di Daniele Scalea

“Sovranista non è colui che si rifiuta di cedere sovranità, ma di cederla a organismi non controllabili democraticamente“. Sono parole di Marcello Pera, già presidente del Senato, in occasione d’un recente dibattito promosso dal Centro Studi Machiavelli. Il Prof. Pera ricordava come l’UE, elitaria e burocratica, non possa considerarsi gestita in maniera democratica. Ne è esempio recente il caso dello scontro con Polonia e Ungheria sullo Stato di diritto: l’introduzione surrettizia, tramite reinterpretazioni ad hoc, di norme atte a imporre a Polacchi e Ungheresi valori estranei alle loro tradizioni e non graditi. Ma, ricordava Pera, anche il paradosso verificatosi a partire da luglio 2019, allorché quello stesso PD sconfitto in Italia alle elezioni si trovò a dettarci le regole stando in maggioranza all’Europarlamento (paradosso risoltosi rapidamente solo grazie al cambio d’alleanze del M5S che ha riportato il PD al potere anche in Italia).

Le considerazioni di Marcello Pera ci richiamano a quell’intima connessione che lega sovranismo e democrazia. Una connessione negata dai suoi detrattori, che riconducono falsamente il sovranismo a fascismo e nazismo, ma talvolta non messa sufficientemente in risalto nemmeno da commentatori neutrali o persino favorevoli al sovranismo, che maggiormente fanno riferimento a concetti come “Stato nazionale” e “sovranità nazionale” per spiegarlo. Concetti positivi con cui v’è senz’altro attinenza, ma che fanno apparire il sovranismo come un qualcosa di desueto e nostalgico.

Il sovranismo risponde invece a una grande emergenza della nostra epoca: il progressivo declinare della democrazia, in particolare quella di matrice liberale e rappresentativa. Un declino che va di pari passo, non a caso, con quello della cultura occidentale che ne è stata madre e nutrice. Diverse sono le cause e i segnali di ciò:

  • l’esautorazione del Parlamento dalla sua funzione legislativa. Sempre più norme (vincolanti o soft law) sono introdotte nell’ordinamento d’uno Stato come quello italiano sotto forma di direttive dell’Unione Europea, di risoluzioni dell’ONU o del Consiglio d’Europa, di trattati e dichiarazioni internazionali. A ciò s’aggiungono certe correnti “progressiste” della magistratura, che teorizzano e pongono in atto l’idea che il suo potere di “interpretazione” si traduca in uno di legiferazione de facto: ne sono esempi gli assertori americani della living constitution o gli abusi nostrani della “interpretazione costituzionalmente conforme”;
  • il venir meno dell’unità di fondo, valoriale, all’interno delle società occidentali. La logica dell’alternanza, propria delle nostre democrazie, riesce a funzionare laddove ci sia una reciproca accettazione e legittimazione tra le parti; il che, a sua volta, avviene laddove la totalità o stragrande maggioranza dei cittadini sia accomunata almeno nella visione dei fondamentali. Solo così la parte minoritaria non si sente minacciata nei suoi diritti irrinunciabili da quella maggioritaria. La nuova svolta ideologica della Sinistra, che oltre al laicismo anti-cristiano ha abbracciato un neo-comunismo non più operaista ma ancor più rivoluzionario, la allontana dalle tradizioni della civiltà occidentale, che ormai essa ripudia apertamente. Ecco perché Destra e Sinistra si scambiano accuse di “illegittimità” ogni qual volta l’altra assurga al potere. Quadro ulteriormente complicato dall’immigrazione di massa: una società multiculturale, in cui convivono enclavi con usi, costumi e tradizioni agli antipodi, è ancor meno in grado di trovare una condivisione sui diritti fondamentali e le regole inviolabili.
  • le tendenze monopoliste e “l’economicidio” della classe media. Emergono potentati economici sempre più concentrati, spesso più ricchi di intere nazioni, che in nome della “corporate responsibility” abbracciano agende progressiste e intervengono con pesanti ingerenze nella vita politica, censurando o boicottando le voci non allineate. Tali giganti multinazionali, che godono di privilegi fiscali da aristocrazia d’Ancien Regime, sono assieme alle frontiere aperte i principali responsabili dell’annichilimento del ceto medio, da sempre spina dorsale del repubblicanesimo democratico.

A fronte di queste pericolose tendenze esiziali per l’ordine democratico – tendenze, tutte, favorite e vezzeggiate da coloro che più amano definirsi (indegnamente) “i democratici” – tocca ai sovranisti difenderlo. Il sovranismo deve riconsegnare nelle mani dei cittadini l’esclusività del potere legislativo (cosa non incompatibile, si badi, con una necessaria riforma presidenzialista in Italia, che sanerebbe l’attuale esautorazione de facto del Parlamento a opera di esecutivi non votati direttamente dal popolo). In tema d’Europa, non si tratta di perdersi nella diatriba europeismo-euroscetticismo, poiché tra l’Italexit e gli Stati Uniti d’Europa vi sono molte soluzioni intermedie: la battaglia sovranista è, in primis, che ogni istituzione europea sia trasparente e controllabile democraticamente. Il che richiederà un dibattito, aperto e coraggioso, su come riempire il deficit democratico dell’UE con nuovi o riformati ordinamenti e istituzioni.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

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Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.