiacevole che a sinistra e nel mondo musulmano l’antisemitismo contemporaneo, legato all’israelofobia, è diventato un pericolo di grandi dimensioni e con molte sfaccettature, nutrito dal largo pensiero post-bellico che porta i nomi di colonne intellettuali come il premio Nobel Jose Saramago, come Mikis Theodorakis e Gunter Grass, a fare degli ebrei dei mostri assetati di sangue, vittimisti e insieme cacciatori, paragonabili, nei loro scritti, ai nazisti: un modo classico per cancellare le colpe dell’Europa e riabilitarla alla caccia agli ebrei, adesso persecutori insaziabili di palestinesi.
    È questo il filone di pensiero, erede di Durban e ancor prima del terzomondismo e del blocco dei non allineati, che si riflette nelle maggioranze automatiche all’ONU forti di 120 stati su 193, insieme paesi non allineati e blocco islamico. È tramite la sua forza istituzionale usata smodatamente in funzione antiamericana e antisraeliana che l’antisemitismo ha acquisito un tratto egemonico nelle istituzioni, per cui l’Europa si permette di stabilire che i territori sono “occupati” e non “disputati” come dichiarati nel 1967 e disegna, lei stessa, cercando di imporle a Israele senza curarsi della sua sicurezza, mappe di un futuro Stato palestinese che è stato rifiutato per ben tre volte dai Palestinesi stessi. Così dunque i movimenti per i diritti umani europei hanno definito una cultura del paradosso, chi difende l’Europa ne viene condannato, mentre chi l’attacca viene difeso: le femministe – che in Occidente si battono contro le imposizioni del maschio e della Chiesa – arrivano a difendere il burqa, gli omosessuali liberal denunciano un paradossale “pinkwashing” dato che, nella realtà dei fatti, il mondo gay perseguitato dagli arabi si rifugia a Tel Aviv, e marciano per Hamas che i gay in nome della sharia li uccide; gli ebrei di Jstreet, l’organizzazione degli ebrei di sinistra, si occupa con dedizione di “islamofobia”, a fianco di coloro che censurano o edulcorano i rapporti sull’antisemitismo che mostrano un sempre crescente pericolo proveniente dalle popolazioni islamiche.
    Non sarà mai ricordato a sufficienza lo straziante caso di Ilan Halimi, un ragazzo di Parigi la cui madre cercò, inascoltata per settimane, di spiegare alla polizia che suo figlio era oggetto di un crimine antisemita: il giovane in una banlieu fu fatto a pezzi, stuprato, bruciato ancora vivo e poi buttato in una discarica da una banda islamica che lo uccise leggendo il Corano mentre la polizia rifiutava ostinatamente di battere la pista islamista, nel timore di essere tacciata di “islamofobia”. Avviene sovente in Europa e anche negli USA che ci si rifiuti di seguire piste islamiche per paura di essere accusati di pregiudizi razziali o religiosi: a Rotherham in Inghilterra, per la medesima ragione le autorità hanno coperto per anni abusi sessuali a danno di centinaia di minori perché compiuti da anglo-pakistani.

