di Giulio Maria Sibona
Berlusconi il federatore
La Democrazia Cristiana impedì per 40 anni – almeno come “male minore” – la vittoria dei comunisti e, più in generale, della Sinistra elle elezioni. Dopo la disfatta dei Popolari fu merito dell’ingegno dell’imprenditore Silvio Berlusconi di prendere tutte le macerie rimaste e coalizzare le Destre – popolare, liberale, missina, ecc. – per riassumere quel ruolo di difesa dei valori comuni. Così nacque la coalizione di Centrodestra, in cui il ruolo di Berlusconi non fu mai messo in discussione, tanto che poté guidarla, tra successi e insuccessi, fino al Governo Monti. Oggi la coalizione è tornata in auge, dopo 10 anni di Sinistra, ma se la trazione allora era moderata o liberale, oggi sembra… nulla!
Come ricordiamo, alla fine dell’ultimo Governo Berlusconi si aprì quella che venne definita la “opa sul Centrodestra”. Siccome Berlusconi sbagliò nella identificazione di qualsiasi possibile successore (il cd. Delfino: Fini si autoeliminò, Alfano mostrò un talento naturale nel perdere voti), la coalizione si trovò essa stessa alla ricerca disperata di un leader capace di recuperarne la guida e darle una identità. Intanto la Sinistra organizzava quasi indisturbata, uno dopo l’altro, i suoi governi sempre più distanti dalle esigenze del Paese e più arroccati nella difesa della posizione di governo faticosamente raggiunta. Nel farlo, conquistava elettori moderati col “rottamatore” Renzi.
Una successione travagliata
Alla fine sono arrivati ben due pretendenti tedofori, i quali però, essendo sostanzialmente equipollenti in termini numerici e spesso sovrapponibili quanto a proposte, non riescono a trovare una soluzione per uscire dall’impasse. Berlusconi, piacesse o meno, riusciva a vincere tutte le campagne elettorali nazionali o, quanto meno, a non perderle (ricordiamo che nel 1996 risultò sconfitto di poco, ma correva senza la Lega Nord: sommando i voti il Centrodestra coalizzato sarebbe stato nuovamente vincitore; nel 2006 l’esito fu determinato da una maggioranza “sospetta” di voti, ecc.). L’attuale coalizione ha avuto un momento florido tra il 2018-2019 (quando tra l’altro si divise in Parlamento) ed ora sembra non assolutamente intenzionata a vincere, quanto a ricercare la massimizzazione dei risultati di ciascuna parte componente. Non che prima ciò non accadesse, ma la differenza nei risultati complessivi si vede.
Troppi errori
In quel biennio 2018-2019 era iniziata una carica di successi ineguagliabili che preoccupò seriamente la Sinistra, perché la Destra si permetteva di vincere in roccaforti rosse e con proposte radicalmente alternative, mettendo cioè in discussione tutti quei presupposti che il Progressismo internazionale pone per la stessa agibilità politica. Poi arrivarono gli scivoloni: non solo l’Emilia-Romagna, dove peccò di superbia nel credere che potesse vincere con la sola spinta della sua immagine crescente. Nelle successive elezioni regionali, nonostante la spinta antagonista al governo più contraddittorio della storia, il giallorosso, si aggiunse la scelta assolutamente infausta di Giorgia Meloni che candidò al governo della Puglia il pugliese meno sopportato.
Certamente alcuni errori sono inevitabili, anche in politica, ma in una guerra di trincea a ogni errore l’avversario avanza di un metro, e il nostro si dà il caso che è già profondamente radicato in qualsiasi stanza del potere ed è solo per demeriti suoi che oggi non ha avuto una ricrescita elettorale. Le ultime elezioni amministrative hanno visto una semplice sfida del Centrodestra a cercare ciascuno di candidare in ogni città un personaggio che potesse far perdere voti all’alleato. La fortuna è che alla fine a vincere è stata l’astensione, che meriterebbe un’altra riflessione lasciata in silenzio.
