di Daniele Scalea

Oggi più che mai è necessario, imperativo ribadire la scelta di campo: a fianco dei ristoratori, dei baristi, degli ambulanti, dei negozianti, di tutte le categorie di lavoratori, imprenditori e produttori che contestano le politiche di chiusura. E al fianco, ovviamente, di tutti i cittadini che, pur non essendone direttamente danneggiati dal punto di vista economico, sono contrari al lockdown perché gelosi delle loro libertà fondamentali.

Avevamo chiesto discontinuità al Governo Draghi ma, malgrado gli sforzi della Lega e altri settori della maggioranza, complice la permanenza di Roberto Speranza alla Salute, tutto sembra muoversi ancora in continuità con la sciagurata linea Conte. Se quello chiudeva a Natale per riabbracciarsi a Pasqua, Draghi e Speranza chiudono a Pasqua per riabbracciarsi in estate. Stavolta sarà vero? Siamo davvero all’ultimo miglio o ci troviamo ancora immersi in quell’estenuante alternarsi di chiusure e allentamenti da cui mettemmo in guardia più di un anno fa, quando i più ancora si trastullavano sognando la “vittoria” sul virus dopo soli “14 giorni per abbassare la curva”?

Dio lo sa. Noi comuni mortali sappiamo, invece, che la bomba sociale è ormai pienamente innescata. Lo si prevedeva, anche questo, un anno fa: ossia che la scelta di puntare tutto sul lockdown avrebbe portato a “gravissime ripercussioni psico-fisiche ed economiche sulle popolazioni interessate, potenzialmente peggiori anche della COVID-19”. Oggi i dati sulla perdita di reddito, sul calo dell’occupazione, sui fallimenti lo confermano.

L’Italia più di chiunque altro in Europa (e l’Europa più di qualsiasi altro continente nel mondo) ha scelto d’imbarcarsi nelle rovinose politiche di lockdown. Lo ha fatto preda d’una crisi isterica d’emotività, calpestando la dignità e la libertà anche di chi non era caduto nel panico perché, violando uno dei princìpi cardine della democrazia, la maggioranza ammalatasi di paura ha imposto alla minoranza di rinunciare a ogni sacrosanto diritto, per seguirla nella folle ricerca del “rischio zero” (spoiler: non esiste).

A essere violato è stato anche un secondo principio cardine della democrazia: la non discriminazione tra i suoi cittadini. Compreso che, a dispetto d’ogni umano delirio d’onnipotenza, l’epidemia avrebbe esatto dei sacrifici, i governanti si sono limitati a scegliere le vittime. Non sorprendentemente, un governo “progressista” ha deciso di scaricare il costo economico della crisi sanitaria su quelle categorie estranee al proprio blocco sociale: piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, commercianti. Mentre i dipendenti pubblici, spesso lavorando da casa, hanno continuato a ricevere uno stipendio sicuro, vedendoselo persino aumentato di recente, altri sono stati costretti per decreto a non lavorare e non guadagnare. Bonus, ristori? Qualche mancetta poco più che figurativa. Milioni di persone vedono fallire le attività faticosamente costruite, svanire i risparmi d’una vita. Nelle metropolitane i cartelloni pubblicitari più frequenti sono quelli di società che promettono di farti sfuggire dalla morsa esiziale dei debiti. In tanti si sono già impiccati, per la disperazione. Altri, finalmente, hanno deciso di ribellarsi.

Vedendo scendere in piazza il “popolo delle partite Iva”, i commentatori della sinistra globalista si sono subito prodigati nell’esprimere disprezzo e derisione. Incuranti che nelle stesse ore fosse divulgato uno studio che confermava l’ovvio – ossia che contagiarsi all’aria aperta è molto raro – certo giornalistume guardava al dito (qualche mascherina di troppo abbassata) e ignorava la luna (il fallimento delle vite di persone innocenti). Piccoli tafferugli sono stati subito presi a pretesto per “ferme” condanne morali – loro che, sempre, avevano condonato gli “eccessi” dei centri sociali contro polizia e vetrine. Loro, gli stessi che rivendicavano il diritto di Carola Rackete a speronare i finanzieri che le intimavano l’alt perché mossa da “superiori necessità umanitarie” – loro, non riescono a cogliere come la necessità di sfamare sé stessi e la propria famiglia sia dieci, cento, mille volte superiore all’arbitrio d’uno Stato che ti condanna, da innocente, alla lenta morte per inedia.

E come dimenticare Michele Serra che, dalle pagine di “Repubblica”, poche settimane fa fustigava la pretesa “proterva e sciocca” di quei lavoratori ad essere risarciti dallo Stato per un danno provocato dallo Stato? Perché, verga la penna tanto amata dai progressisti, nella vita esiste la “sfiga” ed essa non è colpa di nessuno. Le stesse penne, gli stessi lettori, che ci risponderebbero se, di fronte alle persone che da ogni parte del mondo approdano clandestinamente sulle nostre coste, reagissimo allo stesso modo, dicendo che la loro “sfiga” non ci riguarda? Ma si indignerebbero, ovviamente. Perché a loro sono cari i derelitti lontani, ch’essi possono vedere solo in tv, mentre gli dà terribilmente noia il prossimo, colui, appunto, che sta loro vicino, che potrebbero toccare con mano (se non fossero troppo schifati per farlo dalla gente che lavora e dunque è “gente sudata” – cit. Gianrico Carofiglio).

Quello in corso non è solo un drammatico episodio di follia collettiva. Non è solo l’istinto suicida dell’Occidente, la voglia collettiva di cupio dissolvi – già palese nella denatalità o nella cultura auto-razzista – che trova applicazione pure nella risposta a una crisi sanitaria. C’è del metodo in questa follia, e lo si trova nel lucido economicidio della classe media autonoma e imprenditoriale. Se mai il lockdown avrà fine e davvero si tornerà alla normalità (quella vera, non la “nuova normalità”), anche le attività che saranno sopravvissute non avranno vita facile, perché nel frattempo saranno cambiate le abitudini dei consumatori. I clienti tenderanno a rimanere ancorati ai fornitori e alle modalità di consumo che hanno interiorizzato in quest’anno e passa: anche quando i negozi saranno aperti rimarranno clienti di Amazon, anche quando si potrà cenare al ristorante ordineranno su JustEat. Un trionfo per quell’alleanza tra ideologia progressista e grandi potentati economici che sta imponendosi sui popoli. Non è un inconveniente: è la logica conseguenza, forse voluta, forse solo inconsciamente cercata, di certo trovata da questo connubio multinazionali + progressisti.

Lo testimonia l’assoluta mancanza d’empatia verso le partite Iva in difficoltà: la Sinistra odierna sta vivendo il proprio momento “kulaki“. I kulaki erano, nell’Impero russo, i piccoli proprietari terrieri, la piccola borghesia contadina. Quando i comunisti presero il potere individuarono immediatamente in loro il nemico di classe. Si lanciò la campagna di “dekulakizzazione”: furono requisiti terre e bestiame, alzate le tasse a livelli insostenibili. Chi resisteva fu ucciso o deportato. Chi si arrendeva, finiva alla mercé dello Stato nelle aziende agricole collettivizzate. Stavolta non abbiamo, per fortuna, né i gulag né le esecuzioni sommarie; resta però, purtroppo, lo scenario di cancellazione d’una classe sociale.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

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Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.