di Guglielmo Picchi

L’opinione pubblica in Italia è troppo distratta dal Covid-19, dalla prolungata crisi economica e sociale per prestare attenzione a cosa avviene nel Sahel, un tempo area semisconosciuta e solamente da poco diventata di interesse per via dei flussi migratori che hanno investito il nostro Paese e l’Europa.

Proprio in questi giorni il Sahel è tornato alla ribalta per la notizia di un imminente invio di militari italiani nell’ambito della Task Force Takuba a guida francese, schierata nella regione di Liptako al confine tra Niger, Mali e Burkina Faso.

Per comprendere però perché l’Italia partecipi alla Task Force Takuba e quale sia la più ampia strategia italiana nell’area è necessario approfondire il contesto complessivo in cui si innesta.

Il Sahel, dall’arabo Sahil, “bordo del deserto”, è una fascia di territorio dell’Africa subsahariana, estesa tra il Deserto del Sahara a nord, la savana del Sudan a sud, l’Oceano Atlantico a ovest e il Mar Rosso a est. Anche se geograficamente comprende Gambia, Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, il sud dell’Algeria, il Niger, la estrema parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan, dell’Etiopia e l’Eritrea, politicamente il Sahel è meglio noto per l’iniziativa (sponsorizzata dalla Francia) G5 Sahel: la coalizione, composta da Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger, istituita il 16 febbraio 2014 a Nouakchott in Mauritania con la finalità di contemperare sviluppo economico e sicurezza e far fronte all’insurrezione jihadista in Africa occidentale, combattendo i vari gruppi ribelli e islamisti (tra cui Al Qaida in Islamic Maghreb, Boko Haram, MUJWA o Al-Mourabitoun), che rappresentavano una minaccia diretta alla sicurezza europea sia per i flussi migratori sia per attacchi terroristici diretti.

È una regione difficile, dove da sempre la Francia è presente e combatte con migliaia di soldati che ogni anno vengono coinvolti nella guerra al terrorismo africano, oltre che nella difficilissima partita del controllo di Paesi dai confini sbiaditi e con governi deboli. I francesi non sono lì a fare cooperazione internazionale ma a difendere i loro interessi strategici, dal controllo delle rotte migratorie alle miniere di uranio del colosso Areva fino al contrasto al terrorismo islamico e al mantenimento di una zona di influenza post-coloniale.

Per proteggere i propri interessi la Francia lanciò il 1° agosto 2014 l’operazione militare Barkhane contro i gruppi islamisti, con una forza di circa 5000 soldati con base a N’Djamena, capitale del Ciad, che collaborano con le forze armate del G5 Sahel. L’operazione ottenne l’appoggio dell’Unione Africana e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che all’unanimità la approvò. Barkhane è il proseguimento dell’operazione Serval con cui la Francia era intervenuta nel Mali nel 2013 riuscendo a riconquistare la parte nord del Paese dalle truppe islamiche.

La finalità di Barkhane è quella di aiutare e sostenere i governi dei Paesi del Sahel a mantenere il controllo dei propri territori e prevenire il formarsi di zone franche in cui gruppi radicali islamici possano crescere e svilupparsi indisturbati e, magari, pianificare operazioni in Francia e in Europa. Barkhane attualmente conta circa 5.000 unità di personale militare, 7 caccia, 22 elicotteri, 290 mezzi blindati pensati e 240 mezzi blindati leggeri, impegnati in attività di training e mentoring a favore dei Paesi del G5 Sahel, nonché in operazioni di pattugliamento e contro-terrorismo.

La Francia ha cercato da anni di coinvolgere gli alleati in Europa e gli USA, senza grande successo, ottenendo al massimo il coinvolgimento delle forze speciali statunitensi e britanniche. Gli sforzi francesi hanno trovato finalmente una risposta con il lancio della Task Force Takuba, ossia una missione europea sempre a guida francese e inquadrata nella più ampia operazione Barkhane. Task Force Takuba ha lo scopo di addestrare le truppe di Mali, Niger e Burkina Faso nella regione di confine di Liptako, dando così un sostegno alle forze francesi stanziate nella regione. Infatti, il 27 marzo 2020 i governi di Belgio, Cechia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania Olanda, Norvegia, Olanda, Portogallo, Svezia e Regno Unito hanno emesso una dichiarazione congiunta per sostenere la creazione della Task Force Takuba. Concretamente hanno già contribuito con l’invio delle proprie forze speciali Paesi come Estonia, Repubblica Ceca e Svezia.

