di Camilla Trombetti
La vittoria dell’astensionismo
Tempo di ballottaggi e tempo di esami. Una settimana dopo le elezioni amministrative di oltre mille comuni (compresi Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, Trieste) e della Regione Calabria, oltre a due elezioni suppletive per la Camera dei Deputati, il risultato impone un’analisi delle scelte dei cittadini, che hanno eletto un unico grande vincitore: l’astensionismo. Tenendo sempre conto che le elezioni amministrative sono profondamente diverse dalle elezioni politiche, poiché i cittadini sono chiamata a votare per un candidato che guidi la città dove si vive, che proponga e mantenga servizi, programmi e iniziative che migliorino la qualità della vita.
Pertanto, prima di ogni analisi che riguardi i risultati dei singoli partiti, il primo grande dato su cui interrogarsi è il fatto che, a livello nazionale, un cittadino su due non si sia recato a votare, e nei grandi centri urbani (tranne rarissime eccezioni) la percentuale è addirittura sotto il 50%. Che si tratti di indecisi, disincantati, o semplicemente indifferenti alla politica, è una sconfitta per tutti: chi non si reca alle urne neanche per decidere la futura amministrazione della propria città lancia un messaggio che la politica non può ignorare.
Possiamo ipotizzare che i cittadini si sentano distanti anni luce dalle istituzioni e ritengano addirittura inutile andare a votare, semplicemente perché le istituzioni hanno smesso di interessarsi dei problemi quotidiani, concentrandosi su battaglie ideologiche che a nulla servono nella gestione di una città: basti pensare ai tempi di attesa per avere una carta di identità, ai lavori stradali effettuati sempre sotto elezioni che fanno impazzire il traffico, con buona pace anche degli interventi ordinari, quelli che non fanno scalpore e non meritano
un post sui social media. Senza un ritorno alla sussidiarietà, a quella dimensione intermedia tra Stato e cittadino, non si prospetta un grande futuro per il territorio italiano. Ma, d’altro canto, una metà degli elettori ha scelto il futuro del proprio comune.
M5S ormai ancella del PD
Innanzitutto, si registra la débâcle del Movimento 5 stelle, che perde le due amministrazioni uscenti di Roma e Torino, non arrivando neanche ai ballottaggi con gli altri candidati. Le percentuali del Movimento sono in picchiata rispetto a cinque anni fa praticamente ovunque, segno che l’onestà non è bastata per governare, perché era necessaria anche la competenza. Il Movimento, nato come espressione dell’anti-politica, dopo qualche anno di governo ha mostrato di non saper interpretare le istanze di chi voleva un cambiamento rispetto al passato. E chi era insoddisfatto prima, di certo non ha votato nuovamente per i 5 Stelle: ha
infatti scelto il caro vecchio astensionismo, oppure ha optato per partiti cosiddetti “tradizionali”.
In tema di partiti tradizionali, i candidati del Partito Democratico passano il primo turno senza ballottaggio nelle città di Milano, Bologna e Napoli, confermando un asse spostato a sinistra da almeno un decennio in questi contesti urbani. E se Beppe Sala riesce a conseguire il risultato a Milano senza l’appoggio del Movimento 5 Stelle, a Bologna e Napoli l’elezione del sindaco viene raggiunta grazie ad una reminiscenza del governo rosso-giallo. In ogni caso, bentornato bipolarismo tra destra e sinistra; anche perché il Movimento 5 Stelle è ormai il socio di minoranza della Sinistra, e senza quest’ultima non può più sperare di governare.
Come è andata per il Centro-Destra
Roma è invece lo specchio di un cambiamento che si sta realizzando sia all’interno del Centrodestra, sia a livello generale, finora percepito solo nei sondaggi. Con le dovute cautele del caso, poiché le elezioni amministrative riflettono soprattutto situazioni locali (e non nazionali), è sempre più evidente quanto il partito di Giorgia Meloni stia crescendo all’interno della coalizione, rispetto alla Lega e a Forza Italia.
A livello elettorale, bisogna registrare un dato su tutti: nel 2016 il Centrodestra non arrivò nemmeno al ballottaggio, ad oggi è la prima coalizione della città con oltre il 30% dei voti, e va al ballottaggio contro un candidato del Centrosinistra, che totalizza il 27%. Ma, soprattutto, Fratelli d’Italia raggiunge il 17,4% come lista, mentre il PD totalizza il 16,4%, rimanendo indietro di un punto percentuale. Un risultato per nulla scontato, in contrapposizione alla narrativa di sinistra che li vede vittoriosi ovunque.
Volgendo lo sguardo all’interno della coalizione, Forza Italia incassa un ottimo risultato in Calabria – questo è innegabile – tuttavia Fratelli d’Italia aumenta i propri consensi praticamente ovunque, diventando la prima lista della coalizione a livello nazionale. Una crescita costante, avvenuta nel corso degli anni, segno che la coerenza paga nel lungo periodo. La crescita di Fratelli d’Italia si è verificata anche al Nord Italia, storica roccaforte della Lega: a Milano FdI (con il 9,7%) si trova un punto percentuale dietro alla Lega, terza invece Forza Italia. Fratelli d’Italia cresce anche a Bologna (12,6%) e Torino (10,5%), mentre le altre due liste perdono sensibilmente consensi rispetto alle precedenti elezioni. Sebbene Fratelli d’Italia sia diventato il primo partito della coalizione, il Centrodestra ha bisogno di risultati migliori da parte degli alleati per risultare vincente.
Appunti per vincere le prossime elezioni
Analizzando ciò che non ha funzionato, ad esempio, non ha pagato la scelta tardiva dei candidati a sindaco, spesso accompagnata da numerosi disaccordi tra i leader. Non solo sarebbe stata utile una scelta fatta per tempo, ma sarebbe stato quantomeno strategico che la scelta ricadesse su personalità conosciute e ritenute rappresentative della città che si apprestava al voto.
Inoltre, Fratelli d’Italia è l’unico partito di opposizione, mentre Lega e Forza Italia fanno parte del governo Draghi: diventa sempre più difficile conciliare la partecipazione ad una coalizione nelle elezioni amministrative, e al contempo essere così divisi a livello nazionale. Gli elettori hanno quindi premiato chi ha effettuato una scelta priva di ambiguità, magari controcorrente e incompresa all’inizio, che tuttavia definisce una specifica identità all’interno del Centrodestra. Questa è sicuramente un’importante lezione che la coalizione dovrà apprendere in vista del 2022.
Tutto ciò non può e non deve essere considerato un punto di arrivo, poiché i margini di miglioramento sono ampi e il lavoro da fare sui territori è immenso. Bisogna ristabilire la fiducia nelle istituzioni e colmare la distanza tra Stato e cittadini, soprattutto quelli che hanno scelto di non votare: è a questi ultimi che la politica si deve rivolgere, non in chiave anti-sistemica, bensì come reale alternativa a tutti le amministrazioni (soprattutto di sinistra) che si sono susseguite negli anni e che non hanno concluso nulla.
Consulente presso l'Ufficio Studi di Fratelli d'Italia. Esperta di prassi parlamentare, è laureata in Relazioni internazionali (Università Roma Tre) con Master in Parlamento e politiche pubbliche (LUISS).
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