Trovare una nuova strategia
Per uscire da questo stallo bisogna adottare una strategia. Intanto la definizione di alcuni obiettivi comuni: dove si vuole andare. Si vuole tornare ai programmi del 1994 o si giudica passato quel tempo e si vuole sorpassare Berlusconi? La Lega vincente era quella del Salvini populista. Non possiamo decidere quale linea debba prendere il partito, ma è già abbastanza evidente che quella moderata, ispirata al liberalismo degli anni ’90, non stia suscitando alcun riscontro elettorale. La macchina nazional-populista-sovranista incuteva timore alla Sinistra proprio per la capacità di attrazione dei suoi elettori, quelli delle periferie che un tempo votavano per i “rossi”. Quella “moderata/centrista” fomenta speranza, a sinistra, perché probabilmente farà fatica a conquistare i voti pure nell’elettorato di destra.
Come Lega e FdI possono essere complementari
Senza alcun estremismo, bisogna soltanto ritrovare lo spazio per delle proposte identitarie e differenziate da quelle degli alleati, per non rubarsi a vicenda gli elettori e riuscire a conquistarne di più da dove solitamente non si vota a destra. La Lega potrebbe per esempio tornare a impostarsi su un federalismo nazionale e una narrazione ispirata alla destra americana di Trump, con un certo libertarismo coniugato al patriottismo, lasciando la visione più nazionalista e centralista agli alleati; mentre la coalizione promuove i soliti valori fondanti incentrati sulle tradizioni, la famiglia e il cristianesimo. In ogni caso le guerre intestine fanno perdere tutti.
Insomma: se i partiti trainanti sono due, sono necessarie strategie diverse per obiettivi simili. Siccome FdI raccoglie un elettorato ideologicamente piuttosto definito può spaventare qualche elettore proveniente da altre storie (la capacità di rubare voti a sinistra era proprio ciò che il PD temeva in Salvini). Serve un partito con analoghe proposte – per la famiglia, per la libertà, per le tradizioni, per uno Stato equo e per gli italiani – ma ideologicamente meno connotato o post-ideologico. Questa battaglia non è per i politici, ma per gli italiani, e come diceva qualcuno anni e anni fa, dovremo convincere della bontà e della bellezza delle nostre idee, cosa che un partito populista è più in grado di fare.
La vittoria non è opportunità ma necessità
Quando torneremo al voto saranno dieci anni esatti che, con la sola eccezione gialloverde, il PD è costantemente al governo. La Destra pur non essendo al picco assoluto di consenso del 2019 (quando fu anche oltre il 50%) viaggia poco sotto la maggioranza assoluta. Quella quota eccellente era merito della capacità della Lega populista di attrarre consensi. Oggi il baricentro si è spostato, FdI è stato capace di drenare molti di quelli che si allontanavano dal percorso via via più centrista della Lega e dagli errori comunicativi di Salvini. Tuttavia è assolutamente doveroso notare che i voti finiti da quella parte sono voti già di destra, mentre un’importantissima fetta di voti leghisti è finita semplicemente nell’astensione- Alcuni di questi non potranno mai essere recuperati da un partito orgogliosamente di destra.
Chiaramente ogni partito sceglie la sua linea, ma ricordiamoci che dopo le elezioni del Presidente della Repubblica – dove rischiamo di essere maggioranza ma non contare nulla – di fatto saremo alle porte delle elezioni del Parlamento e non possiamo permetterci alcun errore: bisogna essere forza di maggioranza. Dopo 10 anni di Sinistra (declinata in tutti i possibili aspetti: riformista, liberale ecc), se non è il Paese è la stessa idea di democrazia a richiedere che ci sia una alternanza. Formare un governo potrà essere estremamente difficile, ma non ci si potrà permettere una sconfitta. È necessario riorganizzare tutto lo Stato, i poteri, l’economia, la società. Tutte cose che non si può fare con una coalizione che si lancia dritta contro un muro, come alle elezioni amministrative.
Laureato in Giurisprudenza, specializzato in Diritto agroalimentare quale settore strategico italiano di economia reale. Appassionato di politica, storia, filosofia, spiritualità. Da oltre 10 anni scrive di politica nazionale e internazionale, sulle trasformazioni che il mondo sta vivendo.
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