di Daniele Scalea

Nel 2019 un gruppo di ricercatori della Michigan State University (MSU) ha pubblicato uno studio che, analizzando i casi di sparatorie in cui era coinvolta la polizia americana, ha stabilito che “non si trovano prove di disparità anti-neri o anti-ispanici nelle sparatorie e gli agenti bianchi non hanno maggiori probabilità di quelli non bianchi di sparare a civili appartenenti a minoranze”.

Ciò è tornato di forte attualità dopo il caso George Floyd. Un’unione sindacale della MSU ha chiesto la destituzione del vice-presidente responsabile per la ricerca, Stephen Hsu (d’origine asiatica), accusandolo di aver in passato pubblicato post (non saggi formali) che collegano l’intelligenza alla genetica e di aver finanziato la predetta ricerca che smentisce il mantra della “polizia razzista”. Una dirigente di quest’associazione ha spiegato che, siccome la MSU ha espresso ufficialmente sostegno per Black Lives Matter “e le cause e gli scopi della protesta”, allora nessun suo amministratore può permettere che uno studio smentisca questa posizione apodittica.

Stephen Hsu è stato costretto a dimettersi a giugno.

Pochi giorni fa, gli autori dello studio incriminato hanno chiesto di ritirarlo. Non è una ritrattazione normale: gli autori non riconoscono cioè di aver sbagliato. Pensano che ciò che hanno scritto sia corretto. Eppure non ritengono possibile mantenere pubblicato quello studio. Ufficialmente la motivazione presentata è che viene “travisato da commentatori di destra”, di modo da non mettere in imbarazzo i censori.

Non sa tanto di Unione Sovietica? L’università che, anziché adattare la propria posizione ai risultati degli studi, ne assume una a priori e pretende che siano le ricerche a conformarvisi. Ricercatori che ritrattano, ma mica perché la loro eresia ha fatto cadere la prima testa e ora temono per la loro: oh no! Ritrattano affinché il loro studio non sia utilizzato “dai reazionari nemici della rivoluzione”.

Se non basta a esemplificare il clima d’oppressione ideologica che si è creato, possiamo citare un altro caso di questi giorni. David Shor, un analista dati politici ventottenne che ha lavorato per la campagna di Obama, cita in un tweet lo studio del politologo afro-americano ed ebreo di Princeton Omar Wasow. Tale studio afferma che le proteste violente sfavoriscono elettoralmente i democratici, a differenza delle manifestazioni pacifiche che li aiutano. Si scatena una polemica contro Shor, costretto il giorno seguente a scusarsi perché non possiede “il retroterra” per essere un “efficace messaggero” dei risultati di Wasow: tradotto dalla neolingua a quella comune, si scusa perché lui è bianco e dunque non ha diritto di criticare nemmeno marginalmente Black Lives Matter. E comunque sia, malgrado questa ritrattazione ideologicamente piena del razzismo degli “antirazzisti”, alla fine Shor è stato comunque licenziato dalla società di consulenza filo-democratica di cui era impiegato.

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Questi non sono casi limite né eccezioni. Sono degli esempi tratti solo dagli ultimi giorni. Sono la nuova normalità. Sono i campanelli d’allarme che devono svegliarci su quanto feroce e ciecamente dottrinaria sia la rivoluzione culturale lanciata dalla Sinistra, e su come il suo solo esito possibile sia un nuovo totalitarismo incompatibile con la democrazia.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.