di Luca Marcolivio
Per l’Ucraina, paese “leader” nel triste mercimonio dell’utero in affitto, è stato un autogol clamoroso. Ha fatto il giro del mondo il video-choc, diffuso da responsabili della clinica Biotexcom di Kiev, dove si pratica la maternità surrogata, che documentava la presenza di 46 neonati tutti collocati nella stessa sala dell’Hotel Venezia, adiacente alla medesima clinica.
Avendo il lockdown impedito l’ingresso in Ucraina agli stranieri, gli infermieri della Biotexcom, sotto l’angosciante sfondo dei pianti dei piccoli, rassicuravano i genitori “surrogati” (di nazionalità inglese, spagnola e anche italiana): “Cari genitori, se ora non potete attraversare il confine e venire in Ucraina per prendere il vostro bambino, non disperate”. Le condizioni dei neonati, rimarcano gli infermieri e i manager della clinica, sono buone e loro stessi vengono nutriti costantemente e abbondantemente, ricevendo latte artificiale. Poi puntualizzano: “Alcuni Stati sono già andati incontro ai propri cittadini ed hanno avviato il procedimento”. E sollecitano le coppie a rivolgersi alle rispettive rappresentanze diplomatiche al fine di accelerare le pratiche per giungere in Ucraina e prendere con sé i bambini.
Un videomessaggio dagli intenti tranquillizzanti, che ha avuto però l’effetto boomerang di svelare al mondo – se ancora ce ne fosse bisogno – la sconvolgente realtà dell’utero in affitto: un business intorno al quale ruotano milioni di euro, in netta crescita nonostante la quasi plebiscitaria contrarietà dell’opinione pubblica mondiale. La disperazione induce molte donne povere a ricorrere a questa pratica, che sta però arretrando nei paesi asiatici: in Thailandia, Nepal, Laos e Cambogia l’utero in affitto è stato messo al bando, mentre in India è oggetto di sempre più severe restrizioni. In ambito europeo, invece, l’Ucraina rimane il paese con le tariffe più concorrenziali: per ogni bambino concepito artificialmente, una coppia spende “soltanto” dai 30mila ai 50mila euro.
L’agghiacciante spettacolo dei neonati piangenti, parcheggiati nelle loro culle in un’unica sala non troppo grande, assistiti da un personale sanitario in numero limitato ma, soprattutto, senza una mamma che li accoglie e li nutre, ha suscitato l’indignazione di varie associazioni per i diritti umani ma anche di gruppi femministi; tra questi ultimi la Rete Italiana contro l’Utero in Affitto, che ha inviato una lettera all’ambasciatore italiano a Kiev, Davide La Cecilia e, per conoscenza, al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, con richiesta di chiarimenti e di verifica delle “effettive condizioni di salute dei bambini” e di “quanti e chi siano gli italiani clienti di Biotexcom e di altre cliniche”. Inoltre, essendo in Italia l’utero in affitto un reato, l’associazione chiede la negazione di qualunque permesso speciale in deroga al lockdown ai genitori ‘surrogati’ che intendessero volare in Ucraina per venirsi a prendere i bambini. “I bambini non possono restare più a lungo in stato di abbandono, stipati come polli – si legge nella lettera –. Vengano affidati alle madri che li hanno partoriti o a famiglie che possano accoglierli”.
Lo scandalo di Biotexcom è stato pressoché ignorato dai media mainstream italiani. Con l’eccezione del “Corriere della Sera”, il cui servizio firmato da Monica Ricci Sargentini parla di ben 500 neonati bloccati presso la clinica. Sul proprio profilo Facebook, la giornalista ha anche riferito del ‘muro di gomma’ in cui si è imbattuta al momento di confrontarsi sul caso con le istituzioni. Questa la reazione dell’ambasciatore La Cecilia, alla telefonata della giornalista: “Non mi lascia nemmeno parlare. Mi zittisce con un no comment – racconta Ricci Sargentini –. Io rispondo: scusi ma non sa nemmeno cosa voglio chiederle? Lui: va bene, mi dica. Non appena pronuncio la parola bambini dice nuovamente no comment e attacca. Alla faccia della diplomazia. Una reazione veramente scomposta che fa pensare”.
La realtà inaccettabile dell’utero in affitto – definito ipocritamente con l’eufemismo “gestazione per altri” dai suoi normalizzatori – è nota da molti anni. La vicenda fatta maldestramente emergere dal video della Biotexcom rischia però di diventare un caso diplomatico, in cui Di Maio, l’ambasciatore italiano a Kiev e tutto il governo Conte, se non agiranno con prontezza, trasparenza e nel rispetto della legalità, finiranno per screditarsi una volta per tutte.
Saggista e giornalista professionista, è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa"Cristiani Today", collabora con "La Nuova Bussola Quotidiana"e"Pro Vita & Famiglia". Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di "Zenit".
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