    6. L’antisemitismo islamico

    L’antisemitismo islamico è una parte imponente della grande ondata di antisemitismo contemporaneo. Haj Amin al Husseini, il mufti di Gerusalemme negli anni del nazismo, che cercò di coordinare con Hitler (incontrandolo nel novembre del ’41) lo sterminio degli ebrei e gli offri una brigata islamica, ha avuto grande impatto di pensiero sul popolo palestinese. L’adozione di stilemi tipicamente nazisti-antisemiti che si affolla di caricature col naso e la stella di David sanguinante insieme, adesso, ai missili di Tzahal, si è nel tempo, quando il mondo musulmano è passato all’appoggio sovietico, arricchita delle immagini dei plutocrati carichi di dollari. Il blood libel più classico è stato esercitato su tutti i leader israeliani, primo fra tutti Ariel Sharon (che a un premio internazionale di vignette fu rappresentato alla Goya mentre si lordava il petto nudo di sangue sgranocchiando teste di bambini palestinesi) e subito si è andato ad arricchire della dimensione terrorista.
    Il terrorismo islamico ha al suo centro l’idea di annichilire nel sangue gli ebrei, di cancellarli dalla faccia della terra. Gli shahid considerati eroi e celebrati sia nella società palestinese che fra i credenti sparsi per l’Europa (naturalmente non sto parlando di tutti gli immigrati musulmani) hanno al centro della loro scelta di martirio l’idea di obliterare gli ebrei dal mondo. Lo dice la carta di Hamas, lo ripete il leader della Fratellanza Musulmana, Yusuf al-Qaradawi, che incita all’uccisione di civili israeliani e promette che il prossimo Olocausto avverrà per mano dei credenti; l’establishment iraniano quotidianamente promette che il “cancro” sionista sarà spazzato via dalla faccia della terra. L’ebreo, come sostiene Peter Neumann, direttore del Centro internazionale di studi sulla radicalizzazione, ha oggi in Europa e nel mondo “il ruolo del canarino nella miniera di carbone”; allevati nel martellamento psicologico dell’ebreo come nemico dell’Islam che ha usurpato le terre della umma molti musulmani in Europa sono sempre più antisemiti, e atti d’odio contro sinagoghe ed ebrei con la kippah sono all’ordine del giorno, al punto che leader delle comunità ebraiche in tutta Europa, per esempio in Danimarca, consigliano agli ebrei di riporla in un cassetto.
    Il manifesto dell’Islam genocida lo proclamò urbi et orbi il Primo Ministro malesiano Mohamad Mahatir che invitò i suoi a una guerra frontale nel 2003, spiegando anche che “un miliardo di musulmani non possono essere sconfitti da pochi milioni di ebrei”. La frase ebbe un applauso da quasi tutti i 57 leader dei Paesi islamici presenti all’incontro a Putrajaya.
    Gli attacchi islamici contro gli ebrei sono stati già descritti all’inizio: niente è comparabile all’odio estremo contro gli ebrei che promuove un antisemitismo genocida incomparabile con qualsiasi altro odio antisemita. È un sentimento che fa da combustibile al terrorismo suicida, spinge i giovani a scegliere di diventare shahid anche perché questo garantisce loro una sorta di vita eterna nella fama che la loro comunità gli dedica con edifici, piazze, istituzioni. Solo una per le tante migliaia: la conferenza sportiva intitolata allo shahid palestinese Marwan Zalum, sotto l’auspicio di Arafat nel 2004. Zalum aveva comandato l’assassinio della neonata Shalhevet Pas uccisa da un cecchino mentre giocava in un giardino; poi aveva organizzato un attacco terrorista suicida in cui furono uccise 6 persone a Gerusalemme durante la seconda Intifada, in cui furono fatti più di 1600 morti. Sia in Israele che in Europa il sentimento è sempre lo stesso: odio per Israele, odio per gli ebrei: Albelghiam, il fratello del franco-algerino Merah che uccise a Tolosa tre bambini e il loro maestro, tutti ebrei, ha raccontato che nella loro famiglia era stata impartita a tutti i figli una decisa educazione antisemita.
    Tuttavia è tristemente passato alla storia l’insabbiamento da parte della Commissione Prodi, nel 2003, di un rapporto sull’antisemitismo commissionato a due ricercatori dell’Università di Berlino da cui emergeva con chiarezza la matrice islamica e di sinistra di gran parte degli atti d’odio contro gli ebrei in Europa. Eppure i dati, quando raccolti, sono limpidamente sconcertanti: il summenzionato rapporto dell’Anti-Defamation League rintraccia metà dell’antisemitismo mondiale nel campione musulmano (laddove l’altra metà raccoglie tutti insieme cristiani, atei, hindu e buddisti), percentuale che non può stupire laddove si consideri che nell’area di Medio-Oriente e Nord-Africa questi sentimenti caratterizzano niente meno che il 74 per cento della popolazione. Cifre egualmente alte ci vengono da una ricerca condotta nel 2011 in Belgio, cioè in quello Stato che ha recentemente esportato terroristi islamici in tutta Europa e che è diventato tristemente noto per il quartiere-ghetto di Molenbeek (tra gli altri), secondo cui il 50 per cento degli studenti musulmani nelle scuole elementari prova sentimenti apertamente antisemiti, contro il 10 per cento dei cristiani. I risultati non cambiano al mutare della nazionalità del campione musulmano preso in considerazione: in Francia, in Olanda, in Germania… ovunque può individuarsi una correlazione diretta tra appartenenza islamica e antisemitismo.
    L’odio musulmano verso gli ebrei ha prodotto una lunga scia di sangue, che passa per gli attacchi alla scuola di Tolosa nel 2014, al museo ebraico di Bruxelles nel 2014, al supermercato Hypercasher a Parigi nel 2015, all’uccisione della superstite dell’Olocausto Mireille Knoll nel 2018… e la lista sarebbe ancora tragicamente lunga. Fenomeno che, già radicato nelle popolazioni autoctone, è ora in crescita anche a causa della mancata integrazione dell’immigrazione musulmana, come dimostrano i recenti casi di Adam Armush, arabo-israeliano attaccato da un rifugiato palestinese siriano a Berlino proprio mentre cercava di provare, kippah in testa, come i timori antisemiti fossero fortemente ingigantiti; o il terrorista palestinese che, dopo aver lanciato bombe molotov contro la sinagoga di Göteborg, ha visto il suo decreto di espulsione revocato in appello per timore che, se rimandato in Palestina, “Israele potrebbe lederne i diritti fondamentali”.

