di Giovanni Giacalone
Gli accordi raggiunti da Israele con Bahrein ed Emirati Arabi, denominati “Accordi di Abramo”, segnano “l’alba di un nuovo Medio Oriente”, come affermato dal presidente Donald Trump, e rappresentano l’inizio di una normalizzazione con i Paesi del Golfo che a breve potrebbe coinvolgere anche l’Arabia Saudita.
I Palestinesi hanno invece definito gli accordi “un tradimento” di Emirati e Bahrein e da Gaza è subito partita una pioggia di razzi verso Israele che ha a sua volta risposto con bombardamenti mirati alle postazioni di Hamas. Dure critiche anche da un regime iraniano sempre più isolato e dalla Turchia che sotto Erdogan ha imboccato una deriva islamista ed autoritaria degna dei cosiddetti “Stati canaglia” che la sta allontanando sempre di più da Europa e Nato.
È evidente come i grandi sconfitti (e assenti) degli “Accordi di Abramo” siano i leader palestinesi, sia di Hamas che dell’ANP, e questo è un dato di fatto. C’è però un aspetto, altrettanto palese, ma che ben pochi sono disposti ad ammettere: e cioè che la questione palestinese è sempre stata un problema per i Paesi arabi, dalla Giordania al Libano, dalla Siria all’Egitto. Una questione che ha sempre portato destabilizzazione ovunque si sia materializzata, e basti pensare agli scontri del 1970 ad Amman tra esercito giordano e gruppi armati palestinesi che tentarono di rovesciare la monarchia; la guerra civile libanese (1975-1990) ma anche una presenza in Siria che ha nel tempo creato non pochi problemi interni.
Una questione, quella palestinese, che ha abbracciato il terrorismo, prima di stampo nazionalista e socialista con i vari Settembre Nero, al-Fatah e FPLP, per poi abbracciare quello islamista con Hamas e Jihad Islamico Palestinese. Nei decenni il terrorismo palestinese e filo-palestinese ha sistematicamente preso di mira la popolazione civile in Israele e all’estero, una strategia che nel tempo diventa controproducente, come la storia insegna.
Vi è poi un altro fattore, e cioè che il popolo palestinese non ha mai avuto nulla da offrire per promuovere la propria indipendenza e un adeguato riconoscimento a livello internazionale. La causa palestinese è stata palesemente utilizzata in chiave anti-israeliana da Paesi come Iran, Qatar e ora anche Turchia, nonché da un estremismo di stampo islamista che l’ha trascinata all’interno delle moschee di mezzo mondo (Italia inclusa), strumentalizzandola per fini ben lontani da quelli fideistici. Attenzione però: perché essere anti-israeliani non implica essere filo-palestinesi; anzi, il proseguire dello scontro tra israeliani e palestinesi è di vitale importanza per quei Paesi e quei gruppi islamisti che utilizzano tale causa per il proprio tornaconto.
I Paesi arabi hanno capito che oggi la pace con Israele conta molto di più a livello economico, politico e strategico rispetto a una questione che nel tempo, e dispiace dirlo, ha creato soltanto destabilizzazione e guerra.
Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.
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