di Alfonso Piscitelli

Quella che doveva essere una comunicazione ufficiale sul COVID è diventata anche l’occasione per Giuseppe Conte di marcare una distanza netta, forse definitiva, dallo strumento eurocratico del MES. Le parole del premier, trasmesse in tv e sui social alle 21.30 del 20 ottobre, in realtà hanno rappresentato una chiosa notarile a quanto accaduto nei giorni precedenti nella sede istituzionale di Montecitorio.

La campagna per imporre il MES all’Italia è durata 7 mesi e si è tentato di creare anche una maggioranza trasversale in parlamento: questo tentativo è fallito la settimana scorsa. Lo scivolone del mitico Meccanismo Europeo di Stabilità ha consentito a Conte – che a dire il vero non ne è stato mai un sostenitore – di precisare alcune evidenze fino ad ora camuffate da una capillare azione persuasiva:

  • Il MES è un prestito: non sono miliardi regalati. È un prestito esattamente come qualsiasi sottoscrizione di titoli di Stato italiani.
  • Il risparmio in termini di interessi è minimale, ha sottolineato Conte (ma in realtà il risparmio – sottolineava Claudio Borghi nel suo messaggio video a poche ore dalla conferenza del P.d.C. – è addirittura zero, dal momento che i titoli di Stato che rappresentano l’alternativa in questo momento hanno interesse praticamente pari a zero).
  • Il passaggio più significativo della precisazione di Conte è stato che “non c’è nessun vantaggio, ma al contrario c’è un effetto stigma. In effetti, accedere al MES equivale a dichiarare al mondo finanziario di non essere in grado di accedere al mercato con i propri titoli.

A queste osservazioni un soddisfatto, ma ancor più agguerrito, Borghi ne ha aggiunte altre rimarcando che:

  • in realtà i denari per la Sanità ci sono: 90 miliardi in conto della tesoreria che posso essere spesi per urgenze sanitarie.
  • D’altra parte nell’attuale finanziaria sono previsti appena 4 miliardi per la sanità, non i 35 miliardi del MES, che rimangono abnormi anche se spalmati su più anni.
  • Conte ha omesso di dire che quello del MES appartiene alla categoria dei prestiti privilegiati, la categoria più pericolosa per chi si indebita.
  • I soldi raccolti con i titoli di Stato sono immediatamente utilizzabili, il MES andrebbe domandato, ratificato e poi bisognerebbe attendere…
  • Il MES ha caratteristiche intollerabili, come l’assoluta immunità dei suoi gestori da qualsiasi giurisdizione: in pratica un potere assoluto sugli Stati che vi si sottopongono.
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Fatte queste obiezioni “tecniche” c’è il tempo per un po’ di dietrologia riguardo alla operazione messa in atto. Ipotizza Borghi: “Il MES aveva l’unico obiettivo di mettere un cappio al collo per l’Italia per poterla gestire dall’esterno. A spingere per l’adesione al MES consapevolmente si sono prestati il PD e Italia Viva e, spero per non aver capito i termini della questione, Forza Italia. Questa maggioranza per il MES non si è creata”. Borghi dà atto a Conte di aver inquadrato “ora” con precisione i contorni opachi del MES, ma dopo aver perso sette mesi in estenuanti incontri europei, quando c’era la possibilità di reperire rapidamente miliardi di euro sui mercati. In particolare il ministro Gualtieri ha spinto in maniera spasmodica per l’adesione, supportato dalla propaganda univoca di tutti i grandi media che descrivevano il MES come una cornucopia di soldi facili e gratuiti. Ma – conclude Borghi – “se il MES era una cosa così importante e la maggioranza si è spaccata su questo respingendo la pressione di PD e Italia Viva, perché non fare una crisi di governo su questo?”.

Ha collaborato ai quotidiani "L'Indipendente" e "Liberal", è stato autore della trasmissione "L'Argonauta" di Rai Radio Uno, è opinionista de "La Verità", "Il Borghese", "Primato Nazionale". Tenente in congedo dell'E.I.