di Daniele Scalea

Nelle ultime settimane, discutendo della controversia circa le opinioni sull’omosessualità espresse dal Generale Vannacci, mi è capitato che cattolici tradizionalisti le rifiutassero sulla base (comune con la Sinistra) sarebbero troppo dure con gli omosessuali in quanto singoli individui. La posizione classica della Chiesa è stata quella di condannare il peccato (l’atto omosessuale) ma non il peccatore (colui che lo compie). Altri conservatori, più laici, non biasimano né gli atti né gli attori. Concordo con questi ultimi e pure – per quanto apparentemente contraddittorio – con la sostanza di ciò che ha scritto Vannacci. Cercherò di spiegare il perché nei paragrafi che seguono.

Discutere dell’omosessualità

Da una prospettiva laica, non si può condannare l’atto omosessuale in sé. Chi scrive, come la maggior parte degli uomini e delle donne, non ha mai compiuto atti sessuali con persone del suo stesso genere; ma non sono disturbato dal fatto che adulti consenzienti, nella loro vita privata, possano farlo. Tenendo separati religione e politica, non ci interessa il “peccato” (posto che tale sia) privato. È la dimensione pubblica dei fenomeni a preoccuparci.

Quando si affronta in maniera critica la “non eterosessualità” (in epoca di teoria gender è ormai riduttivo e fuori posto parlare di “omosessualità”, sebbene per comodità continueremo di tanto a tanto a usare questo termine), o si viene tacciati di essere “bigotti” od “omofobi”. La completa delegittimazione e spesso criminalizzazione di ogni opinione differente dall’entusiastica approvazione deriva da un equivoco fondamentale: l’idea (erronea) che le persone non eterosessuali e il movimento LGBTQ+ siano la stessa cosa e che, dunque, criticare il secondo corrisponda ad insultare le prime.

“Omosessuali” e “movimento LGBTQ+” non sono la stessa cosa

Va da sé che una persona omosessuale tenderà a simpatizzare per un movimento che si descrive come suo rappresentante, ma esiste una quota di persone non etero che disdegna o apertamente lotta contro il movimento LGBTQ+. Analogamente, il movimento è supportato da moltissime persone che non hanno alcuna pulsione omosessuale.

È quanto accade anche col femminismo: il movimento prende il nome dalle femmine, ma risponde non a loro, bensì a una specifica dottrina. Le donne che si oppongono a tale dottrina vengono percepite come nemiche dalle femministe, pur essendo, per l’appunto, femmine.

Sia il femminismo sia il LGBTQ+ hanno mosso i primi passi rivendicando i diritti delle categorie da cui prendono i nomi; spesso diritti sacrosanti che prima venivano negati, risultando nell’iniquo trattamento di cittadini di fronte alla legge. Ottenuti però questi diritti, entrambi i movimenti hanno cominciato ad alzare la posta: si sono inventati nuovi “diritti” (in realtà privilegi) inseriti in un più generale paradigma di decostruzione e ingegneria sociali.

Femminismo contro le femmine, LGBTQ+ contro gli omosessuali

Oggi le donne hanno maggiore successo scolastico degli uomini. I lavori più duri o pericolosi sono svolti quasi esclusivamente da uomini. Il discorso pubblico favorisce le donne a tal punto che “femminismo” è sinonimo di virtuoso e “maschilismo”, pur essendo il suo correlativo, di abiezione. La donna relegata al ruolo casalingo di madre e moglie è ormai un lontano ricordo in Occidente, dove la natalità è in caduta libera. Eppure, ignorando tutto ciò, le femministe continuano indefesse a lottare contro lo spauracchio del patriarcato, a disincentivare le donne a scegliere la maternità, a promuovere svilimento e svirilizzazione del maschio. Paradossalmente, come testimonia l’avvento della teoria gender, l’obiettivo finale del femminismo è divenuto l’abolizione della “femmina” come categoria.

Il movimento LGBTQ+ da tempo è dipartito dalla mera emancipazione degli omosessuali. Ormai in Occidente nessun Paese più punisce l’omosessualità. Gli omosessuali sono stati riconosciuti come “categoria protetta”, talvolta beneficiaria di discriminazione positiva (“azione affermativa”) e messa al riparo da insolenze o critiche – queste sì, invece, criminalizzate come “reati d’odio”. Le unioni civili e la stepchild adoption garantiscono alle coppie dello stesso sesso una parificazione de facto al matrimonio. Ogni anno, per l’intero mese di giugno la bandiera arcobaleno è esibita in manifestazioni pubbliche di adesione ideologica che rammentano le adunate dei regimi totalitari. Oggigiorno essere semplicemente tolleranti è da bigotti e omofobi. Alla richiesta di tolleranza si è sostituita quella di approvazione, quando non di esaltazione.

