di Tamas Fricz
L’Unione Europea è in crisi e ad un bivio. Forse proprio per questo l’élite di Bruxelles ha deciso di tenere una serie di conferenze sul futuro dell’Unione nel corso del 2021. La domanda è: verso dove si va? Nell’esplorare le possibili alternative per il futuro, voglio tornare alle basi e sottolineare subito che l’idea di tornare allo spirito dei padri fondatori dell’Unione, divenuto quasi un luogo comune oggi, è fondamentalmente sbagliata da una prospettiva nazionale e sovranista.
Il fatto è che i cosiddetti padri fondatori – con enfasi diverse – hanno generalmente concepito la futura Comunità Europea come una federazione federale e sovranazionale. Al contrario, noi sovranisti nazionali e conservatori immaginiamo l’Unione come una libera federazione di nazioni sovrane. Se affermassimo che dovremmo tornare e seguire i Padri Fondatori, staremmo parlando contro noi stessi. Quindi suggerisco di allontanarci da tale idea che ci sta portando fuori strada.
Vorrei sostenere la mia affermazione con alcune citazioni. Robert Schuman è considerato il padre fondatore più importante della Comunità Europea e del Mercato Comune, se non altro perché fu il ministro degli Esteri francese che, il 9 maggio 1950, avviò la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), che può essere considerata il primo passo verso l’integrazione europea. Nato in Lorena, Schuman, un pio politico cattolico con identità sia francese sia tedesca (cinicamente chiamato “Boche” da Charles de Gaulle), fu una figura chiave nel teorizzare l’integrazione europea e per molti anni coltivò la visione di un’unità che avrebbe superato le divisioni nazionali.
Bisogna aggiungere che aveva due aiutanti molto importanti in questo viaggio. Uno era il segretario di Stato americano Dean Acheson, che esortava il governo francese a fare qualcosa per l’incorporazione della Germania e l’unificazione dei paesi dell’Europa (occidentale): probabilmente è superfluo dire quanto peso avesse la voce degli Usa, trionfatori della recente guerra, sui leader degli Stati continentali. L’altra persona era il cosmopolita, già mercante e banchiere, Jean Monnet, che, come una sorta di braccio destro e consigliere di Schuman, aveva fin dall’inizio previsto uno Stato unitario europeo, uno Stato federale sovranazionale; lo aveva, tuttavia, previsto in una forma molto più rapida e radicale di Schuman. Il piano CECA non fu redatto da Schuman ma da Monnet, e Schuman lo approvò senza alcun cambiamento significativo: quindi la forza trainante fu in realtà il radicalmente globalista Monnet.
Ma scopriamolo: Cosa pensava il primo padre fondatore sul futuro dell’Europa? Conosciamo di Schuman quel detto che proviene dalla sua pia e profondamente impegnata spiritualità cattolica: “L’Europa o sarà cristiana o non sarà”. Questa è forse una verità più importante oggi che ai suoi tempi. Meno citato è un altro detto, anch’esso senza tempo e attuale, cioè: “La democrazia sarà cristiana o non sarà”. È una frase che ha molto significato in questi tempi di “democrazia liberale” impazzita. Possiamo identificarci al 100% con entrambe le frasi, ma ciò non significa che possiamo prendere una posizione simile sulla visione concreta dell’integrazione europea che aveva Schuman. Prima di tutto, cosa diceva esattamente la dichiarazione del 9 maggio, che Schuman presentò al governo francese e al pubblico europeo? Essa recitava:
L’unificazione della produzione di carbone e acciaio, come prima tappa della federazione europea, assicurerà direttamente la creazione di una base comune per lo sviluppo economico e porterà un cambiamento nella regioni che sono state a lungo messe al servizio della produzione dei mezzi di guerra. Questa proposta getterà le prime basi tangibili per una federazione europea, essenziale per il mantenimento della pace, attraverso l’unificazione della produzione di base e l’istituzione di un’Alta Autorità, le cui decisioni uniranno Francia e Germania e i Paesi ad essi associati.
Va notato qui che il primo presidente dell’Alta Autorità CECA, istituita nel 1952, non era altri che Jean Monnet stesso, il quale, da federalista convinto e globalista, non ha mai nascosto di considerare l’Alta Autorità (predecessore dell’attuale Commissione) come un governo federale sovranazionale. Max Kohnstamm, segretario generale dell’Alta Autorità e compagno d’armi di Monnet, lo disse senza mezzi termini: “Uno Stato mondiale deve essere creato abolendo le nazioni”.