L’Italia aveva aderito da subito e la partecipazione a Task Force Takuba era già stata approvata, in realtà, nella primavera del 2020 con la proroga missioni che prevedeva il dispiegamento di circa 200 uomini delle forze speciali, 20 mezzi terrestri e 8 velivoli, ma non era finora passata alla fase operativa. Adesso ci siamo: i militari italiani dovrebbero partire nella seconda settimana di marzo. Lo confermano fonti francesi e dal Sahel è appena rientrato un piccolo contingente incaricato di ispezionare l’area di Liptako. La ricognizione sembra abbia avuto successo e così, tra un mese circa, dovrebbe partire l’unità italiana che andrà a unirsi alle altre forze europee sotto il comando di Parigi. E non sarà una missione di solo addestramento. L’attività prevede anche quella di accompagnare le forze locali direttamente sul campo, dove gli scontri sono all’ordine del giorno.

Da ricordare come il vertice dell’alleanza militare del G5 Sahel si sia tenuto il 15 e il 16 febbraio a N’Djamena, capitale del Ciad. In tale occasione la Francia, per bocca di Emmanuel Macron, ha escluso il ritiro immediato delle truppe francesi dalla regione del Sahel, per consolidare le numerose vittorie contro i jihadisti. Di fatto, con l’operazione Bourrasque, effettuata tra il 28 settembre e il primo novembre 2020, le forze militari francesi e del G5 Sahel sono riuscite a bloccare le catene di approvvigionamento dei jihadisti, indebolendoli. Inoltre, secondo “Africa News”, le forze francesi hanno ucciso il leader di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), Abdelmalek Droukdel, così come un capo militare del Gruppo Jihadista di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (JSIM), affiliato ad al-Qaeda.

Se questo dunque è il contesto complessivo in cui si inquadra la partecipazione italiana a Task Force Takuba, rimane la domanda di fondo da quale siamo partiti, ossia: quali sono le finalità della strategia italiana nel Sahel e quale la coerenza a quest’ultima dei nostri sforzi diplomatici, politici e militari, tra cui la partecipazione a Task Force Takuba?

Sebbene la politica o la diplomazia non abbiano mai propriamente enunciato una dottrina italiana per il Sahel (e tanto meno per l’Africa), è evidente che il notevole attivismo italiano nell’area abbia un impatto ben aldilà di quello perseguito tramite il tradizionale intervento della cooperazione allo sviluppo, che si prefigge la lotta alla povertà e il perseguimento degli obbiettivi di sviluppo del millennio (l’Agenda 2030).

Il cardine della nostra strategia dovrebbe essere quello di favorire il rafforzamento degli Stati saheliani dal punto di vista economico, istituzionale e militare, sia per limitare i flussi migratori che li attraversano dall’Africa orientale e occidentale e proseguono per la Libia e l’Italia, sia per prevenire la formazione di aree franche in cui possa proliferare l’estremismo islamista. Infine, la nostra strategia nel Sahel deve aumentare l’influenza economica e politica italiana, in un’area tradizionalmente “francese” e in coerenza con le politiche Italia-Africa che hanno da sempre al proprio centro le attività petrolifere dell’Eni – il principale operatore energetico del continente.

Dal punto di vista della cooperazione internazionale, non abbiamo ancora un allineamento con la nuova strategia del Sahel: Burkina Faso e Niger sono considerati prioritari per i nostri interventi mentre Ciad, Mauritania e Mali sono ancora Paesi d’intervento secondario. A Ouagadougou abbiamo l’unica sede dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, da cui segue anche il Niger. L’Italia opera sia direttamente, attraverso fondi propri, sia attraverso il Fondo fiduciario per l’Africa, oltre ad altri strumenti multilaterali in sede Ue.

Se dal punto di vista militare l’Italia in Africa c’è da molto tempo, da poco è presente nel Sahel. La presenza in Libia è coerente con la nostra strategia e ci sono ben 400 militari italiani impegnati nella missione bilaterale Italia-Libia di assistenza e supporto. La missione è partita il 1 gennaio 2018 per sostenere il Governo di unità nazionale libico, ma adesso si trova nel bel mezzo di una partita geopolitica che vede la presenza dei turchi in Tripolitania a sostegno del nuovo premier designato libico Abdul Hamid Dbeibah e dei russi in Cirenaica che sostengono il generale Haftar.

