di Giovanni Giacalone

Un islamista irrompe in casa di una vicina ebrea, la massacra di botte e la butta dal balcone; la povera donna muore sul colpo, ma il giudice stabilisce che l’assassino non può essere processato perché aveva fumato la marijuana ed era quindi incapace di intendere e volere. Sembra una totale follia e, invece, è realmente accaduto in Francia la scorsa settimana, quando la Corte di Cassazione ha emesso tale sentenza nei confronti dell’immigrato maliano Kobili Traore che, il 4 aprile 2017, uccideva in maniera tanto orrenda la 65enne Sarah Attal Halimi, professoressa in pensione da tempo perseguitata, insultata e minacciata dal killer perché ebrea. La donna aveva più volte denunciato la cosa alle autorità, ma senza alcuna conseguenza.

Traore, spacciatore ben conosciuto nella zona nonché consumatore delle sostanze che vendeva, durante l’aggressione aveva gridato “Allahu akbar”, recitato versetti del Corano, proferito esclamazioni antisemite e infine dichiarato di “aver ucciso Satana”. L’assassino, per poter accedere all’appartamento della Halimi, era prima passato per quello vicino di un’altra famiglia, che si era barricata in una stanza ed aveva allertato la polizia. La stessa famiglia, oltre a confermare i deliri islamisti dell’uomo, aveva anche dichiarato che Traore si era messo a pregare dopo aver buttato la vittima dal balcone.

Inizialmente inquirenti e media avevano storto il naso nei confronti del movente islamista/antisemita, puntando a un “semplice” omicidio volontario. In seguito l’esecutivo francese ne aveva riconosciuto la motivazione ideologica, ma poco dopo un tribunale francese aveva deciso che Traore non poteva essere processato perché sotto effetto di sostanze: il killer era quindi inviato in una struttura psichiatrica. La beffa finale è di pochi giorni fa, con la decisione definitiva della Cassazione. L’assassino non sconterà neanche un giorno di galera perché aveva fumato.

Peccato che la dipendenza da stupefacenti non rientri nello schema delle patologie neuropsichiatriche (art 122/1 cp) e il killer non poteva non essere al corrente degli effetti degli stupefacenti. Seguendo la non-logica della magistratura francese, è sufficiente farsi una canna per poter commettere un omicidio e farla franca finendo in psichiatria: qualcosa di assurdo. Il consumo di stupefacenti dovrebbe essere semmai un’aggravante, ma la magistratura francese evidentemente la pensa in maniera opposta. In questo caso è inoltre palesemente presente la motivazione ideologica di stampo islamista ed antisemita, che da subito si è cercato di occultare.

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Una sentenza che puzza di ideologico e un precedente pericolosissimo, visto che verdetti di questo tipo non fanno altro che incoraggiare ulteriori aggressioni di stampo antisemita: infatti, sarà sufficiente aver fumato marijuana o hashish prima dell’attacco per farla franca e ora i terroristi lo sanno. Nella mattinata di lunedì il presidente francese Emmanuel Macron ha attaccato la decisione della magistratura e reso noto che farà in modo che tali leggi vengano cambiate.

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Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.