L’aggressione nei confronti di una pattuglia di militari, messa in atto dallo yemenita Fathe Mahamad lo scorso 17 settembre, nel piazzale antistante la Stazione Centrale di Milano, fa emergere per l’ennesima volta un problema oramai noto e comprovato, ma che resta attualmente irrisolto e cioè il rischio d’infiltrazione di jihadisti all’interno del flusso migratorio. Del resto ne avevamo parlato appena un mese fa ed eccoci a dover nuovamente trattare la questione.

Stavolta però la faccenda è ancora più inquietante perchè l’attentatore era arrivato in Italia dalla Libia nel 2017 e non a bordo di un barcone, bensì in aereo tramite corridoio umanitario. Una volta atterrato a Roma, Mahamad era poi stato assegnato presso un centro per richiedenti asilo del bergamasco da dove era scomparso per ricomparire poi tra Francoforte e Monaco di Baviera, dove avrebbe frequentato persone vicine al terrorismo islamico e spacciato khat, un pericoloso alcaloide.

Il 12 luglio 2019 le autorità tedesche lo rimandavano in Italia, imbarcandolo su un volo per Malpensa. Tra il 23 agosto e il 13 settembre veniva segnalato presso l’ex Hotel California di Ostiglia (Mn) per poi fuggire a Milano presso il rifugio Caritas di via Sammartini dove si faceva notare per essere salito su una pensilina urlando minacce e frasi sconnesse, al punto che il custode doveva richiedere l’intervento dei Carabinieri; poi l’aggressione ai militari il successivo 17 settembre.

In seguito all’attacco si è acceso un dibattito sullo scarso coordinamento tra autorità tedesche e forze dell’ordine italiane. Forse le informazioni fornite dalla Germania erano troppo generiche, soltanto il nominativo e l’indicazione di “simpatie islamiste”; forse il problema è che la richiesta fatta dal Dipartimento Centrale di Polizia alle questure di comunicare con urgenza gli spostamenti di Mahamad non era mai stata inserita nell’archivio SDI.

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Il punto però è un altro: ancora una volta all’interno del flusso di migranti si è inserito un soggetto pericoloso in qualche modo legato al jihadismo, come già accaduto tra aprile e giugno del 2018 con i gambiani Sillah Ousman e Alagie Touray, arrestati a Napoli. Questa volta però vi è un’ulteriore beffa, perché Mahamad è arrivato in Italia su volo di Stato. È dunque difficile proseguire con la politica degli arrivi quando non si è nemmeno in grado di selezionare chi entra con i corridoi umanitari.


Giovanni Giacalone è senior analyst presso l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Itstime) dell’Università Cattolica di Milano e presso il Center for Strategic Analysis (Kedisa) di Atene.

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Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.