di Giovanni Giacalone
Il Premier francese Emmanuel Macron e il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz prendono di petto l’islam politico, già in più occasioni definito come “islamismo separatista” e indicato come un pericolo per l’unità nazionale, la libertà e la democrazia. Così, mentre in entrambi i Paesi vengono chiuse diverse associazioni islamiste, in Austria ci si prepara a introdurre il reato di “islam politico” in modo da poter intervenire contro “coloro che non sono terroristi, ma creano loro il terreno fertile”, come già esposto da Kurz.
Le forze di sicurezza austriache hanno inoltre dato il via all’operazione “Ramses” contro associazioni indicate come legate a gruppi terroristici quali Hamas ed i Fratelli Musulmani. Tutte misure ovviamente bollate dal presidente turco Erdogan come “razziste e islamofobe”; nulla di sorprendente visto che è proprio Erdogan oggi la massima espressione politica dell’islamismo filo-Fratelli, mentre la Turchia è diventata il più grande Paese esportatore di jihadisti del Medio Oriente, con attività in Siria, in Libia e, a detta degli armeni, anche nel Nagorno-Karabakh.
Tornando alla messa al bando dell’islam politico, non si può non convenire con le posizioni prese da Kurz e Macron, per il semplice motivo che l’estremismo (in questo caso l’islamismo) è la componente ideologica che giustifica e supporta il passaggio alla violenza, a quel “terrorismo” che ne è una sua applicazione pratica (è sufficiente leggere gli scritti di Sayyid Qutb per rendersene conto). Attendere dunque che si sconfini nel terrorismo conclamato significa aver perso in partenza perché implica che non si è fatta un’adeguata azione preventiva.
Il concetto forse più rappresentativo dell’islamismo è quello della Sharia, la legge islamica, elemento irrinunciabile per un’ideologia che è ampiamente penetrata in Europa. La Sharia regola obbligatoriamente sia la vita pubblica sia quella privata, inclusa la politica, e prevede restrizioni, pene corporali e persino condanne a morte in caso di omosessualità, per chi decide di lasciare l’Islam per convertirsi a un’altra religione o semplicemente per ateismo. È severamente vietato mettere in discussione o fare satira su tutto ciò che è fondamento di tale ideologia (la decapitazione del docente di educazione civica Samuel Paty ne è un chiaro esempio).
La mancanza di separazione tra politica e religione in ambito islamico è un problema enorme, in quanto è inammissibile che luoghi di culto diventino posti dove viene diffuso l’islamismo, incompatibile con i valori umani fondamentali come la tutela della vita e, delle libertà di pensiero e di espressione.
La religione non può diventare un mezzo utilizzato da certe organizzazioni islamiste per fini chiaramente egemonici sulla diaspora musulmana e le istituzioni hanno il dovere di intervenire. Ben vengano dunque le misure prese da Austria e Francia.
Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.
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