di Nathan Greppi

In anni recenti si è sempre più accentuato il dibattito sugli effetti del politicamente corretto nelle società occidentali, nonché sulle sue evoluzioni in fenomeni come il pensiero woke e la cancel culture.

In genere molti progressisti tendono a negare o banalizzare la portata di tali fenomeni, ma alla lunga i fatti dimostrano che non vanno sottovalutati. Fino a poco tempo fa, sarebbe stato impensabile che, come è successo in Canada, un progetto di ricerca universitario si sarebbe visto rifiutare fondi statali perché il gruppo di ricercatori non era abbastanza inclusivo nei confronti delle minoranze (e questo nonostante il capo della squadra fosse un indiano). O che una serie animata come “Dragon Ball” sarebbe stata censurata in Spagna e in Argentina poiché accusata di sessismo.

Ma come si è arrivati a tutto questo? Quali sono le radici storiche, sociali e culturali di un fenomeno tanto inquietante? Chi ha provato a dare una risposta è Francesco Erario, noto anche ai lettori di questo sito. Erario ha dedicato al tema il suo primo libro, Woke. La nascita di una nuova ideologia, pubblicato da Idrovolante Edizioni.

Postmodernismo e Scuola di Francoforte
francesco erario woke copertina

La copertina

Soprattutto nei primi capitoli, Erario attinge a piene mani in particolare ad un saggio, La nuova intolleranza, di due autori anglosassoni, Helen Pluckrose e James Lindsay. Come già aveva evidenziato il pensatore francese Pascal Bruckner nel suo Un colpevole quasi perfetto, i due sopra citati fanno notare che i precursori di questi fenomeni non si trovano nei Paesi anglosassoni, bensì in Francia. Qui, a partire dagli anni ’60, filosofi come Foucault, Deleuze e Derrida hanno cercato in sostanza di diffondere l’idea secondo cui non esistono verità oggettive e universali, e che la realtà come la intendiamo sia solo una costruzione sociale da – per l’appunto – decostruire.

In questo contesto, anche il metodo scientifico viene messo in secondo piano, in quanto visto come un approccio culturale qualsiasi. E nel momento in cui non esiste più una conoscenza universalmente valida, si fa strada l’idea che le categorie con cui vediamo il mondo siano il prodotto di una classe privilegiata, che in seguito verrà identificata con il maschio bianco etero.

Un’altra radice culturale dell’ideologia woke risale alla Scuola di Francoforte, in origine di ispirazione marxista e di cui molti esponenti lasciarono la Germania negli anni ‘30 per emigrare negli Stati Uniti dopo l’ascesa del nazismo. Essi elaborarono una teoria critica nei confronti del sapere basato sull’evidenza empirica, in quanto associato alla società borghese e capitalista, arrivando a criticare anche il pensiero illuminista e le basi stesse della civiltà occidentale. Tutte queste teorie sarebbero state fonte d’ispirazione prima per le contestazioni giovanili del ’68 e, in seguito, per i teorici della “giustizia sociale”. Tra l’altro, proprio uno dei maggiori esponenti della Scuola di Francoforte, Herbert Marcuse, fu anche uno dei primi teorici dell’abbattimento dei confini nella sessualità.

Critical Race Theory e white privilege

Uno dei principali movimenti sorti sull’onda di queste correnti di pensiero negli Stati Uniti fu la Critical Race Theory (CRT). Nata negli anni ’70, quasi subentrando al movimento per i diritti civili del decennio precedente, in origine era legata prevalentemente all’ambito giuridico. All’inizio teorizzava che il sistema legale americano continuasse a discriminare i neri in maniera subdola, anche dopo che la segregazione razziale era stata abolita. Da qui si estese pure ad altre categorie, in particolare a ulteriori minoranze etniche e religiose e a donne e omosessuali.

In questo modo, si è arrivati a teorizzare che l’intero sistema legale e il mondo dell’istruzione siano intrinsecamente razzisti nei confronti dei non bianchi. Come hanno scritto testualmente Richard Delgado e Jean Stefancic nel loro libro Critical Race Theory. An Introduction, il fine ultimo di questo movimento è di “mettere in discussione i fondamenti stessi dell’ordine liberale, tra cui la teoria dell’uguaglianza, il ragionamento giuridico, il razionalismo illuminista e i principi neutri del diritto costituzionale”.

Da qui si arriva ad elaborare concetti come il “privilegio bianco” e la “whiteness”, per i quali chi nasce bianco è automaticamente più privilegiato rispetto a chi non lo è, in qualunque contesto, a prescindere dal fatto che sia un miliardario o un membro della classe operaia. Secondo i teorici della CRT, finché continuerà ad esistere questo presunto privilegio dei bianchi, le minoranze continueranno a vivere in un sistema intrinsecamente razzista.

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Le nuove identità di genere

Siccome l’evidenza scientifica non viene più considerata una verità universalmente valida, ciò ha sdoganato tutte quelle teorie che vedono i sessi maschile e femminile come dei costrutti sociali imposti dall’esterno anziché come la realtà biologica. In particolare, la filosofa Judith Butler ha teorizzato che il corpo non è che materia priva di qualunque significato intrinseco, e ciò vale anche per i due sessi. Nonostante queste teorie siano palesemente in contrasto con l’evidenza empirica, esse hanno fatto molto proselitismo dapprima negli ambienti accademici e, in seguito, in altri rami della società.

Sulla portata sovversiva e per certi versi anarchica degli studi di genere, basti riprendere una citazione di Sara Garbagnoli, sociologa italiana che lavora in Francia come ricercatrice sul genere all’Université Paris 8, le cui parole non lasciano spazio a equivoci: “Gli Studi di Genere sono studi sovversivi, portatori di una rivoluzione che tocca le categorie di percezione attraverso cui la Società pensa l’ordine sessuale, le sue divisioni, le sue relazioni”.

Il contesto italiano

Sebbene questa deriva da noi sia ancora indietro rispetto ai Paesi anglosassoni e alla Francia, non mancano i segnali della sua avanzata: basti pensare ai tentativi di introdurre l’asterisco o la schwa nella scrittura, che in alcuni casi ha attecchito anche in istituzioni accademiche e culturali importanti (nonostante qualche resistenza dall’Accademia della Crusca). Tuttavia, sono presenti anche forme di opposizione; ne sono prova la bocciatura del DDL Zan in parlamento o i costanti fallimenti nei tentativi di legalizzare lo Ius Soli.

Da noi le teorie critiche della razza hanno iniziato ad arrivare più tardi anche perché, fino alla fine della Guerra Fredda, in Italia non c’era il multiculturalismo presente negli Stati Uniti. Da noi non arrivavano in massa immigrati dalle ex-colonie come è avvenuto nel Regno Unito e in Francia. In compenso, in Italia si sta facendo sempre più strada lo studio sui crimini commessi dagli italiani ai tempi del colonialismo in Africa e del fascismo. Tuttavia, gli italiani in questi studi vengono tendenzialmente visti come una categoria ambigua: da un lato europei bianchi a tutti gli effetti, dall’altro coloro che emigrarono negli Stati Uniti oltre un secolo fa e furono esclusi per molto tempo (al pari di irlandesi o ebrei) dai privilegi attribuiti alla società WASP (White Anglo-Saxon Protestant).

Conclusioni

In sostanza, il libro di Francesco Erario offre una descrizione esaustiva di come è nata l’ideologia woke e di come si è evoluta nel corso del tempo. Tuttavia, manca la parte finale, ossia cosa si può fare per fermare questa deriva. Verso la fine, anche se l’autore non lo dice chiaramente, leggendo tra le righe emerge quale possa essere la chiave per opporsi: l’industria culturale, che già due pensatori di Francoforte, Adorno e Horkheimer (per non dire di Gramsci), ritenevano fondamentale per prendere il potere. I conservatori potranno contrastare il woke e la cancel culture e riportare il giusto ordine nella società solo se inizieranno ad occuparsi seriamente di questo settore, liberandosi una volta per tutte dell’idea secondo la quale “con la cultura non si mangia”.

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Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate MosaicoCultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).