Nell’attuale dibattito su quali contenuti assegnare al sovranismo, ci sembra opportuno delimitare, a grandi linee, il perimetro entro il quale il “campo” sovranista dovrebbe agire e formulare i propri valori. Nello stesso tempo, occorre anche capire quali errori il sovranismo deve evitare, anche sulla scorta dell’esperienza passata.

Questo articolo è il primo di una serie che intende aprire, si spera, un dibattito attorno a questi temi, che funga soprattutto da lume chiarificatore, pur nella sua parzialità, su temi-chiave del mondo attuale. Fermo restando che vi sono tanti sovranismi quante sono le destre (al plurale), esiste un filo conduttore che unisce sensibilità pur diverse tra loro: questo fil rouge è l’idea di differenza che sostiene e permea la sensibilità e il pensiero sovranisti.

Il sovranismo non è una dottrina sull’organizzazione dello Stato (o, almeno non è solo questo), non è una ricetta economica (le teorie economiche non esauriscono né caratterizzano il sovranismo), non è una teoria politica. Il sovranismo è un fatto culturale e come tale deve essere analizzato e caratterizzato. Parliamo di “campo” sovranista in opposizione al “campo” progressista ed egualitarista oggi dominante.

I sovranisti ritengono che le differenze, di cultura, di religione, di costumi, di modus vivendi, siano un valore di per sé e che siano minacciate di estinzione dal globaritarismo nel quale tutto il pianeta è immerso. Se il globaritarismo (fusione tra globalizzazione economica e globalizzazione ideologica) si regge su una tendenza a uniformare popoli e culture verso un modello unico dominante, il sovranismo è antiegualitario non per opposizione ma per vocazione. Antiegualitario nel senso che, a differenza del dogma progressista, che vuole l’eguaglianza negli esiti, il sovranismo prevede l’eguaglianza dei punti di partenza. Saranno poi le naturali disposizioni dell’individuo a stabilire i risultati e le conseguenti gerarchie.

L’egualitarismo ha caro il concetto astratto di umanità; il sovranismo quello di uomo concreto, di individuo caratterizzato non solo economicamente ma culturalmente. Al villaggio globale progressista il sovranista propone il genius loci, consapevole che, come sosteneva Lorenz, la cultura, che informa la civiltà e la stessa civilizzazione, si trasmette come se fosse un dato biologico e che il delirio antropologico di matrice progressista di tabula rasa è un’illusione nella migliore delle ipotesi, un’utopia sanguinaria nei casi in cui essa si è storicamente inverata.

Le differenze culturali rispecchiano le differenze individuali. Dietro al concetto-trojan progressista di “tutela delle minoranze” si cela in realtà la tendenza a uniformare in un unicum queste differenze. Per il campo progressista le differenze sono uno stadio intermedio sulla strada dell’utopia globale; esse vanno quindi superate per approdare all’indifferenziato, all’uomo-calco dell’open society. La tutela delle minoranze religiose ospitate dall’Occidente che il progressismo innalza come propria bandiera è strumentale poiché serve semplicemente a scardinare le tradizioni occidentali, inghiottendo quelle stesse minoranze nel miscelatore dello sradicamento generalizzato.

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Anche la difesa delle minoranze sessuali, di cui il progressismo si fa alfiere, è puramente strumentale. Se è vero che esistono diversi orientamenti sessuali, da sempre presenti dalla notte dei tempi in tutte le società umane, è altrettanto vero che i sessi biologici, da sempre, sono due, non certo tre o più. Come si vede, l’ideologia progressista parte dal riconoscimento delle differenze (religiose, culturali, sessuali) ma finisce invariabilmente verso un modello fusionale che di quelle differenze è la negazione assoluta.

Si tratta dell’intolleranza al fatto che il mondo possa essere un posto variegato, imprevedibile, anche conflittuale, ma comunque affascinante nella sua radicale diversità. Al contrario, per il progressismo, il mondo deve essere un posto sicuro, pacificato oltre che pacifico, dove le uniche differenze ammesse sono i capricci individuali spacciati per diversità culturale, un mondo in definitiva al cui interno si cela la gelida presenza della società appianata, senza sussulti, a-conflittuale, necrotizzata: la tranquillità della morte per estinzione.

D’altra parte, sotto il profilo mediatico, oggi è sempre più difficile mettere in discussione un termine-totem come l’uguaglianza. La sua degenerazione ideologica, cioè l’egualitarismo, nonostante sia smentito ogni giorno sul piano della realtà, è tuttavia dogmaticamente scandito nei discorsi culturali, cioè nelle scuole, nelle università, nel mondo editoriale e comunicativo, nel settore pubblicitario. Egualitarismo, quindi, in quanto narrazione ideologica, utopica, come un Eden a cui ritornare (i teorici dell’ecologismo radicale) o come una Terra promessa a cui tendere (i teorici della società aperta, i fanatici, atei o cattolici che siano, dell’homo migrans).

Il sovranismo, d’altra parte, oltre a una pars destruens, deve anche iniziare a preoccuparsi di contro-narrare i suoi valori, le sue idee, le sue posizioni ideali. Per quanto il progressismo insista nell’elaborare o rielaborare teorie e ideologie, il suo discorso è perdente sul piano oggettivo. Questo perché la visione antropologica progressista non corrisponde all’autentica natura umana, essendone semmai un pervertimento caricaturale. Il sovranismo, al contrario, immune da infezioni utopiche, può elaborare le sue idee e metterle in campo senza tema di smentite, corroborato in questo da quell’ostinato ma implacabile giudice che è la realtà.


Abyssus, pseudonimo, è un professionista che opera nel settore culturale ed editoriale italiano.