di Nathan Greppi

Qualche giorno prima delle discussioni in merito all’intervento di Fedez o alle battute del duo comico Pio & Amedeo, un’altra polemica, lontano dagli studi televisivi, toccava la cultura italiana, nella fattispecie il mondo del fumetto: il disegnatore e regista Gipi (nome d’arte di Gian Alfonso Pacinotti) ha visto una sua vignetta, pubblicata su “Instagram” il 22 aprile, oscurata dietro l’avvertenza “Contenuti sensibili”. Siccome è ancora possibile (per ora) cliccare sul post per vederne il contenuto, si appura che era una storia a strisce intitolata Il Commissario Moderno in ‘finalmente un caso semplice’.

 

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Un post condiviso da GIPI Gianni Pacinotti (@gipigianni)

La trama è la seguente: un commissario fa entrare nel suo ufficio, accompagnata da un agente, una donna di nome Marisa, che dice di essere stata aggredita da Andrea. Il commissario esprime il suo “schifo” per Andrea, si vergogna di essere uomo come lui e dice ai suoi di arrestarlo subito. “Vabbè… se non altro è un caso semplice… Marisa è una donna… le credo” dice il commissario, con una nota dell’autore che sottolinea: “Perché a una donna si deve credere sempre. Non è una cosa tanto difficile da capire!!”. Senonché, poco dopo, nell’ufficio del commissario l’agente di prima fa entrare un’altra donna, che dice di essere stata aggredita da Marisa e di chiamarsi Andrea, lasciando sbigottito il commissario di fronte al paradosso di due donne che si accusano di violenza l’una con l’altra.

Questa storia ha suscitato diverse polemiche, soprattutto perché Gipi è stato accusato di sminuire temi come lo stupro e il femminicidio, in particolare alla luce dei recenti fatti legati alla reazione di Beppe Grillo al processo per stupro a carico del figlio Ciro. Ma il problema va oltre i fatti di cronaca più attuali; sin da quando, nel 2017, è sorto il movimento #MeToo, si è sempre più passati da un estremo all’altro: dalla scarsa considerazione degli abusi sulle donne a uno stato di guerra in cui, se sei accusato, è come se fossi già colpevole.

Per ironia della sorte, stavolta il bersaglio delle polemiche è un autore non certo accusabile di ignoranza o connivenza con l’estrema destra: da anni collaboratore de “La Repubblica”, con il suo romanzo a fumetti Unastoria è stato nel 2014 il primo fumettista candidato al Premio Strega. Inoltre, in passato ha realizzato per il programma “Propaganda Live” di La7 diversi cortometraggi satirici relativi a Salvini e al suo elettorato.

Prima di lui, un altro fumettista italiano di successo, Mattia Labadessa, era stato accusato nel gennaio 2018 di incitamento allo stupro per un post su “Facebook” in cui scriveva che “dovrebbero inventare una app per smartphone che se vedi una ragazza carina in metropolitana e te ne innamori ti dice chi è, quanti anni ha, poi l’addormenta e ti fa fare sesso con lei”. Dato che in questo caso, effettivamente, l’ultima parte era abbastanza inquietante, l’autore si era scusato il giorno dopo e la questione si è chiusa.

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Anche i colleghi fumettisti di Gipi hanno avuto reazioni contrastanti. Sio, per anni il fumettista italiano più seguito sui social, lo ha attaccato duramente su “Twitter”: “La striscia di Gipi sul Commissario Moderno non mi è piaciuta. Statisticamente, le false accuse di violenza sono tra 2% e 7%. Ma parlare di questo è spostare il punto del discorso. Ogni volta che lo si fa, non si stanno ascoltando le vittime”. Di diverso avviso Mario Natangelo, vignettista de “Il Fatto Quotidiano”, che lo ha difeso con una striscia pubblicata sul suo profilo “Facebook”. Mentre Roberto Recchioni, tra gli autori di punta della Bonelli Editore, ha utilizzato un approccio più diplomatico, affermando che “poteva essere da spunto per intavolare un discorso interessante sull’umorismo, sulle priorità, sulla libertà espressiva e sul tempismo, invece è stata solo l’ennesima dimostrazione che i social trasformano qualsiasi discorso in tifo, e quindi «Gipi genio», «Gipi boomer», «voi non capite i fumetti», «voi non capite un cazzo, invece». È un peccato, ma ormai è quasi sempre così. E allora, tanto vale parlare di niente”.

Per difendersi, Gipi ha spiegato di aver ripreso un ragionamento apparso il 21 aprile sul quotidiano “Il Foglio” in merito alle accuse contro Ciro Grillo e al dibattito se credere o meno alla (presunta) vittima: “Alle presunte vittime si dà ascolto, non ragione. Ai presunti colpevoli si dà un processo giusto, in tempi accettabili”. Per una strana coincidenza proprio l’autrice dell’articolo, Simonetta Sciandivasci, nel maggio 2016 aveva affrontato il tema delle censure politicamente corrette nel mondo della satira a fumetti tramite un’intervista a Giuseppe Pollicelli, tra i massimi esperti del settore.

Gipi ha ironizzato sulle polemiche con un’altra striscia, nella quale “minaccia” un interlocutore con cui parla al telefono di mettere un like ai suoi post se non gli darà 1000 euro; come a dire che ad essere associati a lui si rischia di essere considerati dei paria.

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Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate MosaicoCultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).