di Adam Sashalmi

In Ungheria il 16 giugno il parlamento ha votato (192 favorevoli su 199) la cessazione dei poteri speciali concessi per contrastare l’epidemia. Lo stato di emergenza terminerà il 20 giugno.

Questo evento é interessante perché Viktor Orbán, il premier ungherese, era stato accusato dall’opposizione ungherese e dai media internazionali di aver instaurato una dittatura grazie ai poteri speciali. Nei medesimi giorni il premier italiano, Giuseppe Conte, non riceveva alcuna critica pur esercitando prerogative similari. La maggior critica mossa alla legge sullo Stato di emergenza era la mancanza di un quadro temporale: perciò l’opposizione non l’aveva votata. La replica del governo fu che non si sapeva fino a quando sarebbe durata l’emergenza.

Il 16 giugno è anche un giorno simbolico. Il 16 giugno del 1989 fu reinumato il corpo di Imre Nagy, premier nel 1956 durante la rivoluzione contro la dittatura comunista. In quell’occasione Viktor Orbán pronunciò un discorso pubblico alla gioventù ungherese, in cui esaltò lo spirito di 1956 e chiese il ritiro dell’esercito sovietico dall’Ungheria, criticando il regime comunista.

Chiediamoci dunque: perché Orban ha voluto smentire i suoi critici con tanta enfasi? Nel 2014 annunciò la propria visione di “democrazia non liberale”, ossia d’una forma di democrazia che non preveda l’egemonia dell’ideologia liberale. La versione promossa da Orban è semmai quella di una “democrazia cristiana”, basata sulla cultura e le tradizioni europee. Quest’idea, lo sappiamo, è lungi dall’essere accettata nel mainstream occidentale. Non di meno, con questo recente atto politico Orban ha continuato a provare la possibilità d’una forma di democrazia non liberale.

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Ungherese, dottorando di ricerca alla Facoltà di Scienze della Terra dell’Universitá di Pécs, è studioso di geopolitica.