di Stefano Graziosi

La campagna elettorale per le primarie repubblicane del 2024 è ancora lontana. Tuttavia tra i nomi dei papabili candidati che stanno circolando spicca senza dubbio quello di Ron DeSantis. Ex deputato di stretta osservanza trumpiana, è stato eletto governatore della Florida nel 2018 e risulta al momento una delle figure più popolari all’interno del Partito Repubblicano. Una popolarità dovuta anche al fatto che, per quanto a livello locale, costui si stia sempre più ritagliandosi il ruolo di oppositore delle politiche promosse dall’amministrazione Biden. Non è del resto un caso che, soprattutto negli ultimi mesi, DeSantis abbia siglato una serie di norme molto apprezzate dalle galassie conservatrici (e non limitatamente alla Florida).

A maggio, il governatore ha innanzitutto approvato una legge volta a contrastare la censura delle piattaforme social ai danni degli esponenti politici: un provvedimento che prevede multe salate per i big della Silicon Valley e che dà ai cittadini del cosiddetto Sunshine State la possibilità di intentare causa contro questi colossi. Va da sé che tale norma sia stata fortemente apprezzata dal mondo conservatore americano. Non solo perché la tutela del Primo Emendamento contro lo strapotere dei giganti del web rappresenta già di per sé una storica battaglia del Partito Repubblicano, ma anche a causa del prolungato blocco a cui è stato sottoposto Donald Trump da parte di “Facebook” e “Twitter”.

In secondo luogo, era lo scorso giugno quando il governatore ha dato la propria benedizione a una serie di provvedimenti volti a combattere l’insegnamento della cosiddetta “Critical Race Theory” nelle scuole: si tratta di un altro cavallo di battaglia dei repubblicani e dello stesso Trump. Un cavallo di battaglia che consente a DeSantis di rafforzare il suo ruolo di leadership all’interno del partito.

È del resto anche in questo quadro che va inserito il suo divieto, firmato a maggio, del passaporto vaccinale: una norma che il governatore ha giustificato non solo per tutelare l’economia, ma anche in nome del contrasto a un’idea di autorità statale eccessivamente invadente (altro tema, questo, particolarmente caro ad ampi settori del Partito Repubblicano).  Questo non ha comunque impedito al governatore, lo scorso 21 luglio, di esortare i cittadini del suo Stato a vaccinarsi contro il Covid-19.

Tutto ciò fa comprendere come DeSantis stia evidentemente cercando di assumere progressivamente una caratura di livello nazionale. E non è un mistero che, pur non avendo ancora ufficializzato alcunché, il governatore stia da tempo accarezzando l’idea di una candidatura alla nomination del 2024. Bisogna quindi capire quante possibilità abbia realmente di emergere.

Da una parte, incognite e problemi non sono pochi. Cominciamo col dire che, prima di ogni considerazione presidenziale, DeSantis dovrà affrontare una battaglia per la riconferma a governatore l’anno prossimo (senza poi trascurare il fatto che Trump non abbia ancora sciolto le riserve sul proprio futuro politico). In secondo luogo, si dovrà anche attendere l’esito generale delle elezioni di metà mandato, per capire quale sia lo stato di salute non solo del Partito Repubblicano ma, più nello specifico, del trumpismo. In terzo luogo, va anche ricordato che – a livello storico – gli italoamericani siano spesso stati sfortunati nei loro tentativi di arrivare alla Casa Bianca (si pensi solo a Rudy Giuliani alle primarie repubblicane del 2008, a Chris Christie in occasione di quelle del 2016 o alla corsa nel ticket presidenziale democratico di Geraldine Ferraro nel 1984). Infine, bisogna sottolineare che solitamente i candidati caratterizzati da exploit prematuri di popolarità tendano poi generalmente a sgonfiarsi col passare del tempo.

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Tuttavia, attenzione. Perché, nonostante le oggettive difficoltà, DeSantis ha anche alcune significative frecce al proprio arco. Innanzitutto risulta al momento uno degli esponenti più carismatici del Partito Repubblicano. In secondo luogo, qualora il trumpismo dovesse uscire indenne (o addirittura rafforzato) dalle prossime elezioni di metà mandato, il governatore avrebbe tutte le carte in regola per intestarsi l’eredità politica dell’ex presidente. Tra l’altro, DeSantis si candiderebbe probabilmente con un programma – per così dire – già rodato, proponendo sostanzialmente il “modello Florida” a livello nazionale: una situazione che gli conferirebbe un discreto vantaggio rispetto ad eventuali avversari. Se deciderà davvero di scendere in campo, la sfida per DeSantis sarà principalmente quella di risultare attrattivo a quote trasversali di elettorato, con un occhio soprattutto agli elettori indipendenti. Elettori che, secondo quanto evidenziato da recenti sondaggi di “Gallup” e “Rasmussen“, iniziano a dare segni di fastidio nei confronti del presidente Joe Biden. Ed è quindi proprio a quella platea che il governatore dovrebbe iniziare a rivolgersi con costanza.

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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Filosofia politica (Università Cattolica di Milano) con una tesi su Leo Strauss. Si occupa di politica internazionale collaborando con "La Verità" e "Panorama". Il suo ultimo libro è Trump contro tutti. L'America (e l'Occidente) al bivio (2020), scritto con Daniele Scalea.