L’ufficializzazione della Brexit, avvenuta lo scorso 31 gennaio, ha portato molti commentatori a stigmatizzare la figura di Boris Johnson, sostenendo che starebbe agendo contro l’interesse del Regno Unito o – peggio ancora – in modo stupidamente dilettantesco. Il punto è che la situazione potrebbe rivelarsi più complessa di così. E il premier britannico, in realtà, una strategia negli imminenti negoziati con Bruxelles potrebbe averla: una strategia fondata su due linee complementari.

In primo luogo, il fronte europeo non è così compatto come spesso si asserisce. Non dimentichiamo che, proprio sulla Brexit, Francia e Germania hanno mostrato nel corso degli anni un approccio non poco differente. Se Berlino ha spesso cercato di assumere posizioni tendenzialmente concilianti, Parigi ha – al contrario – scelto la linea dura. Questa situazione riflette del resto una tensione (neppur tanto) latente in seno all’asse franco-tedesco. Emmanuel Macron sta infatti cercando di estendere la propria leadership politica e militare in Unione europea, a detrimento di Angela Merkel. In questo senso, un allontanamento netto di Londra da Bruxelles giova molto più all’Eliseo che a Berlino: una Berlino che, di contro, ha tutto l’interesse a non rompere traumaticamente i rapporti con il Regno Unito. Sotto questo aspetto, basta pensare a quanto avvenuto nel corso del summit Nato di Londra lo scorso dicembre, quando la Merkel si schierò con Johnson in difesa della Nato: quella Nato che – invece – Macron aveva definito in “stato di morte celebrale”, tornando ad evocare la possibilità di costituire un esercito europeo.

Ecco: è in questo tipo di tensioni che Johnson potrebbe inserirsi, per frantumare al suo interno l’asse franco-tedesco e beneficiarne nel corso dei negoziati. È pur vero che queste trattative saranno principalmente di natura commerciale. Ma avranno anche a che fare con altri dossier (a partire dalla sicurezza). Inoltre, nulla impedisce a Johnson di far leva sulla Difesa per cercare di ottenere vantaggi in altri ambiti: del resto, come riportava “The Guardian” già lo scorso settembre, pare proprio che Downing Street abbia intenzione di muoversi esattamente in questa direzione. In tutto ciò, non dobbiamo infine trascurare che, nella nuova Commissione europea, sia stata istituita una delega alla Difesa e che tale delega sia stata ottenuta – guarda caso – dalla Francia. Ritenere quindi che la Difesa non giocherà un peso (diretto o indiretto) nei negoziati tra Londra e Bruxelles è una pia illusione, anche perché è altamente improbabile che – come già insegnano le tecniche negoziali di Donald Trump – le trattative procederanno per compartimenti stagni.

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In secondo luogo, l’altro aspetto della strategia di Johnson potrebbe rivelarsi quello di fungere da pendolo tra Bruxelles e Washington. Non dimentichiamo infatti che la Casa Bianca sta da tempo spingendo per siglare un accordo di libero scambio con il Regno Unito: un elemento che ha portato non a caso Trump nei mesi passati a sostenere la Brexit e a dare il proprio endorsement all’ascesa politica di Johnson. Certo: non bisogna trascurare che Londra e Washington debbano appianare alcune spinose divergenze sul fronte negoziale (dalla digital tax al dossier Huawei, senza dimenticare il ruolo delle grandi ditte farmaceutiche statunitensi). Ciò detto, è necessario tener conto di due fattori. Innanzitutto va rilevato che – al netto di alcune divisioni – tra Johnson e Trump permane al momento una profonda convergenza di tipo politico, saldata nel principio di difesa della sovranità nazionale. Infine, se il premier britannico adotterà effettivamente la tattica del pendolo, non gli converrebbe comunque chiudere troppo presto un eventuale accordo con Washington, visto che l’oscillazione potrebbe teoricamente garantirgli di aumentare la pressione sul fronte europeo, per strappargli così magari maggiori concessioni.

Insomma, che Johnson si troverà a rischiare parecchio nei prossimi mesi, è fuori discussione. Ma che si stia avviando ai negoziati con Bruxelles da sprovveduto e senza una strategia, non è esattamente corretto.


Stefano Graziosi è Ricercatore del Centro Studi Machiavelli.