Eppure, il movimento LGBTQ+ è più agguerrito che mai e va concentrandosi viepiù sui bambini. Chiede un ruolo crescente nel definire l’educazione scolastica, nel formare le giovani menti. Ha postulato l’inesistente “diritto alla genitorialità” anche laddove la natura non la permetta, com’è il caso di coppie dello stesso sesso. Se due uomini o due donne non possono procreare, allora è dovere dello Stato dargli dei figli (concedendo le adozioni) o, quanto meno, non mettersi di traverso quando viene sfruttata una indentured servant (ossia una schiava a tempo) per la gestazione di un figlio concepito in provetta.

Molti omosessuali sono inorriditi dalla pratica dell’utero in affitto, ma ciò conta poco o nulla: LGBTQ+ non è un sindacato di rappresentanza (anche se gli fa comodo farsi credere tale, per tacciare come “odio” e “discriminazione” ogni critica), è un movimento meta-politico radicale. E , proprio come la manifestazione ultima del femminismo è l’abolizione della femmina, la forma finale del movimento gay ridenominatosi LGBTQ+ è l’abolizione dell’omosessuale, categoria “troppo binaria”, da sciogliere nell’acido della fluidità sessuale postulata dalla teoria gender.

LGBTQ+ come agenda ideologica

Il movimento LGBTQ+, dunque, non corrisponde all’insieme di “lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e più”, come pur statuisce l’acronimo. Esso è lo schermo dei seguaci di una precisa ideologia, la cui dottrina di fondo nasce dall’incontro tra marxismo e post-modernismo, accomunati dalla lotta contro la tradizione. I marxisti erano in cerca di nuova linfa dopo il fallimento dell’operaismo. I post-modernisti la offrivano sotto forma di rifiuto dell’oggettività e di metodi di “decostruzione/ricostruzione” del mondo sfruttando il linguaggio.

In riferimento alla sessualità, la nuova dottrina postula che, ammessa e non concessa l’esistenza di un sesso biologico (Judith Butler, ad esempio, non la concede), il “genere” non corrisponde ad esso ma è un mero costrutto sociale, impostoci finora dal predominio del malefico maschio bianco. L’eterosessualità, secondo costoro, non è né naturale né normale ma solo normativa: è il patriarcato ad inculcare questa idea fin da giovanissimi, ed è solo per colpa del patriarcato che le donne hanno pulsioni sessuali verso gli uomini e viceversa (Adrienne Rich). In questo quadro l’omosessualità diventa azione politica. Come scrisse Sheila Jeffreys ormai trent’anni fa, l’eterosessualità si fonda sull’ideologia della differenza, paradigma del maschio bianco. Per contrastarla bisogna dunque eroticizzare l’uguaglianza: l’omosessualità.

L’omosessualità come progetto politico

Eccoci dunque al punto: esistono, sotto il comune nome di omosessualità, due cose assai differenti.

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La prima è l’attrazione che, per ragioni principalmente fisiologiche, una minoranza di persone prova verso soggetti dello stesso sesso. Non è “contro-natura”, come si soleva dire – è un fenomeno naturale essa stessa. Ma, detto senza alcun intento di stigmatizzare o insultare, non è nemmeno “normale”, né nel senso quantitativo di ciò che si osserva ordinariamente, né nel senso biologico, riproducendosi l’uomo per via sessuata e non esistendo nella specie umana l’autogamia o l’ermafroditismo (la cosiddetta “intersessualità” non è ermafroditismo). Questa “a-normalità” – è bene precisarlo – non sminuisce il valore di una persona solo perché omosessuale.

La seconda è l’omosessualità non come fenomeno naturale, non come insieme di pulsioni e atti, ma come progetto politico. In molti autori neomarxisti l’omosessualità, o meglio sarebbe dire la “non eterosessualità”, diviene uno stile di vita, un modello di persona, la cui finalità è ideologica: la rivoluzione contro il sistema di potere, patriarcale e capitalista, della razza bianca. Uno stile di vita, dunque, da promuovere, prima di tutto manipolando le menti di coloro che, per ragioni fisiologiche e psicologiche, sono più malleabili: i bambini prepuberi e gli adolescenti ancora sessualmente acerbi.

