Joe Biden si accinge alla conquista della nomination democratica. Nei sei Stati in cui si votava ieri sera, l’ex vicepresidente americano ha ottenuto degli ottimi risultati, espugnando il Mississippi (con l’81% dei consensi), il Michigan (con il 53%), il Missouri (con il 60%) e l’Idaho (con il 59%). Nello Stato di Washington si è invece verificato un pareggio, mentre Bernie Sanders dovrebbe essersi assicurato il North Dakota (dove ancora non è tuttavia stato dichiarato un vincitore).

Quella che ha avuto luogo è una vera e propria debacle per il senatore del Vermont, soprattutto se si pensa al fatto che – alle primarie democratiche di quattro anni fa – aveva stravinto in Idaho e Washington. Ma anche alla luce della sconfitta in Michigan. Non è un mistero che su questo Stato Sanders avesse puntato moltissimo. Se nel 2016 era infatti riuscito a strapparlo (per quanto di un soffio) a Hillary Clinton, quest’anno l’esito si è rivelato pessimo. Una Waterloo in piena regola. E questo sostanzialmente per due ragioni. Non soltanto, tra gli Stati che votavano ieri sera, il cosiddetto Wolverine State era quello con il maggior numero di delegati in palio (ben 125). Ma il problema è anche di carattere simbolico. Il Michigan costituisce infatti il perno della Rust Belt: un’area – situata tra gli Appalachi e i Grandi Laghi – che risulta elettoralmente ricca di operai bianchi impoveriti. Quegli operai, che Sanders ha sempre puntato a rappresentare e che – invece – sembra proprio gli abbiano voltato le spalle.

Con questa sconfitta, al senatore del Vermont viene quindi meno un pilastro essenziale della propria storica coalizione elettorale. E proseguire la corsa verso la nomination su queste basi rappresenta adesso per lui un obiettivo oggettivamente quasi impossibile. Anche perché il restante calendario elettorale di marzo non appare particolarmente amichevole nei suoi confronti: martedì prossimo voteranno Florida, Arizona, Illinois e Ohio. Se in Florida Sanders risulta abbastanza sgradito (per le sue posizioni aperturiste verso Cuba e il Venezuela), è improbabile che Illinois e Ohio (Stati che già quattro anni fa non lo sostennero) voteranno per lui. In particolare, è altamente plausibile che l’Ohio seguirà il comportamento del Michigan. Situazione ancor più fosca si attende poi il 24 marzo, quando si terranno le primarie della Georgia: Stato meridionale in cui Sanders non ha oggettivamente alcuna speranza di vincere. Insomma, per quanto non matematicamente certa in termini di delegati, la sconfitta del senatore socialista sembra ormai difficilmente evitabile. Biden, dal canto suo, ha rafforzato la propria leadership, mostrandosi capace di sfondare tra quote elettorali differenti: non solo gli afroamericani del Sud ma anche i colletti blu impoveriti delle aree settentrionali (come dimostrato dalle sue vittorie in Michigan e in Minnesota).

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Nel momento in cui l’ex vicepresidente si appresta a prendersi la nomination, la grande incognita riguarda gli elettori sandersiani. Che cosa faranno? Sceglieranno di compattarsi intorno a Biden? Oppure, come nel 2016, si ribelleranno e passeranno – almeno in parte – tra le file di Donald Trump? Il presidente americano spera ovviamente in questo scenario e – non a caso – già da settimane sta cercando di blandirli. Un fattore che evidenzia come, qualora dovesse essere Biden il candidato democratico, Trump rispolvererà prevedibilmente la sua tradizionale carica antisistema. E, sotto questo aspetto, non è del tutto escludibile che, proprio in Michigan, una parte della debacle di Sanders sia dovuta al fatto che alcuni suoi vecchi sostenitori possano averlo abbandonato, per sostenere Trump. Rispetto alle primarie del 2016 (quando però aveva contro tre avversari) l’attuale inquilino della Casa Bianca in loco è passato da 483.153 a 637.143 voti. Va comunque rilevato che, in termini assoluti, anche Biden abbia ottenuto un risultato notevole nel Wolverine State: se, quattro anni fa, Sanders aveva vinto sfiorando i 599.000 voti, Biden ieri sera ne ha ottenuti 832.451. Segno di come la Rust Belt tornerà a rivelarsi decisiva in vista del voto novembrino. Un campo di battaglia che ospiterà uno scontro senza esclusione di colpi.


Stefano Graziosi è Ricercatore del Centro Studi Machiavelli.