di Marco Malaguti

In un recente articolo su “Quillette”, Yoram Hazony si dedica al tema del ritorno in auge del marxismo negli Stati Uniti e della sua pericolosità in ambito politico.

Lungi dall’essere sconfitto, secondo Hazony il marxismo sarebbe ritornato tra noi sotto forma diversa da quella classica: non più una dottrina rigida, basata su canoni presuntamente scientifici, economici e materialistici, bensì sotto la forma indefinita di una nube di diverse istanze, non necessariamente coerenti tra loro dal punto di vista logico, il cui filo conduttore sarebbe però l’avversione radicale allo Stato liberale e nazionale così come concepito in Occidente dall’Ottocento ad oggi.

Hazony espone la tesi secondo la quale le attuali società liberali sarebbero intrinsecamente incapaci a resistere a questo tipo di approccio aggressivo da parte delle sinistre, ma imputa tale incapacità al disorientamento ed all’inabilità di riconoscere il nucleo marxista originario all’interno della nuova veste progressista e libertaria (nel senso progressista del termine); successivamente vengono illustrate argomentazioni diverse, come la cecità dei liberali nel comprendere le ragioni della frustrazione sociale ed il considerare già risolto ogni contenzioso sulle disuguaglianze attraverso la concessione di pari diritti a tutti. Le ragioni, tuttavia, possono essere più profonde rispetto al semplice disorientamento denunciato dall’autore ed alla cecità sulle dinamiche delle disuguaglianze interne al sistema economico capitalistico.

Hazony descrive anche la cosiddetta “danza del liberalismo e del marxismo”, ovvero il circolo vizioso per cui una volta decentrata la religione come valore unificante trascendente all’interno di una società, il liberalismo illuminista incoraggerebbe ipso-facto l’emersione di gruppi di pressione di classe (i marxisti) che richiamerebbero ad una maggiore coerenza con le premesse stesse del liberalismo, che i liberali, secondo i marxisti, non porterebbero a termine fino in fondo per ragioni di interesse di classe. L’intima connessione tra marxismo e liberalismo è peraltro evidenziata chiaramente negli articoli dello stesso Marx per la “Rheinische Zeitung” (il giornale borghese e liberale per cui scriveva il giovane Marx) del 1842, dove le libertà borghesi (al plurale), considerate soltanto come “esenzioni dalla schiavitù”, sono presentate come insufficienti nei confronti della Libertà (al singolare), verso la quale costituiscono comunque un’irrinunciabile fase dialettica.

La diagnosi è qui corretta, ma non prosegue nell’analisi delle criticità intrinseche al liberalismo. Considerare liberalismo e marxismo come entrambi figli della stagione illuministica è corretto, ma è errato imputare a ciò la debolezza del primo nei confronti del secondo, specie alla luce del fatto che anche i fascismi affondano le loro origini nell’Illuminismo, in particolare nel populismo radicale di Rousseau; tuttavia, sostenere che il fascismo degradi naturaliter nel marxismo apparirebbe giustamente tesi fantasiosa, oltre a dar ragione alla medesima teleologia marxista che inquadra il comunismo come stadio finale necessario della dialettica storica.

Sussiste quindi una ragione più intimamente connessa al liberalismo stesso, e ciò è probabilmente legato alla vocazione minimalistica dello stesso quando, limitandosi soltanto a “conservare i beni civili” quali “la vita, la libertà, l’integrità del corpo, la sua immunità dal dolore, i possessi delle cose esterne come terra, denaro, suppellettili” (John Locke, Lettera sulla tolleranza), tralascia completamente le sfere irrazionali della religione, dell’estetica e del mito. Duramente sconfitto dal liberalismo sul piano economico, il marxismo si è riqualificato come grande piano di ridefinizione estetica, abbandonando l’originaria matrice economicistica e “scientifica” per dedicarsi alla colonizzazione di queste praterie che il liberalismo lasciava sguarnite. Si tratta di una tendenza già notata anche dal dibattito interno al marxismo stesso, e denominato sprezzantemente dai marxisti ortodossi come “filosofia del ritiro”, mentre sembra svilupparsi al contrario come una sorta di Eneide politologica entro la quale gli sconfitti, fuggendo, gettano altrove le basi per un nuovo impero universale.

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La concezione totalmente de-umanizzata del potere teorizzata da Montesquieu, Hume e Kelsen, fatta di procedure che si autoregolano, non tiene infatti in alcun modo conto dell’irrealizzabilità di questa condizione artificiale in un mondo popolato invece da persone. L’inversione postmoderna delle polarità marxiste di struttura e sovrastruttura costituisce lo scacco matto del marxismo culturale nei confronti del liberalismo classico, che non può reagire né per l’incapacità di riconoscere il nemico né per una troppo stretta parentela col marxismo stesso, quanto piuttosto per la tara ontologica originaria di rinunciare a priori a qualificarsi come alternativa totale alle diverse teorie politiche che gli si contrappongono.

La stessa vittoria liberale sul piano economico in un quadro di generale abbondanza non aiuta a mettere da parte le istanze materialiste, ma anzi sposta le attenzioni degli occidentali satolli verso questioni più astratte come il mito e l’estetica, e l’utopia della società egualitaria e finalmente libera dalla scarsità, per quanto fumosa, si rivela in ogni caso più interessante e meno mediocre di una concezione della politica che si limiti esclusivamente a tutelare il benessere come quella proposta dal liberalismo anglosassone. La relegazione della sfera religiosa ed estetica all’intimità dell’individuo smantella dunque il sistema immunitario del liberalismo stesso, rendendolo incapace di appellarsi ad una ragione trascendente (Dio) così come ad una prospettiva estetica sul piano immanente e metapolitico, e ciò spiega la contemporanea disaffezione verso di esso sia delle frange religiose sia di quelle identitarie, nonché l’avanzata indisturbata del marxismo culturale stesso.

Marco Malaguti

Research fellow at the Machiavelli Center. A philosophy scholar, he has been working for years on the topic of the revaluation of nihilism and the great German Romantic philosophy.