di Davide Lanfranco

Tempo di elezioni presidenziali americane. Grazie al consenso (im)prevedibile di Donald Trump è stato ancora il tempo del “Forgotten Man”; categoria politica inventata da William Graham Sumner ed utilizzata, per primo, nella campagna elettorale del 1932 dal Presidente Franklin Delano Roosevelt.

È un concetto che individua quella parte di elettori spesso poco considerati da analisti e mass media perché non inquadrabili nelle categorie sociali classiche ma che, in alcuni casi, possono stravolgere l’esito di elezioni politiche date per scontate, votando per protesta partiti politici o candidati considerati populisti o impresentabili. Una categoria simile esiste pure nel mondo in cui lavoro, le forze dell’ordine, il Forgotten Cop (“Poliziotto Dimenticato”).

Il Forgotten Cop però non è una categoria politica ma umana che tutti (cittadini, autorità, amministrazioni di appartenenza, colleghi di lavoro) fanno finta di non vedere. Perchè il Forgetten Cop rappresenta un fallimento, una sconfitta. Il Forgotten Cop non è buono per celebrazioni con le medaglie e per le belle storie da pubblicare sui social networks. Il Forgotten Cop è l’anello debole della catena, è la faccia non rassicurante del sistema. I Forgotten Cops, lo avrete capito, sono gli uomini in divisa che si suicidano.

Un fenomeno nascosto ma terribile, quello dei suicidi tra appartenenti alle forze dell’ordine, con evidenze numeriche che ne dimostrano l’anomalia anche rispetto alle dinamiche generali della popolazione italiana.
Secondo l’Osservatorio sui Suicidi in Divisa i pubblici ufficiali che si sono tolti la vita con le proprie mani (spesso con l’arma d’ordinanza) nel 2019 sono stati sessantasette, mentre quest’anno sono stati già superati i quaranta decessi. Decessi questi che, però, sono ampiamente sottostimati, in quanto le uniche fonti per individuarli sono o “il passaparola nelle caserme” o gli articoli di giornale, dato che le varie amministrazioni di appartenenza sono ancora molto reticenti a divulgare dati in materia.

Dati che sono progressivamente in aumento negli ultimi dieci anni , se si pensa che, la prima volta che è stato fornito dal Ministero dell’Interno (li divulgò il Sottosegretario all’Interno Manzione il 15 settembre 2016) il numero “aggregato” dei suicidi tra gli “sbirri”, ne furono rilevati per il quinquennio 2009-2014 sessanta (in media dodici all’anno). L’Osservatorio dell’Associazione Cerchio Blu ha invece “contato” ben trentaquattro suicidi nel 2015 e trentadue nel 2016. I dati del 2019 e 2020 già citati non fanno che confermare l’aumento esponenziale del fenomeno che ora ha portato il tasso dei suicidi delle forze dell’ordine (oltre i quindici ogni 100.000) ad essere più alto di quello della popolazione italiana (meno di otto per 100.000 abitanti, dato ISTAT) Fatto già di per sé inspiegabile, perché il tasso di suicidi della popolazione dovrebbe invece essere molto superiore rispetto agli operatori della sicurezza in quanto è alimentato da casistiche teoricamente poco o per niente incidenti tra le forze dell’ordine: persone con gravi disabilità fisiche, soggetti con problemi psichici, malati terminali, anziani soli, disoccupati e soggetti in gravi difficoltà economica. L’Italia è ormai nelle stesse condizioni della Francia, che in Europa ha avuto, per anni, il triste primato di suicidi tra le forze dell’ordine (settanta all’anno).

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Quali sono i motivi di questa strage silenziosa che uccide più di terroristi e criminali tra le divise? Solo casualità determinata dall’avere uno strumento come la pistola a disposizione? Poca capacità di comprensione del disagio nelle caserme da parte del Vertice? Stress lavorativo? Cattiva percezione del proprio ruolo nella società? Rapporti gerarchici arcaici? Malfunzionamento del sistema di selezione del personale? Domande che le amministrazioni di appartenenza si dovrebbero fare apertamente e le cui risposte potrebbero determinare azioni utili ad arginare la strage, senza paura di mostrarsi “troppo deboli” di fronte all’opinione pubblica.

Sicuramente domande cui è difficile dare riposte univoche; i miei studi universitari di sociologia mi confermano la complessità del fenomeno dei suicidi, cui inevitabilmente concorrono anche cause relative alla sfera strettamente privata delle vittime. Ma, a mio avviso, rimane un anomalia evidente che una categoria preposta a svolgere il ruolo di controllo sulla sicurezza dei cittadini sia così esposta a questo dramma, e girarsi dall’altra parte non aiuta certo nessuno. Temo invece che, come gli “espertoni” della politica continueranno ad ignorare i Forgotten Men, anche noi continueremo ad ignorare i tanti Forgotten Cops.

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Laureato in Sociologia (Università La Sapienza di Roma) con Master in Economia e Finanza degli Intermediari Finanziari (Università LUISS). Da vent’anni lavora per lo Stato Italiano nel settore delle Forze di Polizia.