Con il Conte-bis prossimo a insediarsi, è ormai ufficiale che la Destra italiana sarà nuovamente esclusa dal governo del Paese. Dal 16 novembre 2011 (inizio del Governo Monti) la Destra italiana, nell’arco di poco meno di otto anni, può annoverare solo quattordici mesi di coabitazione della Lega col M5S, partito dichiaratamente “post-ideologico” ma che nell’alleanza col PD sembra aver ritrovato la propria originaria collocazione a sinistra.
La lunga astinenza è tanto più singolare se si considera che questi otto anni hanno coinciso con un periodo di spostamento a destra dell’asse politico a livello internazionale: si pensi solo a Trump, Bolsonaro, Netanyahu e Modi, alla profonda crisi di molti partiti socialisti europei, all’emergere dei movimenti sovranisti e populisti. Quasi incredibile a dirsi, l’Italia non è rimasta affatto immune a tale tendenza: Renzi che si prende il PD, la Lega che surclassa FI, Di Maio capo politico del M5S… Ecco servita la contraddizione tra un Paese che si sposta a destra ma viene governato dalla Sinistra.
Il problema principale appare dunque la dispersione dell’elettorato che appoggia le istanze della Destra, ma il 4 marzo 2018 in misura considerevole ha votato per il M5S, ignorandone la natura profondamente di sinistra. Oggi in molti biasimano Salvini per avere perso la battaglia agostana della crisi di governo, ma dimenticano che dell’attuale 30/35% di italiani che lo sostengono, il 4 marzo 2018 molti meno si presentarono alle urne per votarlo: è solo col 17% ottenuto allora che per 14 mesi ha garantito un governo che su molti temi ha aderito alla visione leghista. Un risultato ragguardevole che testimonia semmai di come l’abilità politica di Salvini vada ben oltre l’indubbia (e fondamentale) capacità d’attrarre consensi.
Quella che comincia ora è una nuova traversata del deserto, la cui meta può essere però la terra promessa. L’agognata ricompensa si può ottenere riuscendo a rinsaldare e compattare quell’elettorato italiano che pare più in sintonia con le proposte della Destra ed è oggi maggioritario nel Paese. Per farlo serviranno alcuni punti fermi:
- sebbene chi scrive continui a considerare validi i termini Destra/Sinistra, poiché fanno riferimento a sistemi valoriali e di visione del mondo tutt’ora attuali, è chiaro che gli assi politici sono mutati da diversi anni a questa parte. La dicotomia Destra/Sinistra esprime oggi quelle tra popolo e sedicente élite, tra sovranismo e globalismo, tra tradizione e ingegneria sociale. La Destra, oggi, significa populismo (nell’accezione positiva del termine), sovranità, tradizione. Ciò non esclude la possibile, opportuna alleanza con componenti liberali, ma solo se non si pongano antiteticamente sostenendo visioni elitiste, globaliste e “progressiste”;
- di converso la nuova identità populista della Destra apre all’acquisizione di quella base elettorale che un tempo era della Sinistra. I ceti medio-bassi in ampia misura si sono già spostati elettoralmente a destra, ma il M5S è riuscito a riportarne ampi settori verso sinistra. Una Destra che si schieri coi settori produttivi nazionali deve certo guardare a industriali e professionisti, ma non meno a operai, autonomi, disoccupati, sottoccupati e in generale tutti coloro che stanno perdendo dalla globalizzazione, offrendo loro un messaggio serio e attuabile, ma alternativo alla vulgata globalista, liberista e finanziarista;
- la leadership di Matteo Salvini non va messa in dubbio. Per quanto si debba sempre rifuggere dall’adorazione acritica (vale per chiunque), è un dato di fatto che Salvini abbia portato al centro del dibattito temi, istanze e valori autenticamente di destra, che i suoi predecessori – succubi dell’egemonia culturale di sinistra – nemmeno osavano menzionare. E lo ha fatto ottenendo consensi crescenti. Questo è stato il frutto della combinazione di chiarezza di visione ideologica, capacità comunicativa, abilità politica come leader di partito, concretezza da statista quando chiamato in ruoli di governo;
- tuttavia, non ci si può adagiare sperando che il capo, anzi “il Capitano”, veda e provveda su tutto. Ognuno deve fare la propria parte. Quella dei pensatoi, nonché dei singoli intellettuali d’area, è di creare un ambiente fertile per idee, progetti e competenze, che siano pronti alla messa in pratica quando si ripresenterà l’opportunità del governo. Non vagheremo 40 anni nel deserto: presto o tardi si voterà di nuovo.
Daniele Scalea è presidente del Centro Studi Machiavelli.
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
Ottima analisi, complimenti. E speriamo questo pellegrinare nel deserto porti a maturazione una Destra ingenua e poco compatta
Caro Daniele, non posso che concordare con te; c’è bisogno di una destra nuova in cui concetti come sovranità e tradizione tengano conto dei bisogni reali del popolo … bisogna smontare le falsità proposte dalla sinistra dal dopo guerra con correttezza etica ed onestà per affrontare le sfide del III millennio. E’ un cammino lungo e non privo di asperità, in cui tutti dobbiamo contribuire con le nostre esperienze capacità, vigilando sulla nostra integrità che ci deve distinguere in un mondo basato su valori vaghi e banali.