    7. Conclusioni

    Non intendiamo trarre conclusioni operative: i trend qui esaminati contengono novità ancora in sviluppo, da cui si può tuttavia disegnare la nuova possibilità che l’Europa sia costretta a deviare, a causa della spinta di molti Paesi che la pensano diversamente, dalla consueta linea antagonista nei confronti di Israele.
    Questo non significa in alcun modo che Israele debba forgiare il suo atteggiamento politico su questa possibilità: il suo compito è quello di difendere sé stesso e tutta la comunità ebraica internazionale da ogni forma di antisemitismo. Di conseguenza, un’attenta selezione deve essere compiuta dal governo di Israele, come per altro a mio parere avviene, per cui si aprano rapporti commerciali, scientifici, di sicurezza solo con chi si dimostra sinceramente in lotta contro l’antisemitismo.
    I governi di destra, poiché la loro costituency è varia e contiene frange antisemite, sono quindi chiamate a un compito diretto e aspro, cui devono rispondere non solo per favorire i rapporti con Israele, ovviamente, ma per costruire una cultura di civiltà. L’antisemitismo di ogni genere deve essere messo al bando senza tregua, molto di più di quanto non sia accaduto fino ad oggi da parte dei governi occidentali, e l’obiettivo di cambiare la politica europea deve fornire la linea di condotta.
    Il fatto che questa richiesta venga oggi rivolta a destra, non esime affatto, secondo la nostra analisi, l’Unione Europea dal cambiare strada: la lotta deve essere chiara, senza compromessi, abbandonare gli stereotipi che salvaguardano l’antisemitismo islamico, abbandonare ogni connivenza col terrorismo. Vogliamo chiudere con una nota positiva: nei giorni scorsi il governo belga ha tagliato i finanziamenti alle scuole palestinesi notando che l’Autorità palestinese intitola scuole e istituzioni culturali ai terroristi. L’Europa finanzia il peggiore dei terrorismi quando non controlla a sufficienza l’uso che nell’incitamento e nel terrorismo viene fatto dei fondi donati all’AP. Sono gesti affermativi come questi che possono combattere l’antisemitismo, ovvero lo sguardo sul presente oltre che, doverosamente, sulla memoria.

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    Dossier 8 - L'antisemitismo nell'Europa contemporanea

    Senior Fellow del Jerusalem Center for Public Affairs (Israele). Giornalista, ex membro del Parlamento italiano, è stata Ambasciatrice designata di Israele in Italia.