Ma c’è anche la Somalia, dove 148 uomini partecipano invece ai programmi europei di addestramento Eutm e Eucap. In Gibuti, invece, la Base Militare Italiana di Supporto (BMIS) impiega 117 militari: è stata realizzata in un’area che è crocevia strategico per le linee di comunicazione marittime che dal Mediterraneo sono dirette, attraverso il Canale di Suez, verso il Golfo Persico, il Sud Est asiatico, il Sudafrica e viceversa. Ci sono, poi, i 75 soldati italiani in Egitto, con la Multinational Force and Observers per preservare la pace con Israele. L’ultima missione ad essere partita è quella del marzo 2019 in Tunisia, per la costituzione di tre comandi regionali per la gestione delle attività di controllo del territorio. Quanto alla presenza diretta ricordiamo la partecipazione a tre missioni della UE (Eutm Mali, nata nel 2013, Eucap Mali e Eucap Niger) e quella ONU Minusma. Molto più importante la missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger, MISIN (con area geografica di intervento allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin), nella regione di Agadez, con un massimo di 295 uomini, per contrastare i traffici illeciti e le minacce alla sicurezza. Task Force Takuba quindi si aggiunge a cinque missioni nell’area.

Dal punto di vista diplomatico lo sforzo italiano è più debole e ha un limite strutturale in Africa, potendo contare solo su 22 ambasciate (ben meno di altri Paesi europei nostri competitor e di nuovi attori come Turchia e Cina), con l’aggiunta di quelle in Niger nel 2017 e in Burkina Faso nel 2018. Rimangono ancora senza ambasciate Mali e Ciad, ma al recente vertice del G5 Sahel il ministro degli esteri Luigi Di Maio ha confermato che l’apertura delle due sedi diplomatiche sarebbe imminente. Nel 2018 la Farnesina, confermando l’interesse per l’area, ha nominato anche un inviato speciale per il Sahel, l’ambasciatore Bruno Archi, diplomatico di grandissima levatura ed esperienza che ha dato un contributo alla nostra azione diplomatica.

Prima del Covid-19, dal punto di vista politico, vi erano state visite di alto profilo nell’area. come quella del premier Giuseppe Conte in Niger e Ciad, della ministra della Difesa Elisabetta Trenta in Niger, della vice-ministra degli Esteri Emanuela Del Re in Niger, Mali e Burkina Faso, ed erano stati firmati numerosi trattati di cooperazione militare e di sicurezza. Nell’ambito della presidenza di turno del G20, l’Italia continuerà l’iniziativa con una sessione, dedicata nello specifico al continente africano, durante la ministeriale Esteri prevista per il 29 giugno. Inoltre, il 21 maggio, a Roma si terrà anche il Global Health Summit, in cui i Paesi di tutto il mondo discuteranno di come migliorare la lotta alla pandemia. Infine, il 7-8 ottobre si svolgerà la terza edizione della Conferenza Italia-Africa, sempre nella capitale italiana. L’iniziativa nel 2021 sarà dedicata ai temi climatici, proprio alla luce della co-presidenza italiana della Cop26.

In conclusione possiamo affermare che la partecipazione italiana alla Task Force Takuba ben si inquadri in una strategia coerente con il raggiungimento dei nostri obbiettivi, anche se non ancora consapevole e completamente allineata in tutte le componenti. Non sarà certo una missione facile dal punto di vista operativo. L’Italia sconta ancora una mancanza di esperienza nella regione e una limitata conoscenza del terreno, degli attori e delle dinamiche. La minaccia che i militari italiani si troveranno di fronte è fortemente motivata, organizzata, ben equipaggiata, con una grande conoscenza del territorio e pronta ad usare tecniche di guerriglia e terrorismo. Per contro, i nostri alleati sono eserciti regolari mal pagati, poco addestrati e scarsamente motivati. Rimane la domanda su quanto tutto ciò sia compreso dalla politica, dagli addetti ai lavori, ma soprattutto a conoscenza dell’opinione pubblica.

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Direttore per le Relazioni internazionali del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Deputato nelle legislature XV, XVI, XVII, XVIII e Sottosegretario agli Affari Esteri durante il Governo Conte I. Laureato in Economia (Università di Firenze), Master in Business Administration (Università Bocconi), dirigente di azienda bancaria.

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