Ma torniamo un po’ indietro e guardiamo a ciò di cui Schuman parlò alla Conferenza degli Ambasciatori di Parigi del 2 marzo 1951. In quell’occasione disse che la frammentazione dell’Europa era diventata obsoleta, inutile, del tutto assurda. In un mondo di blocchi, l’Europa doveva unirsi. Aggiungeva: “Abbiamo bisogno di una visione comune della futura polis europea, una soluzione finale che ho costantemente in mente”. La visione è chiara, inequivocabile.
L’idea di Schuman era condivisa dalla parte più interessata, rappresentata dal cancelliere cristiano democratico tedesco Konrad Adenauer (1949-1963), che la ricevette con grande entusiasmo e la condivise con lui in una conversazione personale. A quel tempo, dopo la grave sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, la Germania aveva un interesse vitale nel potersi riunire all’Europa nel quadro dell’integrazione continentale e, in questo modo, rendersi di nuovo presentabile agli altri popoli. Per Adenauer, tale nobile obiettivo poteva essere raggiunto attraverso la resa parziale o completa della sovranità tedesca, e già nel gennaio 1950 propose di mettere la produzione industriale della regione della Saar sotto la supervisione internazionale. Nel marzo di quell’anno arrivò persino a proporre audacemente una piena unione (!) tra Germania e Francia.
Un altro punto – che non approfondirò ora – è che negli anni ’50 il grande piano, la grande visione Monnet-Schuman, fu distrutta dal risorgere dei desideri di sovranità degli Stati membri; lo Stato federale non fu attuato allora, ma emersero una linea di faglia tra federalisti e sovranisti all’interno dell’Unione, un confronto che continua ancora oggi. Quanto mi premeva era però solo mostrare che la soluzione non si trovi nelle opinioni dei padri fondatori dell’Unione Europea: esse sono piuttosto la radice del problema.
Anche all’interno del cristianesimo c’è una linea di faglia tra globalismo e patriottismo, che possiamo scoprire, per esempio, anche a livello interno. Non si tratta di un problema, perché può essere affrontato in uno spirito di tolleranza cristiana: le opinioni di Schuman sulla fede e sul ruolo del cristianesimo in Europa sono eterne, ma le sue idee politico-istituzionali-costituzionali sono fondamentalmente sbagliate, se viste da una prospettiva sovranista e patriottica. È necessario un approccio sfumato.
Per riassumere: le cause dell’attuale crisi dell’Unione risiedono nelle sue radici. Questo porta alla conclusione che, lasciandocele alle spalle, dovremmo essere in grado di ottenere un inizio completamente nuovo e creare dal basso una federazione di Stati europei sovrani. In altre parole, non si tratta di rattoppare il vecchio, ma di forgiare una nuova alleanza. E mi si permetta di concludere dicendo che l’Unione o sarà un’unione economica e commerciale di Stati sovrani o non sarà.
(L’articolo è originariamente apparso in lingua ungherese su “Magyar Nemzet“)
Politologo, consigliere scientifico del Centro Ungherese per i Diritti Fondamentali.
In realtà, anche se nessuno lo dice apertamente, tutti i paesi membri sono sovranisti, cioè tutelano ufficialmente o indirettamente i propri interessi. Solo noi tendiamo a delegare un po’ troppo alle istituzioni europee, senza tra l’altro pensare a dotarle di nostre risorse qualificate per tutelarci. Se facessimo più efficacemente i nostri interessi già avremmo realizzato una situazione più favorevole, anche per molti altri stati membri che si aspettano da noi un coinvolgimento più incisivo e concreto. Il passo verso una (con)federazione di stati sovrani nella sostanza non è quindi così tanto impensabile nè irrealizzabile.
Unica perplessità: l’Unione deve perseguire le ragioni di fondo per cui si costituisce, tra queste la sicurezza e difesa dei propri stati membri e relativi interessi vitali. Solo così diventa un attore internazionale credibile e di conseguenza ottiene consenso solido e duraturo da parte dei suoi membri. Questo non sarebbe di ostacolo alla cooperazione euro-atlantica, che anzi ne verrebbe rinforzata. Limitare alle sole dimensioni economico-commerciali si rischia di rimanere invischiati nel circolo vizioso che ci affligge oggi.