“Cari eterosessuali: non siete normali”

È proprio questo secondo tipo di omosessualità, che meglio sarebbe chiamare “omosessualismo” e che corrisponde al movimento LGBTQ+, a lottare da sempre contro l’idea che gli eterosessuali siano “normali”.

Di fronte allo scandalo destato dalle affermazioni del Generale Vannacci, il Ministro Crosetto ha dichiarato che avrebbe reagito in maniera parimenti negativa se Vannacci avesse scritto il contrario di ciò che si trova nel suo libro. Ci permettiamo di dubitarne, non perché pensiamo che Crosetto sia in malafede, ma perché una frase come “eterosessuali, non siete normali” sarebbe riconosciuta come la visione ortodossa delle cose da gran parte dell’accademia, del giornalismo e del mondo culturale, ormai egemonizzati dall’ideologia gender. Tra gli aforismi più citati della scrittrice Dorothy Parker, antesignana degli LGBTQ+, c’è quello per cui “l’eterosessualità non è normale, solo comune”. Jonathan Ned Katz, autore di The Invention of Heterosexuality, usava la teoria edipica di Freud per ridicolizzare la pretesa di normalità dell’eterosessualità. Tutta la critica costruttivista si fonda proprio sul presupposto che non ci sia nulla di normale né di naturale nell’eterosessualità, ma che sia un bieco artificio usato dal “Potere patriarcale” per emarginare, non si sa bene perché, una categoria di persone.

Come combattere l’ideologia neomarxista del genere

In conclusione, è importante ribadire che l’atto omosessuale non va stigmatizzato, così come la persona omosessuale. L’omosessualità pertiene alla sfera delle pulsioni private e, finché riguarda adulti consenzienti, è eticamente neutra.

Il discorso si fa più sfumato quando si tratta della proiezione dell’omosessualità nella sfera pubblica. Oggi ciò avviene – è bene precisarlo – in maniera molto più vistosa e sguaiata rispetto all’eterosessualità. Sebbene nudità, erotismo e pornografia siano sempre più alla luce del sole, non esiste alcun “etero pride“. Nessuno ha mai pensato di marciare, mezzo nudo e in atteggiamenti lascivi, per celebrare le sue predilezioni erotiche quando rivolte verso l’altro sesso. Dai cortei del Pride d’altri Paesi ci giungono immagini di sadomasochisti che, tenendo al guinzaglio altri uomini, si mostrano e interagiscano impudicamente con bambini. Se al loro posto ci fosse stato un uomo che teneva al guinzaglio delle donne, o viceversa, i protagonisti sarebbero stati giustamente bollati come pervertiti che tengono comportamenti inappropriati verso dei minori.

Il perché di questa sovra-esposizione pubblica della non eterosessualità è stata prima spiegata. Esiste una dottrina neo-marxista che l’ha inserita in un programma di decostruzione della civiltà occidentale. Essa sta già passando oltre alla fase del “matrimonio omosessuale”, ormai realtà in molti Paesi e comunque solo parzialmente confacente alla sua agenda politica. La coppia omosessuale civilmente riconosciuta, infatti, costituisce di per sé già una sorta di “normalizzazione” della non eterosessualità. Per usare le parole utilizzate da Roberto Vannacci, siamo all’allargamento della normalità, che è propedeutica alla sua distruzione ma non coincidente con essa.

E proprio l’abolizione della “normalità” è obiettivo finale della dottrina neo-marxista del genere. Il punto d’arrivo è la “famiglia queer” propagandata in Italia dalla da poco scomparsa scrittrice-attivista Michela Murgia: fluida, irregolare, indefinibile. Una “famiglia” che non si può definire è, di conseguenza, una non-famiglia. Ecco dunque realizzato un obiettivo che già fu dichiarato tra le righe da Engels: abolire la famiglia. Obiettivo realizzato non tramite un’abolizione de iure, ma stirando, strappando la categoria fino a lacerarla.

E qui subentra il problema: come si può contrastare questo progetto?

Condannare i singoli atti materiali (e privati) d’omosessualità, stigmatizzare chi li compie, non è né giusto né utile. Ma il movimento LGBTQ+, sfruttando la confusione semantica sopra descritta, ha occupato una forte posizione difensiva: riesce a far passare come attacchi personali agli omosessuali ogni critica mossa alla sua ideologia e agenda.

È lo stesso schema messo in atto contro il Generale Vannacci. È lo schema che, se non compreso e rigettato pubblicamente, continuerà a legare le mani ai conservatori, impedendo ogni efficace difesa di fronte all’assalto neomarxista ai pilastri della nostra